“Attenzione ai dati, ma senza terrore: la situazione è ampiamente sotto controllo. Gli allarmi ingiustificati provocano insofferenza per le misure di prevenzione”. Così il professor Antonello Maruotti, ordinario di statistica all’Università Lumsa e cofondatore dello StatGroup-19, gruppo inter-accademico di studi statistici sulla pandemia da Covid-19, commenta il nuovo balzo di incidenza e Rt sul fronte della diffusione della pandemia.



Secondo il monitoraggio settimanale Iss-ministero della Salute, l’incidenza settimanale a livello nazionale è salita infatti a 441 ogni 100mila abitanti contro 325 ogni 100mila abitanti della scorsa settimana, mentre l’indice di trasmissibilità Rt nel periodo 14 settembre-27 settembre è stato pari a 1,18, in aumento rispetto alla settimana precedente (quando era pari a 1) e superiore al valore della soglia epidemica. Sette regioni sono classificate a rischio, il tasso di occupazione ospedaliera è in crescita, si registrano più ricoveri, ma i casi con sintomi sono stabili.



“La velocità con cui salgono i casi sta rallentando – osserva Maruotti –, segno di un avvicinamento al picco”. E aggiunge: “In proporzione ai casi registrati, ospedalizzazioni, casi gravi e decessi sono sempre meno da un’ondata all’altra”.

Sale la curva dei contagi e aumentano anche i ricoveri. Cosa ci dicono i numeri?

I numeri delineano una situazione ancora ampiamente sotto controllo. Il numero dei casi continuerà a salire fino a 50-60mila casi giornalieri di media su 7 giorni, con picchi in alcuni giorni vicini ai 70mila casi. La velocità con cui salgono i casi sta rallentando, segno di un avvicinamento al picco. I ricoveri, dopo aver toccato il minimo a fine settembre, sono in risalita e devono essere monitorati attentamente. Questo è l’indicatore da mettere sotto la lente di ingrandimento, anche a causa della zavorra di oltre 3.500 posti letto occupati dalla quale la curva ha ricominciato a crescere. Non siamo partiti da ospedali vuoti e questo potrebbe giocare un ruolo nella gestione della fase acuta dell’attuale ondata. L’occupazione delle terapie intensive è ai minimi da oltre un anno, di poco superiore di quanto visto a luglio del 2021, periodo in cui però non avevamo Omicron 5, con tutti i casi ad essa legata, a farci compagnia. Anche per i decessi siamo ai minimi nell’ultimo anno.



Dobbiamo aspettarci una nuova ondata della pandemia? Ma quanto “forte” rispetto alle ondate precedenti?

Il susseguirsi di ondate di diversa intensità non deve spaventare. La forza dell’ondata può essere misurata da quanti casi si trasformano in ospedalizzazioni, terapie intensive e decessi. In proporzione ai casi registrati, ospedalizzazioni, casi gravi e decessi sono sempre meno da un’ondata all’altra. Ogni nuova ondata sarà meno forte della precedente, fino a che non dovesse arrivare una variante più aggressiva, ipotesi poco plausibile al momento.

Accennava che stiamo andando verso un picco: quando lo raggiungeremo? E che numeri (contagi, ricoveri, decessi) a quel punto potremo vedere?

Sì, stiamo andando verso il picco dei contagi. Tuttavia c’è molta eterogeneità nell’andamento dell’epidemia tra le diverse regioni. È sempre più necessario, in questa fase, analizzare i dati a livello regionale e provinciale. Vedremo infatti che in alcune regioni il picco potrà arrivare già nella terza settimana di ottobre, mentre in altre dovremo aspettare una o due settimane in più. Per quanto riguarda gli indicatori ospedalieri è ancora presto per determinare il picco. Tuttavia, almeno per i ricoveri ordinari, ci aspettiamo che segua di pochi giorni quelli dei contagi.

Sono numeri che giustificano nuovi allarmismi?

Il tempo degli allarmismi è finito. Non sarà forse il caso di cambiare prospettiva? Attenzione ai dati, sì, ma senza terrore, allarme, che, come risultato, portano solo all’insofferenza verso ogni qualsivoglia misura di contenimento del contagio, a cominciare dalla mascherina, ormai riposta nelle tasche dei pantaloni praticamente in ogni situazione.

Lei ha ricordato che “dopo due anni e mezzo, ancora non sappiamo quanti siano i ricoveri avvenuti per complicazioni legate al Covid-19 e quanti siano ricoveri per altre patologie trovati poi positivi al momento del ricovero”. Perché è importante avere questi dati?

È fondamentale avere queste informazioni, così come quelle delle caratteristiche dei deceduti, per gestire la gravità, la “forza” delle diverse ondate con tempestività. La convivenza con il virus passa da una attenta analisi delle sue conseguenze sulle persone più fragili e sugli anziani. Dobbiamo smettere di rincorrere il virus, ma per farlo servono dati affidabili e dettagliati che al momento non abbiamo. Ad esempio, le ultime informazioni fornite dall’Iss sulle caratteristiche dei deceduti, per di più molto parziali, risalgono a gennaio 2022.

La Fondazione Gimbe chiede al ministro Speranza di pubblicare subito il piano di gestione pandemica per l’autunno-inverno. Dobbiamo aspettarci di nuovo obbligo di mascherine, distanziamento e magari mini-lockdown, seppur circoscritti e temporanei?

Tutta la comunità scientifica ha chiesto maggiore trasparenza nella gestione della pandemia. Se da un lato l’uso delle mascherine va incoraggiato, visto che lo strumento è poco invasivo e di certa efficacia, parlare di chiusure, anche se circoscritte, è anacronistico. Non è più tempo di chiusure. Eventuali chiusure sarebbero il chiaro segno di una resa e di una incapacità di trovare, in questi due anni e mezzo, metodi alternativi di gestione delle fasi acute dell’epidemia.

(Marco Tedesco)

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