Una settimana fa il New York Times ha dedicato un lungo servizio a un pastificio di Contursi Terme nel napoletano: Orogiallo, premiata ditta rinomata per i suoi paccheri. Ma non è questo ad aver attratto l’attenzione del quotidiano Usa, bensì il fatto che l’energia che fa marciare l’impianto è fornita da una miscela di idrogeno e gas naturale che, al termine del processo, restituisce all’ambiente solo acqua. È questo il risultato di un’esperienza promossa da Snam su impulso dell’amministratore delegato Marco Alverà.



La notizia mi è tornata in mente alla lettura del piano di rilancio dell’economia tedesca, un programma in 57 punti approvato dal Governo dopo un rovente dibattito tra le due componenti, la Cdu/Csu e i socialdemocratici, con un ampio contributo dei Verdi. Nel piano, infatti, è previsto un finanziamento di 7 miliardi di euro per sviluppare impianti che producono idrogeno, l’energia pulita del futuro nonché la vera soluzione strutturale per l’auto, dopo il necessario passaggio dell’elettrico che, a lungo andare, provocherà problemi di smaltimento non secondari. La Germania si mette così in scia ai big asiatici: Toyota ha già aperto alcuni impianti di distribuzione dell’idrogeno.



Purtroppo l’agenda italiana è troppo condizionata dalla necessità politica di distribuire pacchi doni alle clientele per dedicare la necessaria attenzione al futuro. Al contrario, di fronte alle novità imposte dalla crisi, Berlino è tornata a sfoderare le capacità di programmare senza lasciare nulla al caso. Anche la conversione di Angela Merkel, rapida e sorprendente, si spiega con il nuovo quadro dell’economia accelerato dalla crisi del coronavirus. La politica dell’austerità imposta all’Europa nel recente passato dipendeva dalla scelta di non investire nemmeno un euro sul rafforzamento di Eurolandia. A sostenere le sorti dell’export tedesco bastava e avanzava la domanda della Cina, combinata con la resilienza di altri mercati extra-Ue. Per quale motivo, insomma, preoccuparsi della tenuta dei mercati del Sud Europa quando le vendite in Oriente giravano a mille? Al più, i partner italiani e spagnoli potevano essere integrati nel ciclo di produzione tedesco, garantendo flessibilità e costi decrescenti.



Ma la situazione, complice l’ondata di protezionismo in atto, oggi è cambiata. E l’Europa, da terzista dell’industria tedesca, torna a essere un mercato di sbocco. L’austerità, già dogma per un Paese deciso a non essere coinvolto dalle vicende dei vicini, cede il passo a una presunta “generosità” fatta di prestiti a tasso quasi zero che servono a rilanciare economie satelliti cui in un domani verrà presentato il conto. L’importante, per ora, è rilanciare l’economia tedesca che vive di export ridando fiato ai partner.

Una politica legittima e conveniente per tutti entro certi limiti. L’importante è non dimenticare che, al contrario di quel che crede un Paese ubriacato dalle sciocchezze sulla decrescita felice, nessun pasto è gratis: solo chi saprà usare le risorse nel modo più appropriato uscirà vincitore.

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