L’Eurostat ha confermato che a luglio nell’Eurozona il tasso di inflazione ha fatto registrare un incremento su base annua dell’8,9%. Secondo Isabel Schnabel, membro tedesco del Comitato esecutivo della Bce, non si può escludere che l’area euro stia entrando in una recessione tecnica, ma “il rallentamento della crescita probabilmente non è sufficiente a indebolire l’inflazione”.
Resta pertanto probabile che a settembre l’Eurotower sposti all’insù di un altro mezzo punto i tassi di interesse, dopo il rialzo di luglio. Come evidenzia Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, «visto il ritorno del prezzo del gas ai massimi, le prospettive sull’inflazione non sono certamente positive, nonostante il ribasso delle quotazioni del petrolio delle ultime settimane. Il quadro che viene prospettato dalla Schnabel è di una mini-stagflazione».
È uno scenario che potrebbe effettivamente realizzarsi?
Sì. Capiremo meglio tra l’autunno e l’inverno quale sarà la dinamica dell’economia e quanto nel caso potrebbe durare questa mini-stagflazione: le recenti stime dell’Ocse per l’anno prossimo non sono particolarmente brillanti. Nel frattempo è probabile che la Fed si appresti ad alzare ancora i tassi e questo potrebbe portare la Bce a fare altrettanto, con un aumento di mezzo punto.
Schnabel ha detto che il rallentamento della crescita potrebbe non bastare a far scendere l’inflazione. Quanto ciò può rappresentare un problema?
Può rappresentare un problema di non poco conto, perché questa situazione contribuisce a far aumentare le disuguaglianze: con aumenti dei prezzi così elevati, le famiglie a basso reddito non ce la fanno a far quadrare i conti.
Qual è la cura contro la possibile mini-stagflazione?
Servirebbe un qualche programma europeo che consenta ai Paesi più coinvolti di frenare gli effetti negativi di questa elevata inflazione. Per fare un esempio concreto, in questo contesto l’Iva pesa molto sulle famiglie a basso reddito, quindi una sua riduzione sui beni di prima necessità potrebbe forse rappresentare un intervento utile. Quale che sia il provvedimento, importante è anche la determinazione con cui viene implementato, capace di incidere anche positivamente sulle aspettative, che restano comunque fondamentali.
Cruciale sarà quindi un’azione dell’Ue, anche perché le disuguaglianze crescono non solo a livello sociale, ma anche tra Paesi…
Assolutamente sì. Il parziale cammino di convergenza che c’è stato tra Stati europei rischia di essere sostituito da una retromarcia, perché il pericolo in un contesto di tassi così elevati è che i Paesi si disuniscano.
Quello che sembra mancare è un protagonismo della politica fiscale europea.
Esattamente. Non è che l’Europa intera sia sotto elezioni come noi, quindi gli altri Paesi potrebbero muoversi in maniera efficace. La politica monetaria è attiva, e può anche cercare di correggere eventuali suoi errori. Ma la politica fiscale rischia di bloccare tutto se non viene realizzata a livello europeo.
In questo senso non basta parlare di sospensione delle regole del Patto di stabilità. Anche perché, come si è visto in Italia in questi mesi, di fatto è come se fossero sempre in vigore, dato che non si è fatto un nuovo scostamento di bilancio…
Non possiamo pensare che in una situazione così problematica, dopo la pandemia, lo scoppio di una guerra ai confini dell’Europa e la conseguente crisi energetica, si stia a discutere di un punto in più o in meno di deficit. Non sto dicendo di sperperare le risorse, ma di poter fare una genuina politica di investimenti pubblici, perché, lo ricordo, anche dal punto di vista teorico, se c’è una regola che si deve cercare di rispettare è quella sì del pareggio di bilancio, ma delle spese correnti, al netto dei tassi di interesse. Se adottiamo questo tipo di prospettiva, gli spazi per un intervento di sostegno all’economia europea si possono trovare.
Prima ha ricordato che l’Italia è sotto elezioni, mentre gli altri Paesi no. E che quindi possono muoversi in maniera efficace. Cosa potrebbero fare per aiutare il resto dell’Ue?
Molto spesso usiamo in modo interscambiabile le parole Ue e mercato europeo. In realtà, se davvero il mercato di riferimento fosse l’Europa dovrebbe essere oggetto di politiche che porterebbero beneficio a tutti. Per esempio, la Germania rischia di trovarsi in difficoltà ora che si teme che la Cina cresca meno che in passato. Se il mercato di riferimento per l’economia tedesca non fosse più quello cinese, ma quello europeo, dove la domanda di prodotti della potente industria teutonica non mancherebbe, a patto di non perseguire politiche austere, il problema potrebbe essere alleviato, con vantaggi per l’economia e l’occupazione.
Secondo Il Sole 24 Ore, l’industria tedesca, per via delle difficoltà di approvvigionamento dalla Cina, ha sempre più bisogno di fornitori italiani. Il discorso che sta facendo vale anche per le forniture e non solo per i mercati di sbocco?
Assolutamente. Occorre rafforzare il già forte interscambio tra i Paesi Ue. In questo momento occorre potenziare con interventi robusti la domanda e l’offerta nel mercato europeo. Questo non ci porterà fuori dalla tempesta globale che si intravede all’orizzonte, ma ci consentirà di poter navigare meglio.
(Lorenzo Torrisi)
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