Dopo la pandemia, inevitabilmente, il mondo non sarà più come prima. Conviene cominciare ad immaginarlo diverso: lo sviluppo non sarà più progressivo, quasi esponenziale, come nei bei tempi andati, né tornerà alla “normalità” di prima della pandemia. Sarà diverso.
Per capire come sarà il futuro post-pandemico, è necessario dare uno sguardo agli effetti dell’epidemia. In Italia, dal marzo 2020 al marzo 2022 sono stati conteggiati circa 15 milioni di contagi e 160mila morti (dati Johns Hopkins University). Questi dati sono mere approssimazioni della realtà, nel senso che i contagiati sono meno numerosi dei contagi (dato che molte persone sono state contagiate più volte); d’altra parte, il sistema di “tracciamento” dei contagi ne ha persi svariati milioni, soprattutto nella prima fase della pandemia quando il sistema era ancora impreparato.
Inoltre, e questo è decisamente più rilevante, una minima parte dei contagiati è morta a causa del solo virus, mentre la maggior parte della mortalità è dovuta ad altre malattie complicate dal Covid. Infatti, l’Istituto superiore di sanità (Iss) ha diffuso i seguenti dati sulla mortalità da Covid-19: solo il 2% dei malati di Covid non aveva altre malattie croniche, il 9,8% ne aveva un’altra, il 17,1% ne aveva altre due e ben il 71,1% ne aveva almeno altre tre.
Con questi dati, l’impatto del coronavirus di Wuhan sembrerebbe molto meno grave di come l’abbiamo vissuto, tuttavia l’Istat e l’Iss (Report su “Impatto dell’epidemia Covid-19 sulla mortalità totale della popolazione residente; Anni 2020-2021 e gennaio 2022”) calcolano che nei due anni 2020 e 2021 si è verificato in Italia un eccesso di circa 80mila morti l’anno rispetto ai cinque anni precedenti la pandemia. Questo dato confermerebbe indirettamente le 160mila morti tracciate dal sistema sanitario. Tante. Non v’è dubbio che il timore del contagio da coronavirus negli ospedali ha ritardato diagnosi e cura di molte gravi malattie, cancro e infarto compresi, tuttavia il virus ha avuto, direttamente o indirettamente, effetti devastanti sulla popolazione.
D’ora in avanti, lasceremo sullo sfondo i dati sanitari e quelli sulla reazione sociale alla diffusione del virus, ossia sull’isolamento fisico reso obbligatorio durante la pandemia, anche perché gli uni e gli altri stanno perdendo d’importanza, e ci concentreremo su ciò che può riservarci il futuro.
Un primo dato notevole – già evidenziato in un precedente articolo – è l’ampiezza del disagio psicologico manifestato dagli italiani verso la fine del secondo anno di pandemia: il 23,7% della popolazione italiana ha mostrato malesseri psicologici tali da configurare una diagnosi clinica di depressione. È ben noto che i sintomi depressivi s’aggravano quando l’ambiente sociale è torbido e minaccioso e si attenuano quando la situazione sociale si schiarisce, per cui è possibile che il dato cambi con il migliorare della situazione sanitaria, tuttavia la diffusione della depressione è impressionante.
Le quote di depressi sono più elevate tra i giovani, i single e le donne. Per queste categorie le manifestazioni depressive sono destinate a protrarsi nel tempo, in notevoli proporzioni e con manifestazioni differenziate. I motivi della depressione sono fondamentalmente quattro:
• la paura del contagio, paura che, tra i non contagiati, tende addirittura ad essere superiore che tra i contagiati: sul concetto della pratica irrilevanza del contagio in sé e della prevalenza della paura del contagio torneremo anche nel seguito;
• l’isolamento fisico delle persone per evitare la diffusione del contagio: l’ampio utilizzo di sistemi di comunicazione a distanza, pur avendo favorito la comunicazione, non riesce a dare gli stessi benefici, in termini di socializzazione interpersonale, dell’interazione fisica, in modo particolare sulla popolazione giovane;
• il protrarsi senza fine dell’emergenza pandemica: l’emergenza ufficiale è finita, ma quella strisciante sta durando ben al di là del periodo inizialmente creduto verosimile; l’incertezza sulla fine della pandemia è tuttora causa di sconcerto per la maggior parte della popolazione;
• il disagio produttivo e l’enorme sforzo economico messo in atto dal governo nazionale e dall’Unione europea per supplire alla caduta della produzione e al rischio di chiusura di numerose attività commerciali e libero-professionali.
