Mentre in Italia le infezioni solo calate in una settimana del 30%, con conseguente riduzione di ospedalizzazioni e ricoveri in terapia intensiva, in molti paesi europei – dopo che Regno Unito e Francia hanno un po’ fatto da battistrada – si moltiplicano le revoche delle restrizioni: l’Olanda le allenterà nel giro di pochi giorni; in Norvegia decadono le regole sull’isolamento obbligatorio per i malati di Covid-19 e le norme sulle mascherine e il distanziamento sociale; l’Austria abbandonerà la maggior parte delle restrizioni Covid il 5 marzo; in Svizzera non saranno più necessari mascherina e green pass per accedere a negozi, ristoranti, istituzioni culturali, altre strutture aperte al pubblico e manifestazioni e anche in Germania scatterà lo stop dal prossimo 20 marzo. Eppure l’Oms Europa è tornata a lanciare l’allarme: “Il Covid resta una malattia letale”. Dunque, come afferma il ministro Speranza, “la pandemia non è evaporata” e bisogna tenere ancora la guardia ben alta? Non è tempo di uscire dallo stato di emergenza? Ne abbiamo parlato con Carlo Federico Perno, direttore di Microbiologia all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.



L’Oms dice che il Covid è ancora una malattia letale. È così?

L’Oms ha ragione, ma solo se consideriamo questa affermazione in senso lato.

Vale a dire?

Noi abbiamo ancora due pandemie, e lo dimostrano i morti che contiamo tutti i giorni. La pandemia dei vaccinati presenta una patologia che normalmente si ferma a raffreddore, qualche linea di febbre e mal di testa. Nei vaccinati il Covid non è più una malattia mortale, al netto di eccezioni date da pazienti particolarmente fragili. Anche se qui c’è un dettaglio che val la pena far notare.



Quale?

L’Istituto dei tumori Regina Elena ha vaccinato tutti i suoi pazienti con patologie oncologiche e ha azzerato la mortalità da Covid. Quindi anche i fragili hanno comunque un riscontro decisamente positivo dalla vaccinazione, che rappresenta il vero spartiacque.

E la pandemia dei non vaccinati?

In questa categoria i decessi non calano, avvengono come prima, perché non c’è nessuna evidenza che Omicron, clinicamente parlando, sia meno letale delle varianti precedenti. Ci sono dati in vitro che suggerirebbero una minore pericolosità, ma di fatto le persone non vaccinate con Omicron possono morire. Quindi, l’Oms ha ragione a dire che il Covid-19 è ancora letale, ma per i non vaccinati.



Per l’immunologo Sergio Abrignani, però, “è difficile ed è improbabile immaginarsi una variante più diffusiva di Omicron”, mentre per l’amministratore delegato di Moderna è “ragionevole supporre che potremmo essere vicini alle fasi finali della pandemia”. Non pensa che il peggio sia alle spalle?

Una domanda che necessita di una doppia risposta, a conferma che il Sars-Cov-2 è una patologia complessa. Da un lato, grazie alle vaccinazioni e all’immunità prodotta dalla stessa diffusione delle infezioni, penso che stiamo andando in una buona direzione verso un futuro meno grave, verso una sorta di epilogo del dramma della malattia e della mortalità. Questo virus si sta adeguando bene all’uomo, è un dato di fatto.

Immagino che ci sia un ma, vero?

Esatto, e qui lo dico da virologo: a forza di circolare, soprattutto nei paesi del Terzo mondo, non possiamo escludere che questo virus abbia smesso di fare danni e non sia invece in grado di generare un’ulteriore variante ancora più infettiva. Anche se con Omicron siamo già sulla soglia del massimo di contagiosità. Il Covid è un virus che fa sempre quello che vuole lui.

È per questa ragione che il ministro Speranza ha recentemente affermato che “la pandemia non è evaporata” e che bisogna tenere la guardia alta? Ma ha ancora senso, dal punto di vista virologico, mantenere lo stato di emergenza permanente?

Quella dello stato di emergenza è una scelta molto politica e proprio in questi giorni si sta discutendo se mantenerla o meno. Di sicuro la situazione epidemiologica oggi è molto diversa rispetto al passato.

Intanto, dopo regno Unito e Francia, anche Germania, Svizzera, Austria e Olanda revocano le restrizioni. E l’Italia?

Premesso che ogni situazione va contestualizzata – per esempio, l’Austria sta andando verso aperture molto ampie, ma ha introdotto l’obbligo vaccinale –, ritengo che un allentamento delle restrizioni debba avvenire in modo molto graduale, mantenendo la massima attenzione ai numeri e a dove il Covid sta andando. A dicembre i dati erano molto bassi, è arrivata Omicron e la pandemia è ripartita come un treno. Ci sono, insomma, le condizioni per un lento rilassamento delle misure emergenziali, perché il virus ci ha abituati a colpi di coda, anche molto violenti.

Non bastano le mascherine?

In futuro sicuramente sì, adesso aspetterei ancora a toglierle.

Ma non è proprio possibile riaprire tutto, anche in fretta, facendo un reset della pletora di obblighi e disposizioni?

La Gran Bretagna ha riaperto in modo brusco tre volte e tre volte ha dovuto richiudere. Bisogna seguire, anche a livello internazionale, un percorso a medio-lungo termine, che finora è mancato. Aprire e chiudere non va bene.

Su quali cardini deve poggiare questo percorso?

Innanzitutto, va tenuta altissima l’attenzione su una sorveglianza, oserei dire, feroce, così da poter precedere o prendere per tempo, precocemente, eventuali cambiamenti causati dal virus, siano essi una nuova variante o magari una riduzione d’efficacia dei vaccini. In secondo luogo, va mantenuta un’altissima attenzione politica ai dati scientifici. Infine, va monitorato il fatto che emergono in modo consistente, come confermano diversi studi, le patologie post-Covid. E non sto parlando solo del Long Covid, ma anche dell’aumento di infarti e patologie cardiovascolari in soggetti colpiti dal Sars-Cov-2.

Giusto allora attivare nelle regioni i presidi anti-pandemici?

Direi proprio di sì, purché ci consentano di attuare una sorveglianza attiva, in grado di controllare, nel caso dovesse succedere, nuovi colpi di coda del virus. E le Regioni sono, costituzionalmente parlando, le deputate a gestire la sanità pubblica locale.

È possibile eliminare il green pass dopo il 31 marzo oppure green pass e vaccinazioni saranno le due basi della normalità?

La vaccinazione non va assolutamente interrotta, anzi va implementata, valutandone sempre l’efficacia nel tempo, che è un requisito imprescindibile.

E il green pass?

Il green pass è figlio delle vaccinazioni. Nel momento in cui avessimo, e ancora non l’abbiamo, un’evidenza chiara che con le vaccinazioni abbiamo risolto i problemi in maniera definitiva, è chiaro che il green pass decade da solo. È per natura uno strumento temporaneo, visto che serve a controllare la circolazione del virus, e la sua durata dipenderà dall’andamento dell’epidemia.

(Marco Biscella)

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