Mentre in Germania la situazione della pandemia viene definita “drammatica”, anche in Italia continua a salire la curva epidemica del Covid. Secondo la Fondazione Gimbe, si registra “per la quarta settimana consecutiva un incremento dei nuovi casi settimanali (+32,3%) a livello nazionale”. In crescita anche decessi, pressione ospedaliera, casi attualmente positivi e persone in isolamento domiciliare. A preoccupare sono soprattutto Friuli Venezia Giulia e Provincia di Bolzano “molto vicine alla zona gialla”. Per il secondo giorno consecutivo i nuovi casi hanno superato quota 10mila (10.638, dopo i 10.172 dell’altro ieri), con 625.774 tamponi, circa 88mila in più del giorno precedente, il che ha fatto scendere il tasso di positività dall’1,9% all’1,7%.



Le terapie intensive contano 17 pazienti in più, con 55 ingressi e 503 posti occupati in totale, mentre i ricoveri ordinari sono 28 in più e 4.088 in tutto. Infine i decessi: 69 (ieri 72), per un bilancio provvisorio di 133.034 vittime dall’inizio dell’epidemia. Un “bollettino di guerra” che deve farci preoccupare, e quanto? Che cosa dobbiamo aspettarci? Come possiamo far fronte a questa nuova ondata senza farci travolgere per l’ennesima volta? Ne abbiamo parlato con Massimo Clementi, professore ordinario di Microbiologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e primario, presso la stessa struttura, del laboratorio di microbiologia e virologia.



Perché stanno aumentando i contagi?

E’ un concorso di cause. In primo luogo, la quarta ondata che in Europa non risparmia nessun paese, specie nel Nord-Est del continente. In secondo luogo, abbiamo iniziato la stagione invernale, con temperature più rigide e una socialità che avviene prevalentemente nei luoghi chiusi. In terzo luogo, il numero purtroppo ancora consistente di persone non vaccinate o non completamente vaccinate. Le basti un numero: sono stato a Trieste e ho scoperto con sorpresa che ben 60mila anziani non immunizzati su una popolazione complessiva di poco più di 200mila abitanti. E lì rischiano la zona gialla.



Corriamo il rischio che insorgano nuove varianti?

In questo momento no, non ne stiamo vedendo e non c’è questa tendenza.

In che senso?

Non è che questo virus abbia una capacità illimitata di formare varianti della proteina spike, quelle che ci interessano e che sono in una regione che funzionalmente deve rimanere attiva. Ciascuna variante subentrata nel tempo ha migliorato la diffusività rispetto alla precedente, ma questo processo non può andare avanti all’infinito, ha un limite. E poi, al di là delle varianti che si sono formate, resta il fatto che la risposta anticorpale fornita dai vaccini, purché non decresca a livelli molto bassi, cosa che succede dopo 6-9 mesi dall’ultima dose, le ha sostanzialmente bloccate tutte.

A livello di contagi, ricoveri e decessi siamo molto lontani dai picchi della precedente ondata di un anno fa, in più l’Italia può vantare uno dei tassi più elevati di vaccinazione. E’ giustificato l’allarmismo che si sente in questi giorni? Siamo già in una sorta di disastro o stiamo andando verso un nuovo disastro?

No, non siamo in una sorta di disastro, però potremmo andare verso una situazione simile a quella della Germania.

Rischiamo di avere più di 60mila casi positivi al giorno?

Non arriveremo a quei livelli, ma per noi averne 30mila al giorno sarebbe un bell’impegno per il nostro sistema sanitario. Metterebbe in crisi il sistema di tracciamento e ci imporrebbe se non delle chiusure, almeno delle restrizioni che in questo momento non ci vorrebbero affatto.

Per evitare questo scenario, che cosa sarebbe il caso di fare fin da subito?

Vaccinare.

E poi?

