Che si sia in presenza di una quarta ondata (o quinta se consideriamo anche la mini-ondata di agosto) è ormai fuori di ogni dubbio.

Tutti i parametri sono, infatti, in crescita da circa un mese o poco più. In effetti, il tasso di positività cresce ormai da oltre un mese ed è passato dal minimo di 0,62 % registrato il 21 ottobre al 2,1% del 28 novembre. Più o meno nello stesso arco di tempo i nuovi positivi sono cresciuti passando da 2.458 il 18 ottobre a 11.736 il 28 novembre. I ricoverati con sintomi crescono pure ormai costantemente, essendo passati dai 2.422 registrati il 20 ottobre ai 4.708 di oggi, mentre quelli ricoverati in terapia intensiva sono passati da 342 il 27 ottobre a 591 in data odierna. Infine, anche i decessi crescono ormai costantemente, essendo raddoppiati nell’ultimo mese, passando da 34 a 71 in media mobile settimanale.



La crescita dell’ultima settimana è decisamente accelerata. Il tasso di positività è cresciuto dall’ 1,8% al 2,1% (+16%), i nuovi positivi da 9.500 a 11.736 (+23%), i ricoverati con sintomi da 4.195 a 4.708 (+12%), le presenze in terapia intensiva da 509 a 591 (+16%) ed infine i decessi giornalieri da 61 a 71 (+16). Tuttavia, la portata di questa nuova, ennesima, ondata non è minimamente paragonabile nella sua intensità a quella che stavamo vivendo lo scorso anno in questo stesso periodo.



Un anno fa nella stessa data, infatti, il tasso di positività era al 12,4% (6 volte maggiore di quello odierno), i nuovi positivi giornalieri 26.290 (più del doppio di quelli di oggi), i ricoverati con sintomi 34.126 (7 volte in più), i ricoverati in terapia intensiva erano 3.809 (7 volte di più) ed infine i morti giornalieri erano ben 725 (circa 10 volte in più di quelli attuali!).

L’andamento di lungo periodo del numero dei decessi, riportato nella figura seguente, mostra con chiarezza il susseguirsi ciclico delle diverse ondate negli ultimi due anni circa, la cui intensità, tuttavia, tende con evidenza ad attenuarsi nel tempo.



Anche la celebre influenza Spagnola del 1918-1920 si spense dopo circa due anni e dopo una serie di ondate cicliche di intensità decrescente, ma le possibilità di diffusione del virus sono oggi imparagonabili a quelle di cento anni fa, con la più elevata possibilità di viaggiare e, in generale, con spostamenti e occasioni di incontri e socialità immensamente superiori a quelle di allora. Le condizioni attuali evidentemente frenano maggiormente la scomparsa della pandemia.

Nella pandemia che stiamo vivendo abbiamo però degli alleati in più rispetto a quella di cento anni fa, che sono i vaccini. Il vaccino è in effetti ancora a tutt’oggi la chiave principale per uscire dall’emergenza, ma occorre non sottovalutare il fatto che esso non è infallibile. Il suo successo nel proteggerci dall’infezione è, infatti, da valutare in termini probabilistici e non deterministici.

Al momento della somministrazione, ad esempio, il vaccino Pfizer-BioNTech garantisce, infatti, una protezione del 95%: un valore per certi versi molto rassicurante. All’atto della somministrazione vi è solo una probabilità del 5% di infettarsi per i vaccinati. Tuttavia, per comprendere appieno il significato di tale probabilità, pensiamo alla seguente situazione. Immaginiamo di essere in una stanza nella quale si trova un gruppo di 20 individui che hanno appena ricevuto l’ultima dose vaccinale, i quali (sentendosi forti della copertura appena ricevuta) si intrattengono senza alcuna protezione ed entrano in contatto fortuitamente con un individuo infetto. In tal caso uno di essi risulterà comunque infettato nonostante la protezione vaccinale.

Ma soprattutto non dobbiamo sottovalutare il fatto che la protezione vaccinale diminuisce notevolmente col tempo. Infatti, per lo stesso vaccino Pfizer-BioNTech, dopo sei mesi, essa scende al 47%. Immaginiamo, dunque, di incontrare di nuovo quei medesimi 20 individui di prima, i quali si trovino dopo sei mesi nella medesima stanza per ricevere la dose di richiamo e, nell’attesa di riceverla, non ricorrano ad alcuna protezione. Se quegli individui entrassero di nuovo in contatto con una persona infetta, stavolta ben 9 di essi si infetteranno.

Questa considerazione evidenzia la necessità di estendere il più possibile la copertura vaccinale (oggi in Italia ferma al 73,8% della popolazione) e di provvedere al più presto alla somministrazione della terza dose booster a tutti gli italiani, la quale per ora ha interessato solo il 9,3% della popolazione. Per il resto, è necessario che tutti, vaccinati e non vaccinati, non abbassino la guardia, adottando tutte le possibili misure di distanziamento sociale e tutti i presidi di protezione individuali previsti nelle situazioni di incontri in luoghi chiusi (cinema, teatri, palestre, ristoranti, mezzi di trasporto eccetera). Infine, è necessario che anche i vaccinati continuino ad attenersi scrupolosamente ai protocolli (periodo di isolamento fiduciario e quarantena) nel caso di entrata in contatto con soggetti positivi, anche in assenza di sintomi.

Sottovalutare gli effetti del virus oggi, interpretando le norme invece di applicarle rigorosamente, rischia, infatti, di vanificare gli effetti della vaccinazione e di spostare ancora in avanti la fine dell’emergenza pandemica e l’emergenza di nuove varianti.

Le nuove varianti, appunto. E’ di questi giorni l’entrata in scena della variante Omicron (B.1.1.529), la quale potrebbe aggiungere ulteriori preoccupazioni nella lotta alla pandemia. Tuttavia, i dati empirici su di essa al momento in cui scrivo sono ancora insufficienti a trarre conclusioni fondate circa la sua gravità e quindi ci occuperemo di essa in un nostro futuro intervento.

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