Tra tutte le categorie, quella dei giovani sembra essere quella più a disagio. I problemi sanitari li hanno sfiorati da lontano, con pochi contagi e pochissimi decessi; la stessa Didattica a distanza, che ha in genere effetti negativi sull’apprendimento, per certi gruppi di giovani, ha avuto effetti scolastici positivi; ciò che i giovani faticano a percepire è il loro ruolo nel futuro.
Molti, forse tutti i giovanissimi e giovani adulti, percepiscono l’esacerbarsi delle difficoltà di inserimento lavorativo e la sensazione che quanto è stato speso dalla comunità per far fronte alla pandemia si riverbererà soprattutto sulla loro generazione e, in ultima analisi, temono di non poter entrare in possesso dei mezzi per costruire il futuro, quella parte della storia che appartiene specificamente a loro. La loro è una sensazione di impotenza, di mancanza di speranza, di smarrimento.
Nella stessa indagine in cui è stata stimata la depressione è stata posta anche la seguente domanda: “Ha idee sufficientemente chiare su cosa farà dopo la pandemia, oppure è in difficoltà nell’immaginare se e come sarà la sua vita dopo?”. Gli interpellati potevano rispondere se avevano le idee chiare o se erano in difficoltà ad immaginare il proprio futuro. La domanda seguiva l’applicazione di un test psicometrico di otto quesiti volto a determinare se l’atteggiamento dei rispondenti verso la vita futura era passivo, oppure reattivo agli eventi, o, invece, proattivo, ossia entusiastico nell’affrontare gli eventi della vita. Le risposte sono presentate in sintesi nella tabella seguente.
Tabella. Percentuale di italiani che pensano di avere le idee chiare su cosa faranno dopo la pandemia, per categoria di popolazione. Giugno-luglio 2021
% | |
Genere: M | 80,0 |
F | 74,4 |
Età in anni: Fino a 34 | 64,8 |
35-64 | 86,9 |
65 e più | 87,8 |
Famiglia: Single | 67,9 |
Ha figli | 80,9 |
Senza figli | 74,0 |
Con problemi di convivenza | 42,9 |
Covid: Contagi personali | 76,7 |
Contagi in famiglia | 77,5 |
Con danni fisici | 87,5 |
Con danni psicologici | 52,1 |
Con danni fisici e psicologici | 58,3 |
Malattie croniche pre-esistenti: Nessuna | 74,5 |
Una | 84,4 |
Più d’una | 78,6 |
Disagio psichico | 42,9 |
Depressione clinicamente valutata | 50,0 |
Vaccinazione: Già fatta | 82,1 |
La farà appena possibile | 65,9 |
Non la farà | 66,0 |
Atteggiamento verso la vita: Passivo | 52,9 |
Reattivo | 80,5 |
Proattivo | 97,5 |
Provato smart-working o Didattica a distanza | 85,2 |
TOTALE | 77,0 |
L’indagine mostra chiaramente che l’eventuale contagio non influisce sulla chiarezza di visione del futuro; anzi, le persone a cui la malattia ha provocato danni fisici hanno, in media, una visione del proprio percorso post-pandemico più chiara di coloro che non sono entrati in contatto con la malattia e che per questo continuano a concepirla come un pericolo incombente. Sembra quasi che le persone che si sono lasciate gli effetti del contagio alle spalle si sentano rinfrancate dalla prova, tutto sommato superabile, e si sentano persino più forti psicologicamente.
Tra le categorie sociali, sono i giovani e le persone con difficoltà di convivenza in famiglia, nonché quelle con disturbi psichici o depressivi a manifestare le maggiori incertezze sul proprio futuro. Tra le persone che mostrano una più franca visione del futuro vanno segnalate quelle con atteggiamento proattivo verso la vita e coloro che hanno provato il lavoro da remoto e la Didattica a distanza. L’aver potuto provare le cose nuove della pandemia, come lo smart working e la Dad, ma non solo, sembra avere motivato chi le ha vissute da dentro a riflettere sulle novità; non è neppure escluso che l’aver praticato qualcosa di innovativo e funzionante faccia sentire queste persone come al centro dell’attenzione nella comunità di appartenenza.
Per il tipo di polemiche che hanno accompagnato la campagna vaccinale, segnaliamo anche la limitatezza nella visione del futuro dei cosiddetti no-vax, ossia di coloro che hanno preferito affrontare i rischi sanitari senza copertura vaccinale. Infatti, mentre tra i vaccinati l’82% dichiara di avere una chiara visione del futuro, solo il 66% dei no-vax è preparato a progettare il proprio futuro.
