Entra in vigore domenica 21 febbraio la nuova ordinanza firmata dal ministro della Salute, Roberto Speranza, che segna il passaggio in zona arancione di Emilia-Romagna, Molise e Campania. Le tre regioni vanno ad aggiungersi ad Abruzzo, Toscana, Liguria e Provincia di Trento. In Umbria diventano zone rosse Perugia e il Ternano. Mentre la Fondazione Gimbe auspica un lockdown duro di due-tre settimane per fermare l’epidemia, i dati del 19 febbraio, quando vengono annunciate le nuove misure, parlano di 348 morti e 15.479 nuovi positivi (in aumento rispetto al giorno prima, quando erano 13.762). Lombardia, Emilia Romagna, Campania e Piemonte le regioni più colpite. Ma – incrociando i numeri del bollettino giornaliero con le osservazioni dell’Oms e il profilarsi delle nuove misure restrittive – qual è la reale situazione del nostro Paese in questo momento? A che punto ci troviamo rispetto all’evoluzione della curva epidemica? E soprattutto, quando inizieremo a uscirne? Lo abbiamo chiesto al professor Carlo Federico Perno, direttore di Microbiologia all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.



Professore, la situazione oggi è ancora drammatica o il calo dei contagi profila un quadro più tranquillizzante?

La parola “tranquillizzare” in questo momento mi sembra una parola un po’ difficile, però non va dimenticato che l’Oms ha chiaramente indicato che nelle ultime settimane, a livello mondiale e anche italiano, le nuove infezioni si sono dimezzate, quindi c’è un netto calo dei nuovi positivi, lo vediamo anche nei report quotidiani che ci vengono dati. E anche le morti sono calate. Io credo che la situazione sia in sostanziale miglioramento, nonostante le varianti.



Perché?

Le varianti avrebbero dovuto nettissimamente aumentare il numero di infezioni. Noi abbiamo le varianti, soprattutto quella inglese, che chiaramente circola in Italia e ha aumentato l’infettività del virus. Nonostante questo aumento dell’infettività, nelle ultime settimane c’è stato un calo delle nuove infezioni. La parola “tranquillizzante” mi fa paura e non credo sia il momento di usarla, però si può dire che la situazione non è drammatica e ha in questo momento – insisto, in questo momento – un’evoluzione verso il positivo, sperando che duri.



L’introduzione di misure più restrittive aiuterà?

Devo dire una cosa, e mi è capitato già di accennare questo concetto: i lockdown e i colori delle regioni sono in realtà un obbligare le persone a fare quello che dovrebbero fare comunque, perché il lockdown altro non è che un vincolo a mantenere il distanziamento e all’uso della mascherina, cose che la gente dovrebbe fare comunque. È la ragione per la quale in questa fase non sono sicurissimo che ulteriori restrizioni siano assolutamente indispensabili come lo sono state in passato. Quindi prendo atto di queste restrizioni ministeriali, che sono comunque sagge perché aiutano a ridurre il rischio d’infezione, ma forse in questo momento non sono più così urgenti come lo erano nei tempi precedenti.

Fondazione Gimbe dice: occorrerebbe un lockdown duro di due-tre settimane.

Io credo che le affermazioni debbano essere sostanziate da numeri e fatti; se questi numeri e fatti ci sono, è giusto che le cose vengano dette. In questo momento i numeri, che indicano un dimezzamento delle infezioni e una situazione generalmente non drammatica – sicuramente sempre impegnativa e seria, ma non drammatica –, non mi sembra giustifichino interventi così drastici. Su questo però serve anche molta capacità di leggere i dati “in trasversale”, attraverso un’attenta analisi. La sensazione, guardando solo le nuove infezioni, la mortalità e i dati dell’Oms, non è così drammatica, ma magari ci sono altri dati che a me sfuggono e che è giusto considerare.

Ha preoccupato l’appiattimento verso l’alto delle curve nelle scorse settimane.

Io qui parlo da virologo, poi parlo anche da cittadino: ovviamente se tutti restassimo chiusi dentro casa il virus non girerebbe, ma nello stesso tempo l’Italia morirebbe. È necessario che il sistema interventistico per ridurre le infezioni si integri con il preservare le esigenze di una nazione che ha sofferto molto. Servono i due elementi insieme, questa è la mia opinione.

Il fattore stagionale ci darà un vantaggio, come l’anno scorso?

I coronavirus tendono a ridurre enormemente la loro circolazione nel periodo estivo. Il calo nel periodo estivo dell’anno scorso non ci deve sorprendere, perché è perfettamente in linea con le caratteristiche di questo virus. In più, l’aumento delle vaccinazioni, auspicabilmente, mi fa pensare che col caldo, diciamo da giugno – con i primi caldi primaverili non ci aspettiamo miracoli – le cose dovrebbero andare in modo diverso.

Cioè?

I vaccini, le persone che hanno avuto il Covid, la gran parte delle quali per fortuna non dovrebbe essere infettabile: l’insieme delle cose ci fa pensare che si vada verso una situazione migliore. Però vediamo i numeri, vediamo i dati e ragioniamo. Tutto questo non giustifica un lockdown duro, spero veramente ci sia buon senso da questo punto di vista.

C’è un po’ di confusione nella lettura delle ondate. La terza ondata è iniziata, ci siamo dentro, o siamo ancora nella seconda?

Stiamo parlando di dati convenzionali. La prima è terminata nell’estate 2020 e siamo entrati con settembre-ottobre nella seconda. Non mi sembra ci sia stata mai una riduzione che giustifichi un piatto fra due ondate. Secondo me la seconda ondata non è mai finita.

(Emanuela Giacca)

—- —- —- —-

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI

Leggi anche

VACCINI COVID/ Dalla Corte alle Corti: la neutralità che manca e le partite aperteINCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.INCHIESTA COVID BERGAMO/ Quella strana "giustizia" che ha bisogno degli untori