L’oggettiva situazione critica del Movimento 5 Stelle, sancita anche dalla lunga attesa di ieri per le parole di Giuseppe Conte, non aiuta certamente il Governo ad avere una maggioranza solida e compatta, considerando anche le difficoltà delle coalizioni in vista delle amministrative autunnali. Paradossalmente, però, come ci ricorda l’ex direttore del Sole 24 Ore e oggi editorialista de La Prealpina Guido Gentili, questo scenario è favorevole al presidente del Consiglio Draghi, per il quale semmai le principali insidie arrivano dall’esterno del quadro politico, «per esempio il forte aumento dei prezzi delle materie prime sta già determinando difficoltà di approvvigionamento per le imprese italiane e potrebbe avere un peso importante nella delicata fase di ripartenza dell’economia».
Si corre un serio pericolo su questo fronte?
Sia Draghi che il Fmi e la Bce continuano a parlare di fenomeno transitorio. C’è da augurarsi che sia tale perché un duraturo rialzo dei prezzi farebbe salire l’inflazione, costringendo le banche centrali a rivedere le politiche monetarie in senso meno accomodante, oltre a determinare difficoltà per le aziende di molti settori. È già giunta al Governo la richiesta di un intervento da parte imprenditoriale, ma non so fino a che punto possa prendere interventi risolutivi o compensativi. Restando fuori dal quadro politico, un altro elemento di preoccupazione riguarda il Covid, visto che la variante delta si sta diffondendo in modo vigoroso: si contano due milioni e mezzo di ultrasessantenni non vaccinati, il numero degli italiani che ha avuto due dosi è ancora limitato e ci sono ritardi nelle consegne da parte delle case farmaceutiche.
Dal quadro politico, quindi, non emergono insidie per il Premier?
Finché i componenti di questo governo di unità nazionale sono alle prese con problemi di identità interna, con le scelte dei candidati per le amministrative, con la messa a punto di alleanze dall’esito incerto, come quella tra M5s e Pd, l’azione di Draghi sarà in qualche modo resa più stabile: è difficile immaginare che qualcuno possa arrivare a uno strappo, anche perché a fine luglio scatterà il semestre bianco. Al massimo ci potrà essere qualche tensione strisciante oltre a qualche passaggio difficile, come quello in corso sul blocco dei licenziamenti o quello che verosimilmente vivremo nel momento della messa a punto della Nadef che sarà la base della successiva Legge di bilancio.
Cosa potrà accadere su temi divisivi per la maggioranza, come per esempio il Ddl Zan? È vero che Draghi ha ricordato che spetta al Parlamento legiferare, ma le tensioni sono tra i partiti che lo sostengono…
È possibile che per il Ddl Zan Draghi, come ha fatto per il blocco dei licenziamenti, si adoperi per una mediazione. Se i temi divisivi dovessero rivelarsi degli ostacoli complicati, la soluzione più facile sarebbe quella di spostarli più in là nel tempo in modo da affrontarli in un altro frangente. Con un limite, però: come ha ricordato per l’ennesima volta Gentiloni, abbiamo preso degli impegni con l’Europa che sono vincolanti. Il vincolo esterno del Recovery fund c’è, eccome.
Per tenere fede a questi impegni le decisioni non potranno essere spostate in là nel tempo. Sarà quindi fondamentale l’arte di mediazione di Draghi. Che carta può giocare per avere successo, laddove, per esempio, un altro esperto mediatore come Conte a un certo punto non è riuscito più a tenere insieme la sua maggioranza?
Ha una carta molto forte: la sua credibilità internazionale. Complice anche la Presidenza del G20, ci sono stati in queste settimane appuntamenti internazionali importanti in cui l’Italia ha avuto la possibilità di mettersi in mostra. Questa volta l’ha fatto con Draghi e abbiamo visto anche nei rapporti personali con Biden, Merkel e Macron, quanto forte sia la sua credibilità. La parola di Draghi ha un peso a livello europeo e mondiale superiore a quella di qualunque altro Premier che fosse alla guida del Paese in questo momento. Nelle mediazioni, quindi, la sua parola può essere spesa sapendo anche che l’opinione pubblica fin qui ha mostrato grande fiducia nel presidente del Consiglio. Le forze politiche sono ben consce di questa situazione e ribaltare il tavolo sul Premier sarebbe per loro molto complicato. Credo poi che molto presto potremmo assistere a una dimostrazione di forza importante da parte del Premier.
