Nelle ultime 24 ore si sono registrati 14.844 nuovi casi di Covid su 162.880 tamponi eseguiti, con un indice di positività al 9,1%, in calo di due punti percentuali e mezzo rispetto al giorno precedente. Dal fronte dei decessi, invece, continuano ad arrivare dati allarmanti – 846 – tanto che il presidente dell’Istat, Giancarlo Blangiardo, prevede entro la fine del 2020 in Italia, anche a causa del coronavirus, “più di 700mila morti, un dato che non si verificava dal 1944, in piena Seconda guerra mondiale”. L’epidemia, dunque, offre numeri contrastanti: da un lato, il rapporto positivi/tamponi scende sotto il 10% e i ricoverati in terapia intensiva calano di 92, pur rimanendo oltre la soglia critica, ma dall’altro – lo ha ricordato il direttore della Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, nella conferenza stampa sull’analisi della situazione epidemiologica – il dato dei morti a 846 è davvero molto elevato e ciò indica che in questi 2-3 mesi il numero delle persone infettatesi è grande, con una ripresa dell’epidemia imponente”. Alla luce di queste evidenze e alla vigilia di misure restrittive più stringenti da parte del governo, che cosa debbono aspettarsi gli italiani? Che scenari si profilano, prima dell’arrivo dei vaccini? Avremo, nonostante tutto, una terza ondata? Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Arbia, professore ordinario di Statistica economica all’Università Cattolica, secondo il quale è “purtroppo ineluttabile che durante il periodo natalizio si verifichi una ripresa dell’epidemia” ed è perciò “assolutamente giusto adottare un lockdown, stretto ma breve, sul modello tedesco durante le feste natalizie”. L’obiettivo? Ritrovarci “entro un mese su livelli dell’epidemia molto bassi e a quel punto saremmo nella condizione migliore per affrontare la campagna vaccinale”.



Professore, l’epidemia oggi è fuori controllo?

No, non credo che sia interamente fuori controllo, sta di fatto però che le misure di contenimento vengono cambiate spesso. Ma va subito chiarito un punto.

Quale?

Noi guardiamo alla curva dell’epidemia come se fosse unica a livello nazionale, invece ne abbiamo tante locali. E in questo momento è come se fossero in competizione fra loro le forze che la portano a scendere con quelle che tendono a farla salire.



Dove si vede nei dati questa competizione?

Dal fatto che non assistiamo a una discesa netta, i valori sono molto erratici.

Abbiamo superato il picco?

Direi che siamo su un plateau, non su un picco, e il timore è che non vedremo una discesa come quella registrata in maggio.

Galleggeremo su questo plateau ancora per un po’ di tempo?

Sì, questo altopiano è l’effetto netto delle misure differenti adottate dalle diverse regioni. Tuttavia su certe grandezze, per esempio le terapie intensive, vediamo una discesa da almeno 15 giorni: da quasi 4mila posti letto occupati siamo calati a circa 3mila.



Ma il ritmo della discesa delle curve non è più lento rispetto ad aprile-maggio?

Oggi la situazione è completamente diversa. La discesa di maggio era frutto del lockdown totale e in quel momento l’epidemia era maggiormente sotto controllo, al prezzo ovviamente di grandissimi sacrifici. Oggi lo è di meno, perché adottiamo misure più blande e variabili nel tempo le quali portano a risposte altrettanto oscillanti. Ma appena si accelera sulle restrizioni, l’Rt cala.

Oggi però l’Rt non le sembra come adagiato su una sorta di pavimento che non si riesce a bucare?

A livello nazionale è così, mentre a livello locale i movimenti sono molto diversificati.

La terza ondata sembra inevitabile: arriverà a gennaio o in primavera?

È difficile fare delle previsioni sul medio periodo, anche perché spero che in gennaio possa partire la campagna di vaccinazione, che dovrebbe rappresentare una misura drastica di contenimento. Credo tuttavia che, parlando di terza ondata, in realtà noi non vedremo mai la fine della seconda. E la speranza è che il peggio lo si veda solo da qui a gennaio.

Che cosa dobbiamo aspettarci?

Al netto di interventi e misure di cui al momento non abbiamo contezza, ritengo purtroppo ineluttabile che durante il periodo natalizio si verifichi una ripresa dell’epidemia. Alla luce dei movimenti che vediamo oggi non arriveremo prima delle festività a una discesa tale da poter scongiurare poi una risalita. La discesa non arriverà ai valori visti a maggio, ci attesteremo su livelli più elevati per poi riosservare una crescita. Il momento peggiore potrebbe essere tra l’Epifania e fine gennaio, quando inizierà la distribuzione del vaccino.

Tradotto in numero di contagi?

Di contagi meglio non parlare. Se parlassimo di contagi i numeri che leggiamo ogni giorno dimostrerebbero che la seconda ondata è stata enormemente peggiore della prima, solo perché se ne contano molti di più, ma non è così. Preferisco ragionare sul trend delle terapie intensive, tenendo conto che fortunatamente, da una settimana circa, l’Istituto superiore di sanità fornisce il dato scorporato in entrate e uscite, non solo il saldo netto.

