Quando è nato il governo Draghi, Sergio Mattarella si è sentito meno solo per tante ragioni, non ultima avere qualcuno che condividesse i medesimi principi nella politica estera, e che finalmente gli consentisse di smettere a dover supplire alle falle di una proiezione internazionale che definire contraddittoria è un eufemismo.
Sin dalla nascita del Conte 1 il Quirinale si era trovato a fare argine alle pulsioni putiniane del primo Salvini e a quelle filo cinesi dei 5 Stelle. A volte aveva dovuto farsi concavo e convesso, aprendo le porte a Xi Jinping con il massimo della solennità. Il massimo della supplenza era stato toccano a inizio 2019, quando la Francia aveva ritirato il proprio ambasciatore a Roma di fronte alle improvvide visite di Di Maio (allora vicepremier) e di Battista ai leaders dei gilet jaunes. Con pazienza Mattarella aveva ricucito, forte di un rapporto personale con Emmanuel Macron, che è apparso particolarmente forte in occasione della