A che cosa si riferisce?
Nel corso della conferenza stampa di settimana scorsa seguita all’incontro a Roma con Ursula von der Leyen, Draghi ha parlato del cronoprogramma del Pnrr e, con riferimento ai mesi di giugno e luglio, ha citato il sistema delle concessioni e la legge annuale sulla concorrenza. Possono sembrare temi “tecnici”, ma in realtà sono politicamente forti. Dal 2009, anno in cui venne prevista, la legge sulla concorrenza è stata redatta una sola volta, nel 2015, e ci sono voluti poi due anni per approvarla, modificata e anche stravolta. Se pensiamo invece al sistema delle concessioni balneari, dobbiamo ricordare che il Governo Conte-1 ha varato una proroga che arriva fino al 2033. Rimettere mano a questo sistema sarebbe il segno di una svolta profonda. Insieme alla legge annuale sulla concorrenza sarebbe per il Premier una dimostrazione di forza importante.
Prima ha parlato della credibilità internazionale del Premier che giova sicuramente al Paese a livello europeo. Cambierebbe qualcosa se Draghi venisse eletto l’anno prossimo al Quirinale?
A parte la sua eventuale disponibilità, va detto che c’è una forte spinta, anche internazionale, affinché continui a guidare l’Italia da palazzo Chigi. Trovare un altro Premier come lui mi sembra molto complicato, a meno che non prevalga nelle forze politiche, a seguito magari di un accumulo di tensioni e di un rinvio eccessivo delle scelte sui temi più divisivi, il riflesso condizionato delle elezioni anticipate che possono essere viste come un toccasana da tutti i partiti.
Tra chi vuole Draghi a palazzo Chigi a livello internazionale ci sono anche gli Usa?
Ovviamente gli Stati Uniti hanno un forte interesse a che Draghi porti avanti la sua opera di ricucitura europea in una fase in cui l’asse franco-tedesco è meno forte di prima visto che la Merkel sta uscendo di scena e Macron non attraversa una situazione interna facile. Il ruolo del Premier – a cui la stessa Cancelleria ha più o meno esplicitamente consegnato le chiavi del futuro europeo – è quello di sponda molto utile a Biden. Certamente potrebbe esserlo anche come presidente della Repubblica, ma dal punto di vista degli equilibri in Europa è invece più utile che resti a palazzo Chigi.
La carta dell’autorevolezza internazionale di Draghi vale anche nei confronti delle parti sociali, visto lo snodo del blocco dei licenziamenti?
Certamente i sindacati non si dichiareranno soddisfatti, ma in qualche modo incassano una nuova mediazione di Draghi che li avvicina a un risultato migliore rispetto a quello precedente ritenuto totalmente insoddisfacente. Questo discorso vale specularmente per gli imprenditori, che non possono non tenere conto non solo delle parole del ministro Lamorgese a proposito di possibili tensioni sociali, ma anche di quelle di un importante banchiere come Carlo Messina, Ceo di Intesa Sanpaolo, che ha esplicitamente detto che “va rimandato il ritorno ai meccanismi tradizionali del mercato, compreso quello del lavoro”. È una presa di posizione significativa più vicina ai sindacati che non agli imprenditori.
In che condizioni vede i partiti in vista delle amministrative d’autunno?
Il panorama mi sembra quello di uno sfarinamento generale, certamente più evidente nei 5 Stelle. Mi pare che l’appuntamento delle elezioni amministrative dimostri in modo palese le difficoltà di entrambi gli schieramenti: anche il favorito centrodestra non è compattissimo. Questo panorama di grande difficoltà per certi aspetti è un vantaggio per Draghi, perché nessun partito oggi ha la forza di poter imporre delle scelte di rottura. Dovremo almeno attendere l’esito di queste elezioni per capire quali equilibri si verranno a creare anche in vista delle scelte per quel che riguarda il nuovo presidente della Repubblica.
(Lorenzo Torrisi)
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