Davvero gli esami non finiscono mai, aveva ragione Eduardo De Filippo. Non abbiamo fatto in tempo a rallegrarci per una crescita “impressionante” (così l’ha chiamata il Fondo monetario internazionale) ed ecco arrivare nuovi avvertimenti e nuove raccomandazioni dallo stesso Fmi: attenti al debito, attenti al Pnrr, attenti alle riforme. Il cammino nella seconda metà dell’anno è pieno di ostacoli ognuno dei quali nasconde un’insidia. La lode del Fondo riguarda il 2022 con un aumento del Pil pari al 3,7%, vi ha contribuito in modo determinante la domanda interna e in particolare il turismo e il superbonus del 110%, il quale, però, si è rivelato un boomerang non solo per il modo in cui è stato utilizzato, spesso con intenti speculativi e talvolta fraudolenti, ma per i costi fuori controllo scaricati sul bilancio pubblico. Pantalone ha pagato per i condomini e per le imprese e ha pagato davvero caro.
Le cifre sono ballerine, adesso si parla di 86 miliardi di euro, secondo altre stime ben più di 90 miliardi, in ogni caso più del doppio rispetto a quanto era stata previsto. Tuttavia, il calcolo va fatto comprendendo anche quel che è rientrato allo Stato grazie alle imposte sull’attività economica e sugli utili, secondo una stima fatta dal Consiglio degli ingegneri sono entrati al fisco circa 32 miliardi. Dunque, l’esborso netto sarebbe tra 54 e 60 miliardi di euro, ma occorre attendere valutazioni più complete da parte dell’Agenzia delle entrate e del Tesoro.
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha assicurato che il debito scenderà, però si è diffusa la sensazione che basti l’effetto automatico dell’inflazione. Sarebbe così se nel frattempo non aumentassero i tassi d’interesse e con essi il costo stesso dell’indebitamento. Nel 2023 dovremo vendere titoli per 320 miliardi di euro e solo per effetto dei rincari attuali potremo raggiungere in due anni un esborso di cento miliardi per gli interessi sui titoli di stato emessi.
Un timore davvero serio riguarda una delle misure chiave annunciate dal Governo: la riforma fiscale. Per quest’anno non ci sono le risorse e ci si è accontentati di un ritocco al “cuneo fiscale” riducendo i contributi sociali. L’Ufficio parlamentare di bilancio mette in guardia dal rischio che per mantenere la promessa aumenti il deficit e di conseguenza si stampino ancor più buoni del Tesoro: “Si metterebbe a repentaglio la solidità dei conti pubblici e la sostenibilità del debito nel medio-lungo termine” è scritto nella memoria inviata alla Camera dei deputati. Dunque, le preoccupazioni del Fmi e quelle espresse ancor prima dall’Ue per bocca di Paolo Gentiloni non sono affatto infondate.
Non solo, l’inflazione sta erodendo le buste paga e il costo della vita si fa sentire: l’Istat ha calcolato che nel quarto trimestre dello scorso anno l’andamento del reddito disponibile delle famiglie (+0,8%), accompagnato da una crescita dei prezzi al consumo particolarmente forte, ha comportato una significativa diminuzione del potere d’acquisto (-3,7%). Una tendenza che non è cambiata, in attesa di conoscere i dati più aggiornati.
Ma diamo un’occhiata al bicchiere mezzo pieno: il Pil crescerà più del previsto, un po’ sopra un punto percentuale. Il sempre cauto Giorgetti questa volta si è sbilanciato: potremmo arrivare all’1,2 o persino all’1,4%. Ci sono, però, segnali contrastanti che non consentono di dormire tra due guanciali. Bene i servizi, soprattutto ancora una volta il turismo, ma non la manifattura con una produzione industriale che frena in tutta l’Eurolandia. La Confindustria sottolinea che a maggio la fiducia delle imprese è di nuovo calata: meno ordini, più basse attese sulla produzione. La domanda estera non tira più: l’export italiano di beni si è fermato, in media, nel primo trimestre.
Le aziende stanno pagando tassi per i prestiti sempre più alti, con un +4,30% a marzo che supera di gran lunga il livello di fine 2021 (1,18%). “Il credito a condizioni molto più onerose fa sì che lo stock di prestiti alle imprese si stia contraendo sempre di più (-1,0% annuo a marzo): manca perciò un sostegno a produzione e investimenti”, sostiene la Confindustria. Ulteriori aumenti dei tassi da parte della Bce potrebbero avere effetti davvero molto pesanti, tali da rimettere in discussione le rosee previsioni governative.
Inflazione, denaro più caro, incertezze anche internazionali, tutto questo sta cambiando il comportamento dei consumatori. Diminuiscono gli acquisti di beni alimentari anche se è ripreso il mercato delle vetture nuove. Nel bicchiere mezzo pieno c’è il continuo aumento dell’occupazione (altri 80 mila posti di lavoro in più nel primo trimestre), ma “si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” direbbe Giuseppe Ungaretti e proprio in autunno arriverà il momento della verità.
Ecco perché è fondamentale che si aprano finalmente i cantieri del Pnrr. Sul piano, non solo sui suoi tempi, ma sulla sua realizzabilità, c’è un diffuso pessimismo in Italia più che in Europa, nel Governo più che nella Commissione Ue. Ci sono ministri come Raffaele Fitto al quale il Pnrr fa capo che, per voler essere realisti, rischiano di apparire disfattisti, altri che immaginano già la possibilità di dover cancellare buona parte degli impegni e restituire all’Ue una bella fetta di quel che ci è stato concesso. Uno stato d’animo davvero sorprendente, una resa, l’ammissione di una sconfitta annunciata. Se si diffonde questo atteggiamento non solo non avremo quest’anno nessun effetto positivo sul Pil dal lato degli investimenti, ma ci sarà un impatto tremendo sulle aspettative dalle quali dipende per buona parte la crescita del Paese.
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