L’epidemia non dà tregua, la campagna vaccinale cerca di trovare un passo più spedito, le misure restrittive sembrano sempre le stesse, le strategie di contenimento si basano ancora sui diversi colori delle regioni. Eppure nel giro di poche settimane la governance della lotta al Covid – capo della Protezione civile, Commissario straordinario per l’emergenza, Comitato tecnico-scientifico – sono state investite da nuove nomine e pesanti ristrutturazioni. Ma è come se la discontinuità, colta e sottolineata da alcuni osservatori, facesse fatica a fare capolino nell’opinione pubblica. Insomma, gli italiani si sono accorti di questo cambio di scenario? E quali altre novità è lecito attendersi perché prenda sempre più volto? Ne abbiamo parlato con il professor Luigi Fabbris, associato a Tolomeo Studi e Ricerche Srl di Padova e già professore di Statistica sociale all’Università di Padova.
Il governo Draghi ha cambiato tutta la linea di comando delle strutture anti-Covid: Commissario per l’emergenza, capo della Protezione civile, Comitato tecnico scientifico. Si può già parlare di discontinuità?
Il governo Draghi ha subito cambiato gli organi tecnici in capo alle attività dirette a risolvere l’emergenza, lasciando al suo posto il ministro della Salute. La discontinuità ha riguardato le componenti tecnico-politiche, ossia i due organi monocratici (Commissario per l’emergenza e capo della Protezione Civile) che si erano distinti per la presenza sui mezzi di comunicazione, e quella tecnica per definizione, il Comitato tecnico-scientifico (Cts). Il Cts è stato ridotto nella dimensione e nelle funzioni.
E come valuta questa operazione?
Va detto che il Cts è sempre stato un organo dalle modeste competenze tecniche, succube di scelte e di criteri di gestione dei dati decisi in sede politica, e in modo particolare dell’Istituto superiore di sanità (Iss), della Protezione civile e delle Regioni. L’incapacità di modificare e rendere realmente operativo il sistema dei 21 indicatori del contagio è l’emblema di questa incompetenza. Tre di questi indicatori venivano utilizzati per decidere i colori delle regioni; tuttavia, da molti mesi, neppure quei tre sono utilizzati per definire i colori delle regioni e delle province o, per essere più precisi, sono utilizzati solo a giustificazione aggiuntiva se sono coerenti con le scelte decise in base ad altri parametri.
Qual è allora l’indicatore chiave che incide sulle scelte dei colori?
L’indicatore principe oggi è il tasso di contagio determinato in base alla proporzione di nuovi casi sulla popolazione, il quale è virtualmente un ottimo indicatore di contagio, solo che si basa su dati assolutamente precari (come sono quelli dei nuovi casi in qualche modo rintracciati) e non fa parte dei 21 di cui si è detto. Un altro indicatore decisionale è il protagonismo dei presidenti delle Regioni, che colorano la propria regione in modo diverso dalle indicazioni che danno i numeri.
Come valuta il nuovo Cts?
Il Cts del governo Draghi è diventato un “pastone istituzionale”, nel quale sono presenti rappresentanti di più organi tecnici, tra cui l’Aifa, la Protezione civile, la Conferenza delle Regioni, nonché lo stesso Iss. Non discuto sulla qualità delle persone, ma del mandato percepibile: di fatto, il Cts è un’appendice dell’Iss. Il millantato inserimento di competenze statistiche e matematiche si è sostanziato nell’inserimento di una giovane ricercatrice universitaria e di un simpatico ingegnere gestionale che, nel tempo libero, si diverte interpolando funzioni di contagio. Tra l’altro, l’ingegnere si è dimesso pochi giorni dopo la nomina, poiché gli accademici gli contestavano di interpolare le funzioni per diletto e non per mestiere e di non aver avuto sempre successo nelle previsioni; come se virologi ed epidemiologi che lo facevano per mestiere ci azzeccassero sempre. Ma è meglio fare un discorso alla volta.
