Il Superbonus resta un bel problema, ma in fondo riguarda il passato. Il debito invece riguarda il presente e il futuro. Tuttavia l’agenzia di rating Fitch conferma la tripla B con outlook stabile come già nel novembre scorso. Un altro esame superato e un nuovo rinvio alle decisioni che il Governo prenderà nei prossimi mesi quando, prima ancora di elaborare la Legge di bilancio 2025, scatterà la procedura d’infrazione e comincerà una serrata trattativa con Bruxelles. La nota di Fitch richiama in modo esplicito questo appuntamento.
Dopo S&P (BBB, outlook stabile) e Dbrs (BBB-high, outlook stabile) manca solo il giudizio di Moody’s (Baa3, outlook alzato da negativo a stabile a novembre 2023) in calendario per il 31 maggio. Ma è probabile che anche il suo sia un wait and see. Il ministro dell’Economia tira un altro sospiro di sollievo alla vigilia del lancio della nuova emissione di Btp valore con un rendimento medio annuo al 3,79% che dovrebbe avere anch’esso una buona risposta da parte dei risparmiatori.
Giancarlo Giorgetti sta facendo del tutto per confermare la sostenibilità del debito italiano, sia con una politica di bilancio prudente, sia spingendo su strumenti finanziari in grado di attrarre il risparmio interno. La quota di titoli pubblici in mano al pubblico italiano sta aumentando ed è un segnale di stabilità. Quest’anno occorre rinnovare titoli per circa 400 miliardi di euro, i risparmiatori italiani detengono ancora 1.100 miliardi di euro nei conti correnti (quindi senza remunerazione), insomma c’è un bel salvadanaio al quale attingere. Ma non è tutt’oro quel che luccica.
Con un debito pubblico pari al 140% del Pil, ma che in termini assoluti viaggia verso i tremila miliardi di euro, qualsiasi ministro del Tesoro dovrà darsi da fare per attingere al risparmio nazionale (la ricchezza finanziaria supera i cinquemila miliardi di euro), tuttavia questo riduce l’impiego produttivo di risorse che dovrebbero essere destinate agli investimenti, quindi a sostenere la crescita. E qui veniamo al secondo punto interrogativo.
Fitch prevede un aumento del prodotto lordo dello 0,7%, allineandosi alla maggior parte delle stime (Fmi, Banca d’Italia, Ocse) che oscillano tra 0,6% e 0,7%. Il Governo è più ottimista e scommette sull’un per cento. Nel primo trimestre l’Istat calcola che sia cresciuto dello 0,3% in linea con la media dell’Eurozona, meglio di Francia e Germania, peggio della Spagna. La crescita acquisita, tenendo conto dell’effetto trascinamento è pari a mezzo punto percentuale, ciò vuol dire che se l’economia si fermasse del tutto nei prossimi tre trimestri, l’Italia registrerebbe una crescita dello 0,5%. Dunque, è possibile che alla fine gli esperti del Tesoro azzecchino le previsioni più di quelli delle istituzioni internazionali.
Ma i calcoli degli statistici, importanti anche perché influiscono sulle aspettative che orientano le scelte delle imprese, non si discostano da uno scenario molto modesto. Nel 2022 il Pil era aumentato del 4%, lo scorso anno s’è fermato allo 0,9%. Insomma, siamo in decelerazione. Se guardiamo alla domanda che tira lo sviluppo, vediamo che quella interna è piatta e si spegne anche la spinta che il Superbonus aveva dato all’edilizia. Mentre si aspetta che con l’estate il turismo torni a dare il proprio contributo, per il momento tutto dipende da quella estera, quindi dalle imprese che esportano. Tutto resta sulle loro spalle. Nell’attesa che il Pnrr si metta davvero in moto e dia quel sostegno sperato forse in modo troppo ottimistico.
Siccome abbiamo introdotto le speranze, non possiamo non tornare a battere sul tasto della politica monetaria. L’inflazione scende, più che negli Stati Uniti, dunque non ha senso che la Bce attenda le decisioni della Federal Reserve. C’è un certo ottimismo e gli osservatori prevedono un taglio a giugno. Fabio Panetta Governatore della Banca d’Italia lo ha chiesto in modo esplicito. Ma attenzione, non c’è da farsi illusioni: sarà solo un ritocco, forse i tassi di riferimento potranno scendere dal 4,5% al 4% a fronte di un’inflazione annua scesa al 2,4%. Dunque il costo del denaro resterà ancora molto elevato. Ciò significa che i margini di manovra per la politica fiscale sono ancora minimi.
In questi 18 mesi di Governo il debito pubblico è cresciuto di 104 miliardi di euro. Non si può aumentare la domanda interna redistribuendo denaro che non c’è. Lo si è visto con il rinvio all’anno prossimo dei 100 euro promessi e ampiamente pubblicizzati da Giorgia Meloni. È toccato al viceministro dell’Economia Maurizio Leo spiegare con il suo tono di buon senso che non c’è trippa per gatti (anche lui è romano de’ Roma). Si continuano a promettere stimoli, sostegni, spese per sostenere aziende in crisi, per spingere i settori strategici, per l’Intelligenza artificiale, per ridurre il divario digitale, per la difesa (scelta non più rinviabile per la quale occorre quasi un punto di Pil). Con lo 0,7%, ma anche con l’un per cento, la torta resta troppo piccola.
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