Che nell’attuale situazione il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, solleciti un minimo di unità nazionale, di consultazione, dialogo e convergenza, non dovrebbe sembrare una fastidiosa ingerenza. Eppure da settimane la reazione di Palazzo Chigi è di sostanziale resistenza ad aprire una nuova fase di non contrapposizione frontale in Parlamento.
Sempre più, soprattutto negli ultimi giorni dopo gli Stati generali del M5s, si ha l’impressione che a sorreggere il premier Conte, e cioè il suo desiderio di status quo, sia una ricostituita “maggioranza ombra” Di Maio-Salvini che marciano divisi sui banchi di governo e di opposizione, ma per colpire uniti i tentativi di apertura soprattutto del Pd e di Forza Italia.
Certamente al premier Conte va riconosciuto il merito, di fronte all’irrompere del virus in febbraio, di non essersi accodato alla reazione “populista” di Donald Trump e Boris Johnson – come ha invece fatto Salvini – di negare l’emergenza. Ha però teso a una lettura e conduzione molto politicizzate dell’intera vicenda per blindare Palazzo Chigi.
Sin dall’inizio – data l’imminenza delle elezioni regionali – ha messo sotto accusa le regioni settentrionali a guida centrodestra contestando una generale impreparazione sanitaria.
Toti e soprattutto Zaia, che si è fortemente differenziato da Salvini, hanno reagito riscuotendo consenso. D’altra parte la politicizzazione è stata utile alla maggioranza nel senso che sia De Luca sia Emiliano – che a febbraio sembravano senza possibilità di riconferma con la coalizione di governo non unita sui loro nomi – hanno ripreso fiato. Per tutta l’estate, la campagna del governo si è mossa sostenendo che ormai l’emergenza era finita e che eravamo pieni di soldi con il Recovery Fund. E il risultato elettorale ha premiato questa impostazione e ha stabilizzato Conte.
Ma lo scenario delle settimane immediatamente successive è cambiato e oggi è generale la convinzione che il governo abbia imprudentemente abbassato la guardia. La gestione della seconda ondata è fatta con maggior preparazione ed esperienza dalle strutture sanitarie, ma la gestione governativa – con il tambureggiare di Dpcm e conferenze stampa del premier a reti unificate – non è rassicurante, sembra spesso tardiva e disordinata. Lo scaricabarile su Regioni e Comuni e la conduzione governativa – dal ministro della Salute a quello delle Regioni, per non parlare della ministra dell’Istruzione – non è molto rassicurante.
Ad aggiungere incertezza è poi il nervosismo politico che serpeggia nella maggioranza: dopo le elezioni regionali Zingaretti ha chiesto più rilievo al Pd (e cioè: rimpasto e Mes), ma, a sua volta, Di Maio dopo gli Stati generali pretende più voce per il M5s e fiancheggia Conte contro Mes e il rimpasto definito addirittura “un insulto”.
Il nervosismo politico, d’altra parte, si intreccia ogni giorno con notizie poco rassicuranti sul Recovery Fund.
Da Bruxelles cresce la sfiducia verso la politica economica del governo italiano, priva di strategia, e cioè con Conte che continua ad annunciare una “riforma complessiva del Paese”, ma poi in concreto vara decreti-omnibus con disordinati provvedimenti-tampone. Oggi si spendono per le politiche passive dieci volte quel che si spende per le politiche attive (non senza paradossi come i cento milioni per i navigator ormai “desaparecidos”).
Anche dalla struttura del commissario italiano Gentiloni si segue con perplessità il lavoro “carbonaro” di Palazzo Chigi (dove si accumulano le richieste dei singoli ministri per 250 miliardi contro i 209 previsti in quanto in vista delle elezioni comunali di primavera s’immaginano dispendiosi interventi come, ad esempio per la capitale, l’ampliamento di Cinecittà e un nuovo Politecnico) e si contestano ritardi e bassa qualità dei progetti (per le infrastrutture la De Micheli, di fronte al veto M5s sulle “grandi opere”, ha rovistato negli archivi), si chiede di “accelerare”, si reclama un piano “credibile” e l’esistenza di una affidabile “cabina politica di regia”. Si sollecita cioè una seria controparte da parte di Conte e Gualtieri che lavori con la task force costituita appositamente per l’Italia, guidata dal tedesco Eric von Breska, che, secondo i vincoli del Recovery Fund, deve prenegoziare e preconfezionare i progetti per l’approvazione finale evitando il rinvio e soprattutto facilitare la ratifica dei parlamenti nazionali per gli eurobond.
Inoltre c’è la disputa con Polonia e Ungheria che dopo la minaccia di escluderli dall’accesso ai fondi europei, minacciano a loro volta di bloccare l’intero bilancio dell’Unione e quindi il Recovery Fund. Un pasticcio che nella migliore delle ipotesi – un compromesso nel Consiglio europeo di dicembre – sta allungando i tempi dell’arrivo all’Italia del primo anticipo.
Di fronte all’emergenza sanitaria quindi le uniche risorse disponibili sono quelle del Mes, ma, appunto, Conte sembra rispondere alla “maggioranza ombra” Di Maio-Salvini e il governo da mesi, con platonica rimostranza del Pd, lascia fermi gli investimenti che avrebbero dovuto essere fatti nella sanità già prima della seconda ondata.