Si concludono oggi gli incontri tra Draghi e i partiti della maggioranza riguardanti la Legge di bilancio, con l’obiettivo di trovare una quadra dopo la presentazione al Senato di circa 6.300 emendamenti alla manovra. Intanto anche Matteo Salvini, come avevano già fatto gli altri leader della maggioranza, ha espresso l’auspicio che il premier rimanga alla guida dell’esecutivo.



“Siamo passati dalla fase in cui si attendeva o si auspicava che Draghi si pronunciasse sulla possibilità di succedere a Mattarella al Quirinale a una fase in cui invece ciascun partito della maggioranza gli ha praticamente chiesto di rimanere a palazzo Chigi”, nota l’ex direttore del Sole 24 Ore Guido Gentili.



A cos’è dovuta questa richiesta?

In parte a un sistema politico imballato, debole. I partiti hanno dei problemi interni, specie M5s, e a votare il capo dello Stato sarà un Parlamento che non rispecchia più gli equilibri politici reali. Non c’è nessuno così forte da poter esprimere una candidatura e gestire in solitaria questa partita. Anche perché, e questa credo sia un’altra causa della richiesta dei partiti, non c’è nessuno che intende infilarsi in un tunnel che può anche portare alle elezioni anticipate nel caso Draghi salga al Quirinale. Quindi, giocoforza gli si chiede di rimanere a palazzo Chigi.



Draghi è pronto a restarci? Nel caso cercherà di dettare le sue condizioni per continuare a guidare l’esecutivo?

Draghi ha finora sottolineato il ruolo fondamentale del Parlamento sia per la prosecuzione dell’attività del Governo che per la scelta del capo dello Stato. Nel momento in cui sono i principali partiti della maggioranza a esprimersi con questa richiesta al premier, è dunque evidente che lui la rispetterà. Ovviamente, però, la sua posizione alla guida del Governo, specie se Mattarella venisse confermato al Quirinale, verrebbe rafforzata: ci sarà minor necessità di infilarsi in continue mediazioni, come risulta evidente da quest’ultima partita sulla Legge di bilancio.

Il premier cercherà già nel giro di colloqui con i partiti sulla manovra di trasmettere questo messaggio?

Sì, nel senso che credo che alla fine rimarrà immutato l’impianto della Legge di bilancio approvato dal Cdm. Colpisce certo la mole di emendamenti che sono stati presentati in Senato, anche se è quasi rituale che ogni volta che c’è da discutere la manovra i partiti cerchino di fissare i loro paletti. Ci sono circa 600 milioni di euro che verranno sicuramente utilizzati per rispondere ad alcune istanze che le forze politiche avanzano, ma credo che Draghi richiamerà tutti al rispetto dell’accordo che era stato già raggiunto a palazzo Chigi.

Per capire se la sua azione avrà avuto successo dovremo quindi vedere se verranno o meno ritirati gli emendamenti.

Esatto. Dobbiamo comunque mettere in conto il fatto che ogni partito, durante l’iter parlamentare della manovra, cercherà di far quadrato su un punto, come, per esempio, M5s sul Reddito di cittadinanza.

Con la manovra si procederà anche a un taglio delle tasse in base a un accordo raggiunto dai partiti che non soddisfa però sindacati e Confindustria. Questo può essere un problema?

L’accordo tra i partiti, frutto di un confronto coordinato dal Mef, rafforza l’esecutivo nei riguardi delle posizioni specularmente critiche di Confindustria e sindacati. Non credo che Draghi sarà disponibile a smantellare l’accordo politico: le parti sociali rischiano, quindi, di rimanere tagliate fuori.

L’importante è che, tra revisione di detrazioni e deduzioni e implementazioni dell’Assegno unico per i figli, ci siano poi più soldi in tasca per gli italiani, specie ora che l’inflazione morde.

Certo, è fondamentale, perché se guardiamo alle risorse messe in campo c’è il rischio che alla fine non si avverta alcun beneficio. È vero che ci sono soldi stanziati per gli anni successivi, ma si deve poter avvertire da subito un effetto positivo, si deve poter incidere sulle aspettative, sui livelli di consumo favorendo la ripresa. Non bisogna prendere sottogamba il problema dell’inflazione in Italia. È vero che la Bce ripete che è transitoria, ma i dati continuano a raccontare una realtà un po’ diversa: in Germania ha toccato il 6% ed è un problema, sappiamo quanto il liberale Lindner, neoministro delle Finanze, sia sensibile su questo tema.

Torniamo alla partita del Quirinale. Se Draghi restasse a palazzo Chigi non è automatico che anche Mattarella rimanga al suo posto, anche se fossero i partiti a chiederglielo. Cosa succederà in quel caso?

In quel caso i partiti si troveranno di fronte alla necessità di trovare un’intesa la più indolore possibile, evitando cioè di andarsi a infilare in un Vietnam coi voti a scrutinio segreto dall’esito imprevedibile. Dovrebbero trovare un ampio accordo, magari sul nome di una donna, che sarebbe di per sé una novità istituzionale molto forte per il Paese. È evidente che se c’è la necessità di trovare un ampio accordo potrebbe anche rispuntare il nome di Draghi, ma a quel punto sarebbe complicato chiedergli di diventare presidente della Repubblica appena dopo avergli chiesto di restare a palazzo Chigi.

Draghi dovrà intanto cercare di continuare a far marciare la macchina del Pnrr. Adesso sembra che manchino 22 traguardi, dei 51 di qualche settimana fa, da raggiungere entro fine anno.

Un mese fa sembrava che fossimo in ritardo, ma stando ai dati che arrivano dai ministeri la situazione sembra ora migliorata e la partita sembra diventata gestibile nei tempi previsti. Credo sarà più che altro da monitorare la parte che riguarda e coinvolge anche gli enti locali che avevano già indicato grandi difficoltà nella messa a punto dei piani.

C’è il rischio di uno scaricabarile, di un rimpallo di responsabilità tra enti locali e Stato centrale?

È molto probabile che si aprirebbe una sorta di “caccia al colpevole” e credo che Draghi sapesse benissimo fin dall’inizio che questo è il pantano da evitare. L’Italia, infatti, ha purtroppo già cumulato esperienze che indicano che a livello locale, in particolare nel Mezzogiorno, ci sono problemi di messa a punto importanti nella realizzazione degli investimenti. Al momento, però, non abbiamo una fotografia di come stanno andando le cose: è un tema quindi da monitorare.

(Lorenzo Torrisi)

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