Il Vietnam è stato descritto come paese tra i più capaci nella gestione del Sars-Cov-2 e invece a oggi risulta uno dei più a rischio a causa della presenza di una variante molto particolare, tanto che il ministro della Salute, Nguyen Thanh Long, ha ufficialmente precisato che è responsabile della nuova ondata di contagi che ha colpito il paese. Una pericolosa tendenza esponenziale, comparsa da circa un mese e che a tutt’oggi vede circa 4mila nuovi casi in 33 città e province, quindi un contagio massivo. In Vietnam sono presenti sette varianti del virus, incluse quelle sudafricana, inglese e indiana.
Il ministro vietnamita non ha specificato quanti dei nuovi casi registrati possano ricondursi alla nuova variante e questo fa capire quanto le autorità locali siano in allarme: la reazione alla nuova impennata ha portato nuove restrizioni e soprattutto blocchi agli spostamenti, con chiusure di bar, ristoranti, parrucchieri, centri massaggi e anche alcuni centri turistici e luoghi di culto. Un passo indietro ritenuto evidentemente necessario e che, visto dall’Europa, costituisce un monito, perché questa nuova variante, ancora in fase di studio, risulta più contagiosa e porta più persone a essere ospedalizzate. Inoltre non si è ancora sicuri come impatti con i vaccini e, con dati a metà, diventa tutto più complesso.
Molti paesi hanno giocato al ribasso e i dati sballati sui decessi Covid a livello mondiale non aiutano. La realtà della pandemia, a livello numerico, è lontana dal dichiarato in tutto il mondo, a cominciare dalla Cina. In Occidente molti Stati hanno giocato al ribasso dal principio, compresa la Germania, che classificò come influenza il focolaio del febbraio 2020 in Baviera.
In Asia abbiamo situazioni non chiare, con paesi che continuano a chiudere, pur dichiarando pochi contagi, e poi si viene a scoprire che gli ospedali sono pieni: l’India, per esempio, secondo l’Oms e le associazioni benefiche che operano in loco, ha numeri da moltiplicare almeno per 6 o per 7. In Africa di fatto non esiste un vero e proprio monitoraggio. Anche in Russia non va meglio. Rosstat ha pubblicato aggiornamenti: 162.429 “decessi legati al coronavirus”, che si sono verificati in Russia solo nel 2020, una cifra quasi tre volte superiore al totale dichiarato dal ministero (57.019 morti, ed era ancora il 29 dicembre, poi più nulla si è saputo). In America Latina l’Argentina è di nuovo in piena ondata, tanto da rinunciare a ospitare la Coppa America di calcio, mentre il Brasile, che si è offerto come paese organizzatore, ha trovato i governatori scettici: i contagi non scendono e anche in Amazzonia i numeri sono stimati al minimo.
Oltre a tutto questo, all’orizzonte appare un cigno nero inquietante, che di fatto va a scombinare l’evoluzione della pandemia: si moltiplicano le ipotesi che il coronavirus possa essere stato ottenuto solo artificialmente. Ormai è tempo che la comunità scientifica internazionale faccia chiarezza sulle origini del Covid-19. Intanto due studiosi, l’oncologo britannico Angus Dalgleish e il virologo norvegese Birger Sorensen, attraverso una ricerca pubblicata sulla rivista Quarterly Review of Biophysics Discovery hanno ribadito che la prova sta in una catena di amminoacidi della proteina “spike” del Sars-CoV-2.
Il Sars-CoV-2 è dunque artificiale? La Cina potrebbe subire dure conseguenze, se ciò venisse assodato, perché nessuno perdonerebbe tale insabbiamento. Inoltre il virus di origine artificiale implica uno scenario nuovo: non ci sono precedenti e quindi nessuno può prevederne l’evoluzione. Infatti il virus non pare “decadere” o “implodere” a causa del caldo né per altre ragioni (in realtà, l’abbassamento dei contagi è dovuto alla maggiore aerazione e alle più frequenti attività in spazi aperti, in pratica è merito di un distanziamento involontario), ma continua la propria avanzata ondulatoria, mettendo sotto stress i sistemi sanitari mondiali.
A oggi la situazione mondiale è peggiore rispetto al 2020 e l’unica arma in mano sono i vaccini. A patto che la campagna sia condotta a livello globale in maniera uniforme, altrimenti si arriverà al punto di non riuscire a immunizzare per tempo, visto che la copertura vaccinale dura in media nove mesi.
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