Dati apparentemente contrastanti sull’andamento dei contagi da Covid. Se si registra un generale calo, così come dei decessi e dei ricoveri in terapia intensiva (rispettivamente, in confronto alla settimana scorsa -30% di contagi; -13,30% di decessi e -21,4% di ricoveri) il ministero della Salute fa sapere che i contagi che comunque ci sono avvengono in maggior parte tra i giovani, quelli che stanno in classe tutto il giorno con la mascherina. Come mai?



Ne abbiamo parlato con il professor Roberto Cauda, docente di Malattie infettive all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’Unità operativa di malattie infettive al Policlinico Gemelli.

Tutti i numeri del Covid segnano una forte diminuzione, ce lo conferma?

Assolutamente sì. Abbiamo avuto una riduzione rispetto alla settimana precedente del 30% dei contagi, a mio avviso una riduzione reale anche a fronte di una riduzione del numero dei tamponi eseguiti, che poteva essere una variabile che influenza il risultato.



Perché?

Se andiamo a vedere la percentuale di tamponi positivi sul totale, mentre fino a una settimana fa era intorno al 14% adesso è al 9%. È una reale diminuzione che impatta sui ricoveri in area medica e in terapia intensiva.

E i decessi?

Anche il parametro dei decessi, che è sempre l’ultimo a evolversi, parla di una diminuzione. È quindi una situazione di miglioramento generale che trova un corrispettivo nell’ultima settimana anche a livello mondiale dove si registra una diminuzione dei contagi del 3% rispetto alla settimana precedente. È anche vero però che l’Oms registra un aumento di contagi in Cina, Stati Uniti, Spagna e Portogallo.



Come si spiega?

Potrebbe essere dovuto a varie cause, tra cui l’arrivo in ritardo di Omicron 2, la variante che ci colpisce da tempo, vedi il caso della Cina.

Il ministero della Salute però parla di aumento dei contagi tra i più giovani, proprio loro che a scuola devono indossare la mascherina mentre è stata eliminata quasi ovunque. Come mai?

È vero, ci sono però due fattori da tenere presenti. Nella fascia 5-18 anni non c’è stata una massiccia vaccinazione e inoltre i ragazzi hanno una vita sociale molto più intensa del resto della popolazione. Teniamo presente poi che i dati prima della seconda dose negli over 5 anni toccavano oltre l’80% della popolazione con differenze anche regionali e nei più giovani una minore adesione alla vaccinazione. La terza dose sempre con differenze regionali riguarda il 67% della popolazione e la quarta dose è molto poco praticata, anche se i più fragili, se si infettano, sono più a rischio.

Cosa dicono i dati di mortalità in eccesso?

C’è uno studio dello stato del Massachusetts riguardante la mortalità durante l’ondata Delta e Omicron che trova riscontro con quanto successo in Italia durante la prima ondata, dove si è visto che il numero di decessi non strettamente riferibili al Covid ma avvenuti in quel periodo eccedeva i dati del periodo stesso. La mortalità quindi c’è sempre, forse per via della popolazione anziana in Italia. La mortalità è stata elevata ma il valore della mortalità, anzi di letalità, è comunque in diminuzione. La quarta ondata si è caratterizzata per il numero elevato dei contagi, ma con un impatto minore sugli ospedali e il numero dei morti.

C’è bisogno di altre dosi? Sappiamo che l’efficacia del vaccino contro il Covid tende a diminuire nel tempo.

L’efficacia di questi vaccini, così come l’immunità naturale acquisita in seguito al contagio, tende a diminuire nel tempo, soprattutto negli anticorpi, mentre è più duratura a livello cellulare. In autunno bisognerà entrare nell’ottica non di effettuare una quarta o quinta dose, ma un richiamo aggiornato, come quello che si fa per l’influenza stagionale.

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