Zingaretti può finalmente festeggiare il superamento dei decreti Salvini: il Consiglio dei ministri di ieri sera ha approvato un decreto-legge che cambia i decreti sicurezza. C’è anche il varo della Nadef (Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza) 2020. Il governo si prepara anche a varare un Dpcm contenente la proroga dello stato di emergenza fino al 31 gennaio 2021 e nuove misure restrittive per arginare la diffusione dei contagi da Covid-19. Oggi il ministro Speranza sarà a Senato per illustrare il provvedimento. Stando a quanto diffuso da fonti di stampa, palazzo Chigi vorrebbe limitare il potere delle regioni come era avvenuto fino al 18 maggio, per evitare che i governatori emettano ordinanze meno restrittive di quelle varate dal governo.
Le reazioni dei presidenti regionali non si sono fatte attendere. Emblematica quella di Giovanni Toti, neo riconfermato governatore della Liguria: “riterrei intollerabile togliere poteri alle regioni all’indomani della rinnovata fiducia alla maggior parte dei governatori che hanno gestito l’emergenza Covid. Sarebbe un vero e proprio esproprio democratico”. Per Paolo Quercia, analista di politica estera e direttore del Cenass, al di là di queste reazioni a caldo, comunque emblematiche, le recenti elezioni regionali, insieme alla vicenda dei fondi europei e al Covid-19 “spingono con forza verso un obiettivo pericoloso”.
Chi ha ragione, l’esecutivo o i governatori delle regioni?
Chi ha ragione non lo so. Mi limito ad osservare che l’emergenza Covid sta potenziando numerosi fattori già presenti che ora spingono con forza verso un obiettivo a mio avviso pericoloso: un progressivo indebolimento dello Stato centrale, delle sue istituzioni e delle sue funzioni.
Cosa glielo fa pensare?
Il taglio dei parlamentari prodotto dal referendum con conseguente perdita di legittimità di parlamento e governo vanno in questa direzione; così come l’ulteriore balzo del debito pubblico nazionale di cui si dovrà fare carico lo Stato per salvare i sistemi sanitari regionali e pompare nel sistema spesa improduttiva; così come i nuovi vincoli politici che l’Unione Europea porrà all’Italia per avere i fondi; ma anche i nuovi poteri che le regioni traggono dalla lotta al Covid che fanno saltare una razionale divisione delle competenze. Tutto va verso una stessa direzione.
Quale, secondo lei?
Inefficientare il potere centrale, caricarlo di ulteriori costi e dimostrarne l’inutilità e l’incapacità. Invocare l’impiego delle forze armate per controllare che si rispetti l’obbligo di indossare la mascherina all’aperto deciso dai presidenti delle regioni mi pare che rispecchi perfettamente il quadro.
Vuol dire che dentro la partita anti-Covid c’è una partita politica?
Direi post-politica. La dissoluzione dei partiti, l’ascesa del populismo anti-istituzionale e l’emergenza sanitaria stanno ridisegnano il quadro. Dietro le misure anti-Covid mi pare che si giochi anche una partita non solo medica, ma che riguarda sovranità ed autonomia. In questo i governatori del Nord o del Sud, di destra o di sinistra, giocano nella stessa squadra.
Ieri la presidente Casellati sul Corriere ha usato parole molto severe. Sulla proroga dello stato di emergenza, “Abbiamo bisogno di verità”; e “L’emergenza Covid ci ha dimostrato come il rapporto tra Stato e Regioni non funzioni”. Che ne pensa?
Mi è sembrato un appello in difesa della democrazia rappresentativa. Io vedo il rischio di un Paese che si sta perdendo in tante piccole micro-politiche, molte effimere, altre illusorie. E che perde di vista i grandi universali del bene comune e non vede il logorio a cui è sottoposto il nostro sistema istituzionale.
Torniamo alle ultime elezioni regionali. Chi le ha vinte?
A mio modo di vedere i risultati non vanno letti come un punteggio destra-sinistra, perché molti dei governatori non sono collocabili né a destra né a sinistra. Sono uomini-territorio a capo di cartelli locali ampiamente sostenuti da liste locali. I partiti nazionali mi pare che abbiano perso quasi tutti o siano stati secondari. Osservando queste competizioni possiamo quasi dire che l’obiettivo non è più politico-valoriale, affermare un set di principi contro un altro, ma patrimoniale: intercettare risorse e competenze e portarle a casa.
Quali risorse? Quelle europee?
Ho come la sensazione che per le risorse si faccia affidamento alle capacità di prestito dell’Ue, mente per le competenze si miri alle residue attribuzioni dello Stato. In un tale sistema non c’è posto per una destra e una sinistra, ma per un partito della finanza pubblica europea ed un partito della spesa pubblica regionale.
Questo modello come coesiste con quello europeo?
Sono i due vecchi processi di devoluzione della sovranità verso l’alto e verso il basso che lavorano lentamente ed in sintonia per depotenziare lo Stato nazionale e che, grazie al Covid, accelereranno notevolmente. Basti pensare che uno degli argomenti per il taglio dei parlamentari al referendum è stato proprio questo: quando è stata varata la Costituzione non c’era il parlamento europeo e non c’erano le assemblee regionali. Ora che ci sono possiamo tranquillamente tagliare il parlamento. Più chiaro di così.
Nel processo di depotenziamento dello Stato nazionale entra anche il fattore migratorio?
In teoria non ci dovrebbe entrare, in quanto le questioni migratorie sono competenza degli Stati nazionali, che dovrebbero regolarle con le loro politiche estere prima e interne poi. Ma come stanno andando le cose negli ultimi anni, direi che vediamo confermato quanto sopra.
Ci spieghi in che modo.
I fenomeni migratori premono incontrollati sulle regioni e sui territori creando problemi locali notevoli che gli Stati non vogliono affrontare, non sanno affrontare o sono spinti a non affrontare. Ed in questo modo perdono sovranità e legittimità. Al tempo stesso si sta cercando – inutilmente – di arginare il problema locale europeizzandolo.
Come?
Mediante meccanismi di ridistribuzione in altre regioni d’Europa e progressivo controllo dei confini comuni da parte dell’Unione Europea. Anche qui, mi pare che stiamo andando nella stessa direzione: l’erosione del potere centrale degli Stati deboli.
(Federico Ferraù)