A questo punto l’Italia sembra un Paese imballato, che aspetta quasi con rassegnazione (al di là di alcune dichiarazioni retoriche) le soluzioni possibili per una serie di problemi che si accumulano. In questi giorni si è aggiunto, a quella che abbiamo già definito crisi di sistema, il ritorno del Covid 19, a colpi, ogni giorno, di diverse centinaia di contagi. Se l’aumento continuasse su questo ritmo e peggiorasse la situazione sanitaria, diventerebbe complicato immaginare, oltre allo stato di emergenza in vigore dal 31 gennaio scorso e già prorogato al 31 gennai 2021, quali altre misure restrittive si potrebbero adottare.



Al momento, quasi tutti gli esponenti politici escludono la possibilità di un nuovo lockdown, una nuova chiusura di quasi tutte le attività, perché il collasso economico sarebbe questa volta inevitabile e scontato.

Sul piano sanitario, dopo aver passato una primavera tragica, l’Italia sembrava vedere un’uscita dal tunnel. L’estate ha portato delle speranze e forse un’eccessiva tranquillità. L’inizio di autunno, invece, è arrivato con preoccupazioni, anche se, rispetto ad altri Paesi, l’Italia sembra ancora in un contesto sanitario che si può definire “sotto controllo” e la stessa portata del virus, sebbene pauroso nella sua escalation, sembra più controllabile nella cura, nella limitazione dei ricoveri e nella consapevolezza che probabilmente è sufficiente ritornare a un’autodisciplina rigorosa.



Ma questo situazione critica (così è stata definita) fa da sfondo a  una situazione politica, sociale ed economica che definire incerta e confusa sembra ormai un eufemismo.

C’è un primo elemento da sottolineare in questa crisi di sistema. La realtà è che il partito di maggioranza relativa in Parlamento, il Movimento 5 Stelle, è al momento, sia dopo la tornata elettorale, sia nelle intenzioni di voto su scala nazionale, scivolato al quarto posto, addirittura alle spalle di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. La crisi di questo partito è tale che, oltre a perdere voti e a “ingannare” indirettamente la rappresentanza in Parlamento, il M5s è in una cronica e spaventosa carenza di idee e in questo momento rappresenta l’immagine esatta del collasso della politica italiana. Non si contano le posizioni differenziate all’interno dei pentastellati, non si esclude che al congresso, denominato “stati generali”, possa consumarsi una scissione tra l’ala di Di Battista e quella di Di Maio. Qui Marx potrebbe sorridere e sbizzarrirsi nel suo pensiero della storia che si ripete come farsa: chi è Desmoulins e chi Mirabeau in questa fase?



La caduta dei pentastellati (ripetiamo: partito di maggioranza relativa in Parlamento) è il sintomo più evidente della crisi sistemica. Gli altri partiti sono andati al loro rimorchio dopo le ultime elezioni politiche: prima Salvini e i leghisti, poi addirittura il Partito democratico, invocando uno stato di necessità anti-salviniano.

Al centro di queste alleanze traballanti e strane, come presidente del Consiglio è stato cooptato una sorta di “anonimo pugliese”, nemmeno una parodia di “Anonimo veneziano”, sia libro sia film, che pare arrivato dall’altro mondo e ha una capacità che alcuni definiscono di grande mediazione, altri di essere il campione del mondo del rinvio acrobatico. In due anni, in due governi da lui presieduti, Giuseppe Conte ha modificato idee e scelte con una disinvoltura provinciale imbarazzante. Ma intanto i problemi reali si sono accumulati.

Mentre veniva nobilitato prima dal partito del “vaffa” e dell’anti-politica militante, poi accreditato e addirittura incoraggiato dal segretario del Pd, il partito che eredita la vecchia sinistra, dai post-comunisti ai cattolici di sinistra.

Conte è il secondo aspetto della grande crisi. All’inizio dell’anno, prima della pandemia, era sull’orlo dell’uscita dal governo, adesso è diventato di nuovo il perno della politica del rinvio in un quadro complessivo talmente difficile da diventare insostituibile, perché la scacchiera politica è imperscrutabile: non ammette alternative, perché o sono impossibili o addirittura improponibili in un momento come questo.

L’elenco e la portata dei problemi richiederebbe una solidarietà nazionale che non è neppure immaginabile in queste circostanze. l’Italia ha bisogno di investimenti per una continua emergenza sanitaria, ma la decisione sul prestito del Mes (Meccanismo europeo di stabilità) viene costantemente rinviata: pentastellati, Lega e Fratelli d’Italia si dichiarano contrari. Così il governo è spaccato e pure l’opposizione è divisa. Qualsiasi governo, guardando oggi la situazione delle code degli italiani disperati che vorrebbero fare un tampone, oppure cercano un vaccino antinfluenzale che sembra introvabile, non aspetterebbe nemmeno un giorno per intervenire.

Poi ci sono le lamentele dei presidenti di Regione, un po’ tutte, con in più il grottesco “lanciafiamme” di Vincenzo De Luca che si è un po’ spento.

Quindi ci sono i problemi legati al Recovery fund o Next generation Ue, che ha intoppi al Parlamento europeo e ne avrà per diverso tempo nei parlamenti nazionali. Ci sono poi tutte le questioni legate alla cassa integrazione, al blocco dei licenziamenti, alla possibilità di chiusura di attività.

La problematicità sociale ed economica sembra il riflesso inquietante della dispersione politica. L’ultimo sondaggio di ieri, quello che riassume tutti i sondaggi, dava un quadro impossibile da decifrare. Adesso la Lega sarebbe in testa con il Pd a tre punti, poi la Meloni e quindi M5s. Ma sono contemplate variazioni. Se Conte facesse un suo partito prenderebbe l’11 per cento, tre punti in meno rispetto a giugno, ma impoverirebbe il Pd, relegandolo al 15 per cento, con Lega più salda in testa, la Meloni rafforzata e il M5s comunque allo sbando. Sembrano giochetti maldestri. Forse, il presidente di Confindustria Carlo Bonomi sarà sbrigativo e schematico, ma qualche critica alla politica non pare proprio ingiustificata.

Certo, il mondo politico potrebbe almeno riscattarsi guardando alla radiazione dalla magistratura di Luca Palamara. Riscattarsi come? Facendo finalmente una commissione d’inchiesta che esaminasse, con la testimonianza di oltre 150 pubblici ministeri (tanti ne ha citati Palamara), come è stata amministrata la giustizia in Italia negli ultimi quarant’anni.

Visto quello che è accaduto in questi anni sarebbe ragionevole, ma in Italia, lo diciamo subito, sarà impossibile.