Qualcuno se ne è dimenticato perché strutturalmente distratto e poco connesso con la realtà; qualcun altro ha invece coscientemente voluto dimenticarsene (per tanti più o meno validi motivi che qui non indagheremo); qualcuno se ne è dimenticato perché ha già pensato (o sta pensando) alle vacanze e siccome lo scorso anno anche il virus ha sofferto il caldo e si è preso le sue di vacanze, allora si ritiene che anche quest’anno il virus (come la maggior parte di noi, del resto, viste le temperature di questo periodo) sarà accaldato e preferirà starsene al fresco da qualche altra parte.



E potremmo proseguire a lungo individuando tanti altri “qualcuno” che per una ragione o per un’altra stanno facendo lo sforzo di dimenticare: il guaio è che la somma di tutti questi qualcuno fa “tanta roba”, come si usa dire adesso anche in contesti piuttosto acculturati, con una espressione che sinceramente facciamo fatica a digerire (ma tant’è: il linguaggio cambia e quello di oggi non sempre trova nelle indicazioni dell’Accademia della Crusca il suo faro).



Non bastassero questi “qualcuno”, di sicuro la guerra in Ucraina è l’evento che (giustamente) ha dato il colpo di grazia al nostro desiderio di dimenticare: “ubi maior minor cessat”.

Il problema, purtroppo per noi dimenticatori, è che il virus (con la sua enorme capacità di generare varianti: oggi si parla tanto di omicron 5, ma in precedenza si è parlato di variante alfa, beta, delta, gamma, ma anche – secondo l’Oms – di mu, lambda, kappa, iota, theta, eta, zeta, epsilon) non se la sente di essere dimenticato, soffre di solitudine a star da solo, ed allora periodicamente ci ricorda che esiste ed è vivo più che mai.



È quello che sta succedendo in queste settimane, e che dopo un periodo di relativo silenzio informativo (conosco più di un giornale quotidiano che ha smesso di parlare di Sars-Cov-2 o ha relegato le notizie sul virus nelle pagine interne) sta riportando le notizie sulla pandemia all’attenzione primaria dei lettori o degli ascoltatori.

Per renderci conto praticamente di com’è la situazione guardiamo i dati degli ultimi due mesi (maggio e giugno), e già che ci siamo ne approfittiamo anche per fare un poco di ripasso sull’andamento giornaliero dell’infezione. I dati sono quelli della Protezione civile, che abbiamo estratto dal sito messo a punto dalla Associazione italiana di epidemiologia, e danno conto dei soggetti giornalmente risultati infetti.

È vero che sulla validità di questi dati c’è molta discussione, ed è proprio dei giorni scorsi l’affermazione del ministro Speranza, oltre che dell’Istituto superiore di sanità, che la rilevazione dei contagiati non è completa perché (molti) soggetti positivi ai test eviterebbero di segnalare (come invece dovuto) il loro stato alle autorità competenti.

La figura che segue riporta, a livello italiano, il numero giornaliero di nuovi positivi (riga rossa). Come si può osservare la variabilità intrasettimanale è molto elevata, con un valore minimo di contagiati che si registra tutti (dicasi: tutti) i lunedì ed un valore massimo che caratterizza invece tutti i martedì. Questo andamento settimanale, che è straordinariamente ripetitivo (al punto che, con tecniche adeguate, diventa piuttosto facile prevedere il numero di casi che si presenteranno nei giorni successivi) e cui alcuni hanno attribuito il nome di “ciclotrend”, rende conto (come abbiamo detto più volte) della totale inutilità di confrontare i dati di un giorno con quelli del giorno precedente per capire come sta evolvendo l’epidemia mentre, salvo eccezioni come il 3 giugno rappresentato in figura (il cui valore si spiega perché il giorno precedente era festivo), ha senso il confronto con lo stesso giorno della settimana precedente per valutare se i casi stanno aumentando o stanno diminuendo.

Per meglio comprendere l’andamento nel tempo della diffusione del virus in figura è stata aggiunta la riga blu tratteggiata, che interpola i dati con un polinomio di secondo grado per eliminare la variabilità giornaliera.

