Due messaggi sono arrivati dall’annuale appuntamento del Forum Ambrosetti a Cernobbio, che molto spesso ha influenzato l’agenda economica e politica.

Il primo rispecchia la preoccupazione che serpeggia nel Paese, il secondo cerca di iniettare una ragionevole fiducia. Entrambi affidano al prossimo governo una grande responsabilità: dipenderà dalle sue scelte, che vanno prese in tempi rapidissimi, se l’Italia precipita nella recessione o se è in grado di affrontare le nuove sfide ed uscirne (nonostante i lutti da non dimenticare mai), così come è accaduto con la pandemia.



Il presidente della Repubblica ha dato voce all’allarme delle famiglie e delle imprese: “Il vertiginoso innalzamento dei prezzi dell’energia, favorito anche da meccanismi irragionevoli e da squilibri interni tra i Paesi europei, costituisce uno dei nodi più critici del momento attuale. La crisi energetica acuisce problemi e difficoltà provocate da una pandemia ancora non definitivamente debellata”, ha detto nel suo messaggio Sergio Mattarella, che ha chiesto con forza un intervento dell’Unione Europea: “È necessaria e urgente una risposta europea all’altezza dei problemi. I singoli Paesi non possono rispondere con efficacia alla crisi. Nel liberarsi dalla dipendenza russa per le fonti di energia, l’Europa è chiamata, ancora una volta, a compiere un salto in avanti in determinazione politica, integrazione, innovazione”.



L’esempio viene proprio dalla lotta al Covid-19, che “è stata occasione di una svolta europea nel segno della solidarietà”; oggi “occorre continuare su quella strada, legando lo spirito del Green Deal e del Next Generation Eu a una Europa cosciente del proprio ruolo e delle proprie responsabilità”, ha insistito Mattarella.

Il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, ha rilanciato il tetto al prezzo del gas importato dalla Russia, anche se ha messo le mani avanti: “Vedremo gli sviluppi dal punto di vista dei tempi”, ha avvertito. Nonostante la cauta apertura del governo tedesco, esistono divisioni profonde e ostacoli tecnici difficili da superare. Lo capiremo meglio venerdì prossimo al Consiglio straordinario sull’energia.



Il price cap, del resto, non è la panacea, occorre disancorare il prezzo del gas da quello dell’energia elettrica (a cominciare da quella generata con fonti rinnovabili), aumentare l’offerta da una pluralità di produttori, coordinare la politica delle scorte, arrivare a una politica di acquisti comune. Una strada lunga e accidentata, mentre il tempo stringe. Gas e inflazione formano un mix micidiale e se Mosca chiudesse tutti i rubinetti potremmo andare avanti solo per un paio di mesi.

Non vanno minimizzati, insomma, i rischi che ci attendono, tuttavia attenti a lanciare messaggi fuorvianti. Mario Draghi lascia un’eredità positiva e nello stesso tempo ingombrante. L’Italia arriva alle soglie di questa nuova crisi con una crescita già acquisita del 3,5%, in rallentamento rispetto al boom dello scorso anno, ma meglio della Germania e della Francia. Lo ha ricordato anche l’economista Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo: “Non possiamo escludere peggioramenti congiunturali su base trimestrale, ma certo non ci aspettiamo una recessione”.

Dagli oltre 200 manager e imprenditori riuniti sul lago di Como arriva un invito a guardare non solo il bicchiere mezzo vuoto. Le aziende sono convinte che il loro fatturato crescerà a fine anno (il 56% stima un 10% in più), positive anche le previsioni per gli investimenti e l’occupazione. Quanto ai prezzi, la stretta della Bce può raffreddare la febbre inflazionistica (giovedì prossimo verrà deciso un nuovo aumento dei tassi tra lo 0,50 e lo 0,75%), stando però attenti a non tirare troppo la corda e favorire la recessione.

I fondamentali dell’Italia sono buoni, sostiene il servizio studi di Intesa Sanpaolo. Il turismo mostra un vero boom, i servizi hanno contribuito per il 75% alla crescita, creando un cuscinetto nazionale che consente di affrontare la riduzione dell’export a causa della brusca frenata dei due principali partner europei e della Cina. La bilancia dei pagamenti resta in attivo, il debito sul Pil scende grazie all’aumento del prodotto lordo, le banche sono state risanate, non c’è paragone con la situazione in cui il Paese si trovava dieci anni fa.

Ciò dovrebbe invitare alla cautela anche nella propaganda elettorale. Rivoltare l’Italia come un calzino, come si propone di fare Giorgia Meloni, vuol dire gettare alle ortiche quel che di buono è stato fatto? Che cosa significa rinegoziare il Pnrr, non rischia di mettere i bastoni tra le ruote? È possibile trovare risorse per compensare famiglie e imprese dal caro bollette senza scassare i conti pubblici?

Molte sono le domande che gli elettori si pongono, alle quali chiedono risposte concrete, non solo slogan e promesse generiche. Lo chiedono gli italiani, non i mercati senza cuore che, per la verità, restano a guardare e finora non si sono intromessi, né le ciniche cancellerie occidentali, le quali si limitano ad attendere mettendo in guardia dal dissesto geopolitico provocato dall’attacco russo all’Ucraina.

Il prossimo futuro, insomma, è più che mai nelle nostre mani.

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