Perché dice fortunatamente?

Perché ora abbiamo il numero di quanti entrano ogni giorno nelle terapie intensive, ed è un dato in calo. Questo numero produce un saldo netto negativo, al quale possiamo dare maggiore fiducia. Prima invece, non avendo questo dato delle entrate, potevamo essere indotti a pensare illusoriamente che le terapie intensive calavano solo perché in tanti ne uscivano, o per decessi o per guarigioni.

Dovesse continuare questo trend calante, entro Natale quanti posti letto occupati potremmo avere?

Al ritmo di 50 posti letto in meno al giorno, mancando dieci giorni a Natale, potremmo scendere a 2.500.

Le misure di mitigazione stanno funzionando meno rispetto a prima dell’estate?

Sono più deboli e poi probabilmente va considerata una certa stanchezza dei cittadini nell’adottarle. Prima di questa estate eravamo tutti più predisposti al sacrificio, intravisto come breve. Oggi la prospettiva si allunga, il che può creare disaffezione alle norme.

Giusto adottare un lockdown stringente sul modello tedesco?

Assolutamente sì, è la direzione su cui muoversi. Il tendenziale dei decessi di ieri – 629 – è pari a quello che registravamo in discesa il 9 aprile e a fronte del quale il lockdown è proseguito ancora per circa un mese fino al 4 maggio. Dunque un lockdown più severo durante le feste natalizie non sarebbe una misura sbagliata, perché potremmo approfittare delle scuole chiuse e delle attività economiche in gran parte ferme per ridurre ulteriormente gli spostamenti, come sta pensando di fare il governo.

Chiudere a Natale che benefici porterà? Potremo ripartire a gennaio più tranquilli?

Le rispondo con questa simulazione: se oggi adottassimo – ma non voglio dire che dobbiamo adottarle – le stesse misure varate a marzo, è molto probabile che assisteremmo a un calo come quello di maggio. In un mese ci ritroveremmo su livelli dell’epidemia molto bassi e a quel punto saremmo nella condizione migliore per affrontare la campagna vaccinale.

Perché?

Perché la vaccinazione può essere fatta a individui sani, tutte le persone contagiate non potranno usufruirne, non sarà per loro utile.

Secondo Walter Ricciardi, “i casi notificati sono solo la punta dell’iceberg. Nella prima parte dell’epidemia, l’indagine sieroepidemiologica evidenziò 6 casi per ogni caso segnalato. Oggi credo siano il doppio o il triplo”. In base ai suoi modelli?

A maggio il nostro modello stimava 6 milioni di persone contagiate, quando il dato ufficiale era di circa 300mila. Oggi, che lo abbiamo aggiornato, siamo a 8,5 milioni rispetto ai 600mila del dato ufficiale, 14 volte tanto. Potrebbe essere pertanto corretta la congettura di Ricciardi sul fatto che questo rapporto sia più elevato oggi di quanto non fosse la scorsa primavera.

Un altro dato che preoccupa è il numero dei decessi. Non solo: i livelli di mortalità nelle diverse regioni variano sensibilmente pur a parità di prevalenza dei contagi e indipendentemente dall’età della popolazione residente. Come se lo spiega?

Al momento non sono in grado di poter rispondere, perché è un punto su cui ci stiamo interrogando da tempo. In passato c’era un ritardo di 15 giorni circa tra il numero dei contagiati in rapporto ai tamponi eseguiti e i decessi. Oggi questo legame temporale si è rotto, perché la mortalità non scende, mentre gli altri indicatori sì. E anche sulle differenze territoriali a parità di prevalenza occorre lavorare e indagare.

Aprire le scuole a gennaio sarà un rischio?

Bisognerà vedere quali saranno i numeri. A mio avviso, qualora i dati fossero preoccupanti come oggi, non sarebbe sbagliato protrarre la chiusura delle scuole fino a metà gennaio, quando appunto partirà la campagna vaccinale. Anche sulle attività economiche sono convinto che i danni dipendano essenzialmente dalla pandemia, non dalle misure restrittive che si adottano. Un lockdown severo di breve durata, fino all’arrivo dei vaccini, non danneggerà di più l’economia. Anzi, quanto più saremo rigorosi adesso, tanto meglio ci troveremo dopo, sia dal punto di vista sanitario che economico.

Con il lockdown il governo punta ad avere un indice Rt a 0,5 stabile e omogeneo su tutto il territorio nazionale. Obiettivo raggiungibile?

Sul fatto che l’Rt debba essere omogeneo su tutto il territorio nazionale, non c’è dubbio, e rispetto allo 0,9 di oggi penso sia possibile arrivare a 0,5, ovviamente a patto che si mantengano certe restrizioni. Ma personalmente resto un po’ critico sull’Rt, che non è un indice, ma un parametro di un modello, basato su diverse assunzioni e semplificazioni. Se cambiano le assunzioni del modello, cambia tutto. Bisognerebbe, per esempio, sapere qual è l’arco temporale rispetto al quale viene calcolato l’Rt.

(Marco Biscella)

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