Per qualcuno la colpa della ripresa è delle varianti del virus, e per quanto riguarda questo periodo la chiamata in causa è omicron 5: considerata la quota (si parla del 50%) di variante omicron 5 rispetto al totale delle varianti presenti e vista la omogenea (dal punto di vista del trend) e contemporanea diffusione che sta avendo il virus in tutte le regioni (si veda per i dettagli il sito di Made citato) ci permettiamo di avere qualche dubbio che la ripresa sia solo colpa di omicron. La variante sicuramente dà il suo contributo, ma a parere di chi scrive da una parte non basta a spiegare interamente i dati e dall’altra non offre soverchi strumenti alle attività di prevenzione.

Per qualcun altro, invece, la ripresa è colpa dei vaccini che non funzionano. Considerato che i soggetti che sono infettati oggi dal virus contengono una quota piuttosto elevata (40%?) di persone vaccinate anche questa è una spiegazione che ha un suo fondamento per quanto riguarda la diffusione dell’infezione (tutt’altro discorso riguarda l’efficacia dei vaccini nel prevenire il verificarsi di forme gravi della malattia, ma di questo non parleremo nel presente contributo), ma pure essa non la riteniamo sufficiente a spiegare i dati. Inoltre, la debole efficacia degli attuali vaccini rispetto alla diffusione del virus getta molte ombre e desta perplessità sull’adozione della sola strategia vaccinale come antidoto alla diffusione del virus (almeno finché non avremo a disposizione vaccini più efficaci contro l’infezione).

Qualcuno, cinicamente, pensa che un po’ di febbre e di sintomi vari siano tollerabili, tanto gli effetti più gravi (ricoveri e decessi) sono solo a carico “degli altri”, e cioè i deboli, i fragili, gli anziani, i cronici polipatologici, e così via.

Qualcuno, infine, sembra accontentarsi dell’attuale situazione così com’è. È il caso, ad esempio, del sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, che stando a quanto riportato dal Sussidiario dice: “oggi non dobbiamo preoccuparci di questo virus. È un virus meno cattivo rispetto a quello dell’anno scorso e a quello del febbraio 2020, è anche meno cattivo perché agisce su persone in larga parte vaccinate … non è molto diverso da quello che accade con l’influenza”.

Sarà anche “meno cattivo”, come dicono tanti esperti e non solo Sileri, ma stiamo facendo diventare normale che ogni giorno ci siano decine di migliaia di soggetti che si infettano e che (volenti o nolenti) dovranno sottoporsi a sicure limitazioni nella propria vita individuale e di quella dei loro prossimi, a fronte di un numero – va detto – nettamente esiguo di decessi. O ancora, come dice sempre Sileri: “Il ballettino mascherina sì o no non lo condivido, ogni ondata dura più o meno dai 40 ai 60 giorni e tende a spegnersi da sola; questa variante è meno aggressiva e introdurre la mascherina oggi non avrebbe molto senso perché fra 15-20 giorni il picco sarà passato e inizierà la discesa, e basta andare a vedere altri paesi dove è iniziata prima di noi, tra l’altro i casi principali riguardano persone con altre patologie … Dobbiamo soffermarci sui vaccini aggiornati quanto prima in vista dell’autunno”.

No, caro sottosegretario, non è questa la normalità di cui abbiamo bisogno e che chiediamo di rendere possibile a chi è responsabile della conduzione del Servizio sanitario nazionale, tanto più che la speranza di avere a breve (prima dell’autunno?) dei vaccini efficaci (o almeno più efficaci degli attuali) nei confronti dell’infezione per il momento è ancora solo una (vaga?) speranza.

E allora che fare? A dispetto dell’opinione di Sileri, ed a meno che a breve vengano resi disponibili efficaci vaccini che permettano di implementare un’adeguata strategia vaccinale, crediamo che come cittadini ci rimanga una sola ed unica strada: la difesa preventiva, la prevenzione da attuare in tutte le maniere possibili (mascherine, sanificazione, distanziamento, comportamenti prudenti, smart working, e così via), accettando quel poco (o tanto, per alcuni) di limitazione alla libertà individuale che è necessariamente richiesto da un atteggiamento preventivo, e riorganizzando per quanto possibile la propria vita (studio, lavoro, tempo libero, …) in modo da ridurre al minimo l’effetto negativo di tali limitazioni.

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