L’Oms lo conferma: il numero dei contagi nel mondo da Covid-19 continua a calare. Al momento siamo, per la quarta settimana consecutiva, in una situazione di decrescita che ci ha riportato ai livelli di ottobre 2020. I contagi non sarebbero mai stati così bassi dal 26 ottobre scorso: sono stati 3,1 milioni i nuovi casi la settimana scorsa, il calo è del 17% rispetto alla precedente. Un dato tranquillizzante, confermato anche su scala nazionale. Se i numeri sono tornati ai livelli di ottobre 2020, è anche vero però che si è verificato un appiattimento verso l’alto che fa prevedere, più che un ulteriore calo, una possibile risalita a fronte dell’allentamento recente delle misure su scala regionale. E allora come interpretare, rispetto al nostro Paese, quello che sta accadendo? E cosa aspettarci per le prossime settimane, guardando anche ai dati regionali? Ne abbiamo parlato con Giovanni Sebastiani, matematico dell’Istituto per le Applicazioni del calcolo del Cnr.



Lei ha osservato, e lo conferma anche quanto detto dall’Oms, che oggi siamo di fronte a livelli simili a quelli registrati nell’ottobre 2020. Le curve sono stabili, però non sono calanti. Cosa sta succedendo, a che punto siamo?

Con tutte le azioni che abbiamo fatto sia a fine ottobre-inizio novembre che da Natale all’Epifania, siamo ritornati – e non è un fatto negativo – a percentuali simili a quelle registrate attorno al 20 ottobre. Vuol dire che siamo tornati a una percentuale di positivi sui tamponi molecolari dell’8% circa, ma la mortalità per Covid, seppure in calo, è alta, poco meno di 400 persone al giorno: è una curva teorica naturalmente, che non guarda alle oscillazioni giornaliere.



Questo cosa ci suggerisce?

Dal mio punto di vista, quello che dovremmo fare adesso non è stare a guardare. Al momento la percentuale è, con delle piccole variazioni, piatta, però facendo un’analisi settimanale si nota che c’è un trend d’aumento, a livello regionale lo si vede molto bene.

Cioè?

Ci sono regioni come il Piemonte, la Campania, la Toscana, e la Provincia autonoma di Bolzano, in cui la percentuale di positivi sui test molecolari fatti è in netto aumento. Anche le terapie intensive seguono la stessa tendenza, basti pensare all’Umbria, all’Abruzzo, al Friuli Venezia Giulia, e purtroppo si vanno aggiungendo sempre più regioni in cui aumentano i numeri delle terapie intensive e, cosa più preoccupante, il numero di ingressi in terapia intensiva.



E a livello nazionale?

A livello nazionale la curva è praticamente piatta, anche le terapie intensive si stanno appiattendo, dopo un calo lineare da circa tre settimane. Questo sta avvenendo anche sulle regioni grandi, la Lombardia ad esempio per le terapie intensive ha una curva quasi piatta.

Che evoluzione è prevedibile per queste tendenze?

Abbiamo l’esperienza del periodo di novembre: la quasi totalità delle regioni che a novembre sono state gialle, a dicembre hanno avuto un periodo di terapie intensive in crescita, cosa che non è accaduta, o almeno è accaduta con una frequenza molto più bassa, nelle regioni che a novembre erano arancioni o rosse, quindi adesso a mio avviso non dovremmo restare a guardare.

Qual è il rischio?

Il colore giallo di tante regioni viene interpretato male dalle persone, offrendo al virus condizioni migliori (per lui, non certo per noi) di circolazione. In più ci sono le varianti, che sembrano avere una trasmissibilità maggiore. È praticamente certo che se stiamo così a guardare la curva risalirà, le terapie intensive che si stanno appiattendo risaliranno e i decessi, che ora sono in diminuzione, si appiattiranno per poi risalire come le terapie intensive, e questa è la nota più dolente dal mio punto di vista.

