Tutti presi dalla corsa al Quirinale, i politici italiani hanno finto di ignorare i venti di guerra che vengono dall’Est. Ora, però, la sottovalutazione della crisi in corso fra Russia e Ucraina non può più continuare. E bisogna dimostrarsi all’altezza della sfida.

Per Draghi e il suo governo non sarà affatto facile, comunque vadano le cose sul campo, che Putin decida di passare all’azione oppure continui a tenere tutti con il fiato sospeso. Nonostante l’evidente recupero di prestigio internazionale, in questa partita non siamo fra i paesi seduti al tavolo principale. Li ci sono gli Usa, come pure Francia e Germania. Noi veniamo dopo, anche se siamo un partner rilevante nella Nato e nell’Unione Europea. Anche se abbiamo da anni contingenti schierati in Lettonia e in Romania nell’ambito dell’Alleanza Atlantica, e se circolano voci su possibili nuovi invii.



Primo nodo politico: non c’è dubbio che una eventuale missione di soldati italiani, per far fronte alla crisi in Ucraina, dovrebbe seguire un percorso molto preciso. Dovrà prima essere concordata in sede Nato e poi “autorizzata dal Parlamento”. Quindi, calma e sangue freddo.

Anche la riunione ministeriale dell’Alleanza in programma mercoledì e giovedì a Bruxelles non potrà che essere interlocutoria, pur con una posizione governativa già piuttosto chiara. Ad esprimerla il ministro della Difesa Guerini, che la scorsa settimana in audizione in Parlamento aveva dichiarato che “l’Italia ha già confermato la disponibilità a fornire il proprio contributo, qualora la Nato decidesse in tal senso, innanzitutto come conferma della centralità del principio della solidarietà nel rapporto tra Alleati, membri di una Organizzazione che, prima di essere una alleanza militare, è legame storico ma soprattutto comunanza di valori. Il rapporto transatlantico è il cardine della sicurezza e della pace in Europa e chi coltiva l’obiettivo di dividerci resterà deluso”.



Con la Nato senza se e senza ma, quindi. E anche nella videoconferenza di venerdì scorso promossa da Biden Draghi si è schierato sulla barricata delle pesanti sanzioni verso Mosca, in caso di attacco. Certo, l’auspicio è che non serva, che prevalga il dialogo. E non potrebbe essere diversamente. Il premier lo ha detto allo stesso Putin nella telefonata di inizio febbraio: se la Russia facesse passi concreti verso una de-escalation, si potrebbe arrivare a una soluzione durevole.

Non c’è solo il sacrosanto interesse a evitare una guerra. Ci sono anche almeno due altri aspetti nella posizione di Draghi. Il primo è economico, essendo l’Italia dipendente per oltre il 40% delle sue importazioni dal gas russo, un paese che vede oltre 500 aziende tricolori attive lì, con promettenti opportunità di crescita e un interscambio che ha superato i livelli pre pandemia e raggiunto i 20 miliardi di euro.



Sono proprio gli interessi economici a rendere i partiti politici italiani assai meno granitici di quanto possano apparire. A parte il filo-atlantico Pd, praticamente tutto il centrodestra è sospettato di strizzare l’occhio a Mosca. C’è la storica amicizia fra Berlusconi e Putin, con “lunga e cordiale telefonata” per gli auguri di Capodanno. Ci sono i sospetti di affari e vicinanza che hanno lambito uomini vicini a Salvini in tempi recenti. E pure Fratelli d’Italia mostra estrema apertura, con Crosetto che invita l’Occidente alla cautela, onde non regalare Putin all’abbraccio cinese.

Pure fra le fila dei grillini non mancano uscite filorusse, come quella del presidente della commissione Esteri del Senato, Vito Rosario Petrocelli, secondo cui in certe aree del mondo un pizzico di autoritarismo è inevitabile.

Draghi deve dunque fare attenzione e guardarsi le spalle. Il suo filo-atlantismo non è in discussione. Ma dovrà mettere tutto il suo peso politico nello sforzo di tenere unita la sua maggioranza su una posizione intransigente. La mitigazione del caro bollette sarà il primo banco di prova: non potrà lasciare alcun argomento a chi chiede di trattare Mosca con i guanti bianchi. Draghi può contare sull’ombrello di Mattarella, fortissimo dopo la rielezione. Ma per evitare scossoni all’attività di governo serve un supplemento di attenzione, qualunque cosa accada.

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