L’impatto devastante delle varianti costringerà molte altre regioni a entrare in zona rossa, ha anticipato il ministro della Salute, Roberto Speranza. Si parla anche di una super-zona rossa di tre settimane per permettere la vaccinazione. Del resto, i numeri parlano chiaro: in Piemonte nelle ultime 24 ore si sono contati 1.214 nuovi contagi e 16 morti; in Emilia-Romagna 2.987 contagi e 50 morti con oltre mille ricoveri solo nella città di Bologna. Per Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli Studi di Milano, da noi intervistato, “sono necessarie nuove restrizioni per permettere che la vaccinazione possa svolgersi finalmente su grande scala. Stiamo subendo una ondata che si sovrappone alla seconda, causata dalle varianti del virus, soprattutto quella inglese”.



Qual è l’andamento dei contagi, come lo caratterizzerebbe?

Siamo all’inizio di una terza ondata, o meglio un’ondata che si inserisce sulla seconda ancora in atto, legata in prevalenza alle varianti che sono ormai presenti sul territorio nazionale, soprattutto la variante inglese.

Quindi è la presenza delle varianti che ci ha portato a questa nuova alta diffusione dei contagi?



Certo, ci hanno portato a questa recrudescenza. Le varianti sono più contagiose e colpiscono maggiormente anche i più giovani. La patologia si manifesta in forma più violenta.

Stiamo andando verso un plateau come l’anno scorso? O verso un picco?

Siamo ancora in fase di crescita che durerà, secondo le nostre previsioni, fino al 20-21 marzo.

Si parla di nuove misure di restrizione. Lei stesso ha detto che se non un nuovo lockdown nazionale, servono nuove restrizioni per piegare la curva del contagio. È così?

È l’unica strada che abbiamo per poter gestire al meglio la vaccinazione.



La gente però, a sentir parlare di nuove restrizioni, è sempre più insofferente. Pensa che saprà adattarsi senza creare problemi?

Non sarà facile dal punto di vista politico, accettare nuove restrizioni diventa sempre più dura. Ritengo che il lockdown nel weekend, un anticipo del coprifuoco e la chiusura dei centri commerciali per evitare assembramenti, come la chiusura delle scuole, già decisa, siano il minimo necessario che la gente debba accettare, perché altrimenti, come detto, non riusciamo neanche a gestire la vaccinazione.

Come stanno andando i ricoveri, soprattutto quelli in terapia intensiva?

La situazione non è facile, in molte province si è raggiunto un 30% in più di ricoveri rispetto ai posti a disposizione. Il problema c’è ed è una situazione che comincia a diventare impegnativa.

Ci siamo mossi in ritardo?

Direi di no. Il sistema a colori un risultato l’ha ottenuto: ha mitigato la diffusione. Chiaro che adesso abbiamo un elemento suppletivo, quello delle varianti, che determina una strozzatura maggiore.

L’impressione è che le strutture sanitarie siano sempre nella medesima situazione, non crede?

Onestamente non si può fare più di così. Le strutture si sono riorganizzate, sono stati creati più posti letto, c’è anche più personale meglio strutturato.

Quando avremo il picco dei decessi?

La proporzione è sempre ritardata, i decessi sono rappresentativi dei casi sorti almeno 15 giorni prima, quindi anche qui raggiungeremo il picco alla fine di marzo.

Possiamo paragonare l’Italia di oggi al Regno Unito quando registrava 1.600 morti al giorno?

No, non è assolutamente il caso, le condizioni sono del tutto diverse.

Proprio nel Regno Unito la vaccinazione di massa ha dimostrato che la situazione è nettamente migliorata. Sarà così anche per noi?

Assolutamente sì, la vaccinazione anti-Covid potrà essere attuata su grande scala in un prossimo futuro, se sapremo però prendere le giuste responsabilità così da evitare un’ulteriore diffusione del virus.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI

Leggi anche

VACCINI COVID/ Dalla Corte alle Corti: la neutralità che manca e le partite aperteINCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.INCHIESTA COVID BERGAMO/ Quella strana "giustizia" che ha bisogno degli untori