Il dibattito politico italiano dal 25 marzo, da quando cioè l’ex governatore della Banca centrale europea Mario Draghi è intervenuto sul Financial Times, è tutto incentrato su di lui e sui temi che sollevava: un grande piano di stimolo per la ripresa economica dell’Italia dopo l’epidemia.
Così Draghi da giorni all’interno e all’estero e ha oscurato il premier Giuseppe Conte che oggettivamente come temi, credibilità interna e internazionale, e personalità è molto più debole. Nel frattempo Conte ha incontrato il Papa e ha avuto una telefonata con il presidente americano Trump. Ma non è emersa né da questa né da altre attività del premier qualcosa di sostanziale per l’Italia oggi.
Le voci a Roma sono che l’equilibrio si regge su un’intesa: Conte guida l’emergenza dell’epidemia e poi arriva Draghi per la ricostruzione. Ciò perché, ed è un punto sul quale a Roma pare esservi consenso, cambiare Conte in questo momento spaventerebbe ancora di più la popolazione già sostanzialmente nel panico.
Ma se l’esperienza della Cina può dirci qualcosa è che l’emergenza dell’epidemia potrebbe essere molto lunga.
A praticamente due mesi e mezzo dall’inizio dell’allarme coronavirus in Cina, scattato il 23 gennaio, la situazione in Cina non è ancora tornata alla normalità, anche se ci sono stati miglioramenti. Non si sa quando si terrà l’assemblea plenaria del parlamento cinese, originalmente prevista per il 5 marzo, e i visti dei residenti stranieri sono stati sospesi sine die.
Certo, nei prossimi giorni il clima dovrebbe progressivamente riscaldarsi e questo dovrebbe aiutare la battaglia globale contro questa polmonite atipica, ma non ci sono sicurezze. Come non ci sono sicurezze che le pulsioni attuali a riaprire le attività produttive in Italia e in altre parti del mondo non portino poi a pericolosissimi ritorni di fiamma dell’epidemia, cosa che è accaduta nei giorni scorsi in Cina.
L’emergenza Coronavirus potrebbe allora prolungarsi per mesi, e il cambio Conte-Draghi spostarsi molto più in là del previsto.
Nel frattempo il contesto internazionale, che condiziona fortemente l’Italia, è in grande movimento. In Ungheria, Viktor Orbán ha chiesto poteri speciali, cosa che potrebbe indicare una pericolosa deriva autoritaria nel continente. Ma Orbán capisce bene la situazione interna e internazionale.
All’interno del paese c’è il coronavirus che rischia di andare fuori controllo, all’esterno c’è una Ue che stenta a prendere iniziative di breve termine. Inoltre paesi come la Polonia sono tentati dalla stessa deriva ungherese e una freddezza di Bruxelles verso Budapest approfondirebbe lo iato che esiste tra Europa ex occidentale e quella ex orientale.
Ciò a sua volta rafforzerebbe destre estreme come la AfD in Germania, cosa che potrebbe re-infilare il continente in una deriva neofascista come un secolo fa. Di fronte al radicalismo di certe destre europee quelle italiane sono educande; però possono innestarsi rischiosi circuiti di incoraggiamento reciproco.
D’altro canto proprio come un secolo fa, il populismo di destra si regge e si giustifica per il populismo di sinistra e la rigidezza delle risposte delle classi dirigenti del passato. L’Italia per esempio ha un debito pubblico del 140% del suo Pil, comprato in tanta parte non dagli italiani (che non si fidano molto dei governi a Roma) ma da Ue e fondi Usa.
Questi non regalano soldi al Paese, ma glieli prestano a tassi bassissimi, oggi fra l’1 e il 2%. Se questi tassi salgono oltre il 3% l’Italia fallisce. Ma la Germania, gli Usa, la Francia e gli altri “nemici” dell’Italia cercano di tenere i tassi sul debito italiano bassi per salvarla, mentre tanti politici a Roma non solo non sanno cosa fare, ma non sanno nemmeno cosa dire.
C’è qualcun altro al mondo che ha la forza e la voglia di accollarsi gli oltre 2mila miliardi di debito italiano? Per di più prestandocelo quasi gratis, cioè cosa che col tempo significa un regalo all’Italia?
È vero che la Cina possiede oltre mille miliardi di debito americano, ma quella è in sostanza una partita di giro: la Cina ha prestato soldi all’America che poi ha usato quei fondi per finanziare il suo deficit commerciale nei confronti della Cina stessa, nell’ordine di circa 500 miliardi all’anno. In Italia semplicemente non ci sono i numeri per mettere in piedi un tale scambio.
La Cina forse potrebbe comprare mille miliardi di debito pubblico italiano, ma l’Italia non potrebbe mai reggere un deficit commerciale con la Cina di quasi il 30% del Pil italiano.
D’altro canto da Ue o America non c’è uno sforzo di informazione che racconti all’Italia e al mondo la situazione attuale del continente. Ciò anche perché ragionevolmente tutti sono concentrati sulle loro questioni di casa.
Quindi l’Italia è tornata terreno di scontro geopolitico, testimoniato dall’attivismo russo e cinese in Italia e dalla copertura mediatica che viene loro assegnata dall’Italia stessa.
I disegni strategici però sono diversi. La Russia vuole spaccare o almeno indebolire la Ue, che di fatto la contiene entro confini che le stanno stretti. In ciò l’Italia, oggi come durante la guerra fredda, è preziosa.
La Cina invece ha programmi diversi. Essa vuole prendere una base forte in Ue e rafforzare la Ue come contrappeso strategico per Usa e Russia.
In questo contesto forse andrebbero viste le misure che anche Draghi prospetta.
Eurobond o Mes sono in ogni caso impossibili senza drastiche e radicali riforme del sistema politico-economico italiano. Non è tanto l’assunzione del debito pregresso, è l’alea del debito futuro. Se la Germania e i paesi nordici regalano i propri sacrifici all’Italia senza garanzie sufficienti, ciò aizzerà i peggiori sentimenti neofascisti e anti-italiani in quei paesi e la storia dovrebbe ricordarci che non sono mai stati di aiuto per l’Italia.
Quindi le riforme strutturali in Italia e le garanzie richieste dalla Germania sono un’assicurazione per l’interno e l’esterno. L’Italia è infatti inaffidabile al quadrato: 1, perché il paese in vent’anni, dall’entrata nella moneta unica, non ha migliorato il rapporto debito/Pil come aveva promesso e come ha fatto per esempio la Germania; e 2, perché questo governo e questo parlamento appaiono deboli e inaffidabili.
Del resto il sentimento è condiviso dagli italiani, i quali pur essendo i maggiori risparmiatori del mondo sono gli unici, tra i paesi sviluppati, che esportano i loro risparmi all’estero nell’ordine di 50-60 miliardi di euro all’anno.
In queste condizioni forse in Italia non si può aspettare, ma probabilmente si aspetterà perché il paese è in grande affanno e confusione per una malattia che ha messo oggi KO il suo cuore produttivo e intellettuale, Milano e la Lombardia.