È di un certo interesse sapere che coloro che hanno procrastinato per mesi la vaccinazione, quantunque si fossero dichiarati disposti a vaccinarsi “appena possibile”, mostrano una visione del futuro simile a quella dei no-vax. È chiaro allora che, rispetto alla vaccinazione, l’aspettare gli eventi è sintomo di una insufficiente integrazione sociale che tenderà a ripetersi nel futuro. Costoro, che possiamo qualificare come incerti, sommati ai più determinati no-vax, ammontano al 31% della popolazione. Non poco, se pensiamo ai compiti che ci aspettano per rimettere a posto le macerie della pandemia.
In definitiva, possiamo affermare che non è stato l’alto livello di contagi, né l’isolamento fisico durante la pandemia, a limitare la capacità di visione del futuro della popolazione, bensì il disorientamento associato al rischio del contagio e alla sensazione di una durata senza fine della pandemia. I giovani – che, nel creare il proprio futuro, spesso sono indotti a rompere con la precedente generazione – e coloro cui manca il sostegno di una famiglia normale, sono quelli che più temono di non riuscire a far fronte alle intemperie della vita.
La pandemia è stata, come dicono i futurologi americani, un “cigno nero” della storia, uno shock sociale con bassissima probabilità di accadere. Noi dubitiamo che gli shock sociali siano così rari come i cigni neri. Infatti, una pandemia paragonabile a quella che sta per finire è stata l’influenza spagnola, la quale fece centinaia di migliaia di morti giusto un secolo fa. Tuttavia, gli shock sociali si susseguono uno all’altro: non è ancora finita la pandemia che è scoppiata la guerra in Ucraina.
Comunque sia, da sempre, gli shock sociali, hanno obbligato gli uomini a scindere il tempo in due: il passato e il nuovo che verrà. Oggi, siamo obbligati ad immaginare il futuro socio-sanitario del nostro Paese e del mondo. La guerra in Ucraina ci obbligherà ad una ulteriore correzione di rotta, dal punto di vista politico-militare. Dopo il prossimo shock economico-finanziario, ci sarà un’ulteriore correzione. Tendiamo a correggere la rotta solo dopo ogni urto sugli scogli.
Albert Camus, che ha scritto un romanzo, “La peste”, in cui descrive un’epidemia che ha molte analogie con quella che stiamo vivendo, afferma che, per immaginare una nuova giustizia, un nuovo ordine sociale dopo un forte shock sociale (lui aveva in mente una guerra) è necessario uno sforzo sovrumano. Lo sforzo, aggiungiamo noi, è soprattutto di volontà. A questo sforzo possono contribuire quei cittadini proattivi che sono in grado di ricostruire la società dalle fondamenta. Sapere chi sono i proattivi è, quindi, almeno altrettanto importante (in positivo) che saper individuare i depressi (in negativo). Questo è un compito per esperti di test psicometrici e per altre indagini come la nostra.
Naturalmente, il ruolo principale nell’indirizzare gli sforzi della gente spetta ai governanti e ai decision maker. Per questo non basta disporre della sola energia necessaria a gestire il cambiamento. Né bastano competenze meramente tecniche. Per esempio, i vaccini sono stati sviluppati ad una velocità incredibile e, dopo qualche impaccio iniziale, anche le terapie anti-Covid sono migliorate tanto da ridurre la mortalità ad una frazione dell’atteso. Però la pandemia ha dimostrato che il genere umano non è tuttora in grado di plasmare un’ecumene sano: anche se il sistema sanitario è buono, non significa che la vita associata e l’uso della natura da parte dell’umanità siano tali da garantire la salute della gente.
È dunque necessario sapere dove e come muoversi. Il problema dei nostri giorni è che il futuro non è più la mera estensione del passato. Conoscere il passato è necessario, ma non è sufficiente per immaginare il futuro. L’incertezza e la velocità del cambiamento, nonché la complessità sociale, sono tali da richiedere un generale ripensamento dello sviluppo economico e sociale, poiché questo dovrà garantire sia la salute e il benessere individuale, sia la convivenza sociale, sia la conservazione del pianeta. Tanti obiettivi allo stesso tempo.
Ci vorrà, pertanto, capacità di visione, specifica convinzione e coraggio di rompere gli schemi che non funzionano, per proporne altri più sostenibili.
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