L’aumento delle terapie intensive in certe regioni appare correlato alla circolazione delle varianti?

Esattamente. Di regioni ne abbiamo poche, quindi a livello statistico è un dato poco significativo, però si nota che Umbria, Toscana, Molise e altre regioni in cui stanno aumentando i numeri delle terapie intensive sono tutte regioni in cui è stata riscontrata la circolazione delle varianti del virus.

Il fatto che come Paese non stiamo portando avanti un vero e proprio sequenziamento non aiuta.

Infatti, per questo al momento siamo nel campo delle ipotesi per quanto riguarda la correlazione con le varianti.

L’Oms conferma che il numero contagi non è stato mai così basso dal 26 ottobre. Un dato che, associato alla zona gialla, potrebbe essere male interpretato?

Così come viene male interpretata la zona gialla: essendo le misure molto più blande le persone pensano che sia una condizione di tranquillità, abbiamo visto tutti gli assembramenti al weekend. Per carità, non colpevolizzo nessuno, la gente è stanca, ma la mascherina abbassata, dopo un po’, anche se ora non lo vedi, indirettamente si trasforma in morti. Questa è la cosa che mi fa più male, anche perché le morti vanno poi a colpire la fascia della popolazione che ha meno potere.

In che senso?

Cosa può fare un ultraottantenne? Che potere ha? Anzi, molti di loro dicono: cederò il vaccino a mio nipote. Ci sono anziani che hanno una generosità che è veramente grande, per questo dico che mi fa specie l’irresponsabilità di certi comportamenti.

Dobbiamo aspettarci un peggioramento dei dati?

È matematico purtroppo, le curve che vedo delle terapie intensive piatte – è già scritto – fra 10-14 giorni si tradurranno, se non facciamo nulla, in un andamento verso l’alto e, dopo un certo tempo, questo accadrà anche per la mortalità: appiattimento vuol dire che la mortalità smette di calare. C’è questo gap di 14 giorni per cui le cose che vediamo adesso sulle terapie intensive fra una decina di giorni le vedremo sui decessi.

Le misure “a fisarmonica” non aiutano?

Dovremmo capire che siamo in una condizione non dico buona ma favorevole da un certo punto di vista. Con le chiusure fra Natale ed Epifania siamo riusciti a scendere dal 13% di positivi per tamponi molecolari dell’inizio di gennaio all’8%, che è il dato che c’è adesso. Per ipotesi, se noi riuscissimo ad applicare quelle stesse misure adesso – per 10-14 giorni – arriveremmo al 3% di positivi. Il 3% è una percentuale buona, che ci consentirebbe di prendere il controllo del tracciamento.

Ci spieghi meglio.

Col 3% riusciremmo a fare tutto quello che andrebbe fatto in termini di tracing: individuati i positivi, tracciare i loro contatti e metterli in isolamento, testarli a loro volta. Se l’incidenza è troppo alta invece questo non è possibile, col 3% ce la faremmo, questo è il punto.

Tornerebbe a regime il testing & tracing.

Esatto, e così potremmo permetterci di stare per un periodo più lungo con misure restrittive meno dure. È una differenza fondamentale, altrimenti siamo costretti ad aprire e chiudere, aprire e chiudere di continuo.

Sarebbe il modo di riprendere il controllo di una situazione comunque ineliminabile per ora, nonostante il vaccino.

Esattamente, ed è importante capire un’altra cosa. Se anche con le misure facciamo lo stop and go, dobbiamo fare lo stop il prima possibile. Se lo facciamo all’ultimo momento, la durata dello stop diventa di necessità più lunga per avere lo stesso effetto e quindi ci perdiamo di più, anche economicamente.

(Emanuela Giacca)

—- —- —- —-

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI

Leggi anche

VACCINI COVID/ Dalla Corte alle Corti: la neutralità che manca e le partite aperteINCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.INCHIESTA COVID BERGAMO/ Quella strana "giustizia" che ha bisogno degli untori