Accennava al fatto che il Cts è un appendice dell’Iss…
Un osservatore esterno potrebbe dire: lasciamo lavorare il Cts, è appena stato costituito. Tuttavia, se si tratta di un canale per avallare le decisioni dell’Iss, il Cts non serve. Già prima, l’Iss parlava senza consultare il Cts, figuriamoci ora che del Comitato è il baricentro. Inoltre, come cittadini, speriamo che la partecipazione al Cts delle persone che hanno ruoli pubblici sia a titolo gratuito, altrimenti li paghiamo due volte per la medesima funzione. Se la partecipazione è invece a titolo oneroso, conviene sopprimere un ente inutile.
È auspicabile che sul sistema informativo per gestire l’epidemia e la campagna vaccinale possano arrivare delle novità? Dove si dovrebbe intervenire?
Se proprio vogliamo creare un organo di consulenza per risolvere i problemi dell’epidemia – anzi delle epidemie, perché quando questa sarà un ricordo se ne presenterà un’altra – si crei un comitato di garanzia per la progettazione e la messa in funzione di un sistema informativo-statistico (Sis) sulle epidemie.
Come dovrebbe essere strutturato questo comitato di garanzia?
Un comitato come questo dovrebbe essere composto da persone di alta qualità statistica e da rappresentanti dei portatori di interesse delle informazioni che produce. Dovrebbe avere un mandato a tempo, scaduto il quale il sistema creato dovrebbe restare di competenza dell’Istat, o di un organo di gestione che gode della fiducia dell’Istat. Il sistema dovrebbe informare in modo tempestivo, analitico e integrato su dove, come e con quali effetti si verificano contagi in Italia, con un dettaglio territoriale almeno provinciale, nel senso che le aree entro le quali si cercano le informazioni devono avere una dimensione provinciale e, almeno per il tempo in cui durano le epidemie, anche dimensioni inferiori alla provincia. Il Sis deve poi integrarsi con il già esistente flusso di informazioni di natura amministrativa generato dal sistema sanitario italiano.
Per quanto dovremo convivere con il virus?
Dovremo convivere con i virus. Il sovrappopolamento del pianeta e la prossimità tra uomo e animali hanno già provocato varie epidemie (Sars, Mers, Aviaria eccetera). Ne avremo ancora nel futuro, anzi ne avremo diverse e a scadenza ravvicinata. Il coronavirus ha dimostrato di poter apparire e scomparire quando vuole, ritornando ogni volta com’era o variando la propria natura: la Sars di oggi è una variante, chissà come generata a Wuhan, della Sars di una ventina d’anni fa. Il dover convivere con i virus implica che dobbiamo trovare il modo di intervenire, con isolamento sociale e provvedimenti sanitari, quando i sintomi si manifestano in forma statisticamente percepibile. Il dover convivere con il virus non significa che l’emergenza non si possa chiudere se non ci sono diffusi contagi.
Che cosa intende dire?
Vuol solo dire che dobbiamo stare attenti a non lasciare che i contagi diventino forme epidemiche difficili da contrastare. Rispetto a quella che ci angustia da oltre un anno, i virologi paventano il rischio che stiano agendo varianti del virus così sfuggenti da mettere in discussione la validità dei vaccini. Nel futuro, le varianti saranno la norma e serve solo al folklore accademico il sapere quale lingua parlano: inglese, brasiliano eccetera. Al cittadino interessa solo sapere se i vaccini in commercio sono adeguati a neutralizzarle. Per quelle che non sono neutralizzabili con i vaccini esistenti, dobbiamo dare spazio alle nuove idee e finanziamenti alle ricerche mirate e, naturalmente, continuare a seguire le regole che prevengono il contagio. Ma dobbiamo stare attenti a una cosa.
Quale?
È utile ricordare che l’epidemia da aviaria, così detta perché si supponeva che il virus fosse trasmesso dagli uccelli, non è mai diventata una pandemia, anzi ha avuto pochissimi effetti sulla popolazione mondiale. Alla fine della pretesa pandemia, con un certo disappunto dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), si è constatato che erano stati preparati troppi vaccini per un’epidemia inconsistente. Sono stati così smaltiti milioni di fiale di vaccino inutilizzate. Paradossalmente, nel caso del coronavirus, a causa vuoi del modo pasticciato con cui l’Europa ha contrattato l’acquisto dei vaccini, vuoi delle furbizie delle case farmaceutiche, rischiamo, se continuano a manifestarsi sempre più varianti resistenti ai vaccini, di buttare milioni di fiale per averle troppo a lungo attese. Sulla capacità di attivare ricerca specifica tempestiva e di far funzionare un sistema informativo che funga da sentinella presso la popolazione si giocano sia la credibilità del governo nazionale, sia la possibilità per la Commissione europea di riscattare un’immagine contrastata.