Vaccinare. E poi vaccinare, e poi vaccinare… Noi abbiamo in Italia quasi 8 milioni di over 12 non immunizzati. Un milione e mezzo sono ragazzi, che comunque hanno dato un’adesione alla campagna vaccinale molto buona. La quota maggiore è invece rappresentata dai 30-50enni: portarne almeno la metà alla vaccinazione sarebbe un gran bel risultato.

E’ più importante vaccinare chi ancora non ha ricevuto neppure la prima dose o accelerare con le terze dosi?

L’uno e l’altro. La terza dose dà notevole solidità all’immunità, come ci dimostrano diversi studi condotti in Israele. E’ migliorativa anche rispetto ai risultati raggiunti con le seconde dosi. Ma bisogna portare i non vaccinati a immunizzarsi, perché sono in gran parte quelli che adesso si ammalano e finiscono in terapia intensiva, specie se di una certa età.

Come si presenta oggi la situazione nei pronto soccorso, negli ospedali e nelle terapie intensive?

Adesso è ancora gestibile, ci sono segnali di ripresa di infetti che vengono ospedalizzati. Le proporzioni sono sempre quelle: nove su dieci in terapia intensiva sono non vaccinati o vaccinati con una sola dose.

Assistiamo ancora all’insorgere di molte forme severe della malattia?

Sono diminuite. Il calo è stato progressivo nel tempo: nella prima ondata il 70-80% di quelli che arrivavano in pronto soccorso, allora senza alcun filtro, poi venivano direttamente in terapia intensiva. Nella seconda ondata la percentuale si è abbassata e poi ancora di più, tanto che oggi sono relativamente pochi.

Come se lo spiega?

I vaccinati spesso non si ammalano o lo fanno in forma lieve; i non vaccinati, anche con questa variante, presentano una minore incidenza di casi gravi.

Il virus si è forse indebolito? 

No. Il calo è dovuto al fatto che è più bassa l’età media dei ricoverati: i giovani e i bambini hanno la cosiddetta immunità innata, che garantisce una difesa migliore, in grado di fermare l’infezione nelle alte vie aeree, prima che diventi polmonite o broncopolmonite.

Gli under 12 quindi non andrebbero vaccinati?

Sì, anche se ci sono stati pochi casi gravi e pochi decessi in questa fascia d’età è invece importante vaccinarli, così il virus circolerà meno.

Mi perdoni: il vaccino difende dalla malattia, non impedisce però di contagiarsi né ferma la circolazione del virus. Dunque?

Il vaccino protegge dalla malattia e in una parte dei casi un vaccinato si può infettare, ma il contagio può avvenire perché il virus circola ancora tanto fra i non vaccinati. Siccome i sieri proteggono al 95%, se fossimo tutti vaccinati, avremmo un 95% della popolazione protetta e un 5% che in qualche modo ne beneficierebbe.

Avremo un Natale con il lockdown, e magari un lockdown solo per i non vaccinati, come in Austria? Sarebbe una contromisura efficace?

Non è il mio campo dire se questa misura funziona o non funziona. Più che chiudere i non vaccinati in casa sarebbe preferibile che si vaccinassero.

Il virus oggi è ancora quello di 22 mesi fa?

No, perché è andato via via acquisendo delle mutazioni che sono state poi selezionate. Fortunatamente queste varianti gli hanno concesso solo di replicare di più e meglio. Non si è ancora visto, di questo virus nuovo per l’uomo, quell’adattamento in misura significativa che normalmente si deve vedere dopo un po’ di tempo.

Quanto tempo?

E’ variabile, può avvenire in pochi mesi o dopo qualche anno. Questo processo, che rende il virus endemico e meno patogeno, è solo in parte abbozzato, ma non ancora ben delineato.

(Marco Biscella)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI

Leggi anche

VACCINI COVID/ Dalla Corte alle Corti: la neutralità che manca e le partite aperteINCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.INCHIESTA COVID BERGAMO/ Quella strana "giustizia" che ha bisogno degli untori