Tutto si può dire di Matteo Salvini fuorché si tratti di uno sprovveduto, digiuno della politica e dei suoi riti. Aveva appena vent’anni quando fu eletto consigliere comunale a Milano con Formentini sindaco. Correva l’anno 1993. 26 anni dopo il leader leghista non può non aver preso in considerazione la possibilità che la tempesta di agosto che ha scatenato potesse finire con un nuovo governo formato dagli ormai ex alleati pentastellati e dagli odiati uomini del Pd, dove si è scoperto essere ancora il suo omonimo Matteo Renzi a dare le carte e dettare la linea.
Persino il numero due della Lega Giancarlo Giorgetti si è spinto ad ammettere che la crisi avrebbe dovuto essere aperta prima per avere reali possibilità di arrivare a quelle elezioni anticipate necessarie per capitalizzare l’enorme consenso che Salvini sta catalizzando, e che secondo i sondaggi è salito ancora rispetto al già clamoroso 34 per cento delle europee di fine maggio.
Si possono fare solo ipotesi sul perché proprio adesso. Se Salvini era conscio dei rischi, può allora aver deciso di passare all’azione convinto di poter portare a casa comunque un risultato politico. Uno schema win-win, almeno dal suo punto di vista. E tutto potrebbe ruotare intorno alla legge di bilancio prossima ventura, che continua a stagliarsi minacciosa all’orizzonte, con scelte dolorose prima di tutto per evitare l’aumento dell’Iva, e poi per manovre espansive come la flat tax o comunque un alleggerimento della pressione fiscale.
I soldi per concretizzare le promesse leghiste, insomma, non si trovano. Il ministro Tria lavora in linea con gli impegni presi con l’Europa, sotto l’ombrello protettivo del Quirinale e di Palazzo Chigi. Una manovra lacrime e sangue Salvini proprio non aveva intenzione di sottoscriverla, da qui la sua mossa di staccare la spina all’esecutivo gialloverde.
Il primo obiettivo del leader del Carroccio è sempre stato quello di ottenere le elezioni, in modo di poter gestire il difficile passaggio economico da una posizione di forza, da premier di un governo solido, forte di un elevato consenso elettorale e con un’intera legislatura davanti. Da questa posizione di forza Salvini intende (o intendeva) trattare con gli euroburocrati di Bruxelles, sicuro di poter strappare concessioni significative.
Il piano B, abbastanza vantaggioso nonostante le apparenze, è quello di lasciare fare la legge di bilancio a un nuovo governo, politico o istituzionale che sia. Per il ministro dell’Interno uscente la certezza di vedere crescere ulteriormente i propri consensi.
Il granello di sabbia che rischia di far inceppare lo schema win-win di Salvini potrebbe però essere la nascita di un governo con prospettiva di legislatura, quello che Renzi sabotò nel maggio dello scorso anno e che ora lo stesso ex premier sostiene apertamente. Difficile immaginare di poter reggere tre anni e mezzo all’opposizione, fuori da tutti i giochi, compresa la scelta del successore di Sergio Mattarella al Quirinale.
Da qui il tentativo un po’ disperato di riaprire i giochi, dichiarando la disponibilità a votare l’ultimo passaggio della riforma costituzionale che tagli il numero dei parlamentari. Salvini intende così sfilare un’affilata arma propagandistica all’ormai ex gemello di Palazzo Chigi, Luigi Di Maio. La battaglia nei prossimi giorni sarà sulla tempistica dei passaggi parlamentari, perché se Conte dovesse andare al Quirinale per dimettersi martedì 20, due giorni dopo non si potrebbe votare il taglio dei parlamentari, perché l’attività delle Camere si riduce all’ordinaria amministrazione quando una crisi di governo è aperta.
In ogni caso da quel momento il pallino della crisi passerà nelle mani di Mattarella. Sarà di sicuro arbitro, e non giocatore, non manovrerà per costruire maggioranze alternative, ma di sicuro qualunque ipotesi di nuova maggioranza gli verrà prospettata dovrà contare su numeri certi. Senza solide basi, il Capo dello Stato non darà via libera ad alcuna operazione. Seppur a malincuore, visto l’incombere dell’esercizio provvisorio, firmerà il decreto di scioglimento delle Camere.