C’è chi parla di terza ondata dell’epidemia, altri parlano di ultimo miglio. In quale fase dell’epidemia siamo?
Lasciamo stare la retorica dell’ultimo miglio che ci viene propinata ad ogni cambio di vento. Purtroppo, i dati sull’epidemia non fanno presagire niente di positivo nel futuro prossimo. Basta analizzare le curve del contagio e della mortalità per Covid e si capisce che siamo nel pieno di una fiammata infettiva e che la mortalità potrebbe crescere nelle prossime settimane. La curva dei contagi in Italia (Figura 1) rivela che, pur togliendo la tara delle forti fluttuazioni nel numero di tamponi realizzati, c’è una tendenza all’incremento dei contagi che le recenti restrizioni alla mobilità hanno in parte contrastato. Sembra che lo stesso fenomeno si sia verificato in Francia e Germania, seppure con ordini di grandezza diversi dai nostri.
Figura 1. Nuovi casi di contagio (e media calcolata su 7 giorni) in Italia (Fonte: JHU CSSE COVID-19 Data)
Che cosa ci mostra la Figura 1?
Rende palese che, nel periodo che va dalla seconda metà di dicembre fino alla prima metà di febbraio, l’Italia è stata esposta a una terza ondata epidemica e che, dai primi di febbraio, sta invece agendo una quarta fiammata, più importante della terza per entità dei contagi, ma che sembra stia per avvicinarsi ad un tetto, dopo il quale dovrebbe iniziare la discesa. Naturalmente, se non se ne accende una quinta.
L’incremento di contagi in Italia non si è tradotto in un altrettanto netto incremento della mortalità. Tuttavia, la tendenza all’aumento della mortalità – dopo una tendenza alla diminuzione che è durata da metà gennaio ai primi giorni di marzo – dura da oltre due settimane ed è ben noto che la mortalità per Covid si verifica una ventina di giorni dopo il contagio, come mostra la Figura 2. Quindi, la mortalità in Italia continuerà a crescere, o a non diminuire, per qualche altra settimana, prima di scendere decisamente.
Figura 2. Numero di decessi (e media calcolata su 7 giorni) in Italia (Fonte: JHU CSSE COVID-19 Data)
Analizzando la realtà epidemica di Israele, Regno Unito e Stati Uniti, Paesi nei quali la vaccinazione è progredita più speditamente che in Italia, emerge che il contagio è nettamente in calo. Un esempio da seguire?
In Israele, i nuovi casi d’infezione sono poco più di mille e i decessi si avvicinano a zero. Ciò significa che, se la popolazione è vaccinata in un tempo breve, si ottiene quasi l’annullamento dei contagi. La velocità con cui l’epidemia si sta estinguendo in Israele è la stessa con cui il contagio si era diffuso, come si può vedere dalla Figura 3. Un aspetto collaterale del quasi annullamento dei contagi è che la mortalità per Covid si riduce anche in rapporto ai contagiati: se si rapportano i morti attuali con il numero di contagi di 20 giorni prima in quel Paese (per il calcolo si fa riferimento ai dati mediati su 7 giorni) si ottiene che i morti sono 0,4 ogni 100 contagiati, un valore che è nettamente inferiore al valore tipico durante l’epidemia da coronavirus: il valore standard nel mondo è di poco superiore all’1%, mentre in Italia, oggi, è di 2,3% contagiati, ma nel passato è stato anche notevolmente superiore.
Figura 3. Nuovi casi di contagio (e media calcolata su 7 giorni) in Israele (Fonte: JHU CSSE COVID-19 Data)
Tutto questo che cosa significa?
Si vuol dire che, con la vaccinazione di massa, non solo diminuiscono i contagi, ma diminuisce la mortalità in rapporto ai contagi. È probabile che ciò dipenda dalle migliori cure dedicate ai pochi casi che arrivano negli ospedali, ma è un motivo in più per vaccinarsi.
(Marco Biscella)
(1-continua)
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