Da Mario Draghi a Mario Draghi dieci anni dopo. Tante differenze, una crisi da debiti sovrani allora, una crisi da pandemia oggi, senza dimenticare i ben diversi equilibri politici, ma un filo rosso: le riforme strutturali per “accrescere il potenziale di crescita dell’Italia”. Così era scritto il 5 agosto 2011 nella lettera che la Banca centrale europea inviò al Governo italiano firmata da Jean-Claude Trichet, Presidente della Bce, e da Mario Draghi Governatore della Banca d’Italia, nonché membro del Consiglio direttivo della Banca centrale europea e designato quale nuovo Presidente.



La missiva era indirizzata al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e “avrebbe profondamente influenzato la politica e l’economia del nostro Paese”, come ha scritto Mario Monti in un intervento sul Corriere della Sera. “Dopo dieci anni – ha ammonito l’economista che nell’autunno 2011 rimpiazzò Berlusconi – è ora di trarre da quella vicenda tre insegnamenti”. “Il primo è non rendersi dipendenti dagli aiuti altrui. Il secondo, invece, evitare gli eccessi di restrizione. Il terzo, infine, evitare gli eccessi di condiscendenza”. 



La vera lezione, però, riguarda le riforme. È impressionante rileggere quelle raccomandazioni e trovare che molte di esse sono rimaste, scusate il bisticcio, lettera morta. Solo adesso sono tornate davvero in cima all’agenda di governo, in quanto conditio sine qua non del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza. Possiamo ritenere fuori tempo le indicazioni che riguardano il pareggio del bilancio pubblico; lo sono almeno per il momento, anche se già l’anno prossimo tornerà in primo piano il rientro progressivo sia dal mega deficit sia dal debito monstre. Restano invece attualissimi gli altri punti. Vediamoli:



1) “È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali”. Dieci anni dopo ancora non ci siamo.

2) “C’é anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva”. Passi avanti sono stati compiuti, ma le parti sociali sono a metà del guado; la contrattazione aziendale ha più spazio, resta però dentro una gabbia fatta ancora di molti livelli contrattuali. 

3) “Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi”. Da allora ad oggi c’è stata la riforma Renzi che ha fatto cadere l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Ma le politiche attive del lavoro non sono mai decollate tanto che adesso diventano una delle riforme da realizzare per ottenere i sostegni europei.

4) “È possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l’età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settore pubblico”. Abbiamo avuto la riforma Fornero realizzata durante il Governo Monti. Ma è stata rimessa in discussione dal Governo Conte 1 (quello giallo-verde), soprattutto a opera della Lega che voleva rovesciarla come un guanto e ha introdotto quota 100.

5) “Incoraggiamo inoltre il Governo a prendere immediatamente misure per garantire una revisione dell’amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l’efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese”. Solo adesso si è cominciato a mettere mano alla farraginosa macchina burocratica vecchia, arrugginita, arretrata, con un divario professionale non solo digitale tutto da colmare.

6) “Aumento della concorrenza, particolarmente nei servizi”. È davvero di là a divenire.

7) “Il ridisegno di sistemi regolatori e fiscali che siano più adatti a sostenere la competitività delle imprese e l’efficienza del mercato del lavoro”. Anche questo è in lista d’attesa.

Dunque, il nutrito pacchetto di riforme di vario livello e natura previste dal Pnrr (ce ne sono 53 di qui al 2026, 33 delle quali entro l’anno) rispecchia con un decennio di ritardo le linee guida scritte nella fatidica lettera.

La pausa di Ferragosto ha interrotto il cammino iniziato dal Governo Draghi che va ripreso al più presto. È la priorità dei prossimi mesi durante i quali occorre varare la riforma del processo penale (è passata alla Camera ora deve essere votata dal Senato), la delega fiscale, le nuove regole sulla concorrenza, la riforma del mercato del lavoro che si articola in tre capitoli: gli ammortizzatori sociali, le pensioni, il Reddito di cittadinanza. 

Salvo sorprese verrà cambiata quota 100 difesa dalla Lega per ragioni di bandiera. È probabile che aumenterà l’effetto combinato tra contributi versati e anni effettivamente lavorati, ma è ancora tutto da definire. Quanto alla bandiera pentastellata, cioè il Reddito di cittadinanza, Draghi nei suoi auguri di buone vacanze ha detto che “è troppo presto sapere se verrà riformato, ma io condivido appieno il concetto che sta alla base”. Vedremo che cosa vuol dire in concreto, tuttavia il provvedimento si è rivelato costoso e inefficace. Potrà funzionare se messo in collegamento stringente con la ricerca di lavoro, cioè se diventa una indennità temporanea di disoccupazione? Anche questo dipende dalle politiche attive del lavoro che sono tutte da costruire. Eppure è davvero una riforma cruciale dalla quale dipende la ripresa e il suo impatto sociale, sui redditi e sull’occupazione. Sarà la prova del nove non di quel che vuole Bruxelles, ma di quel che serve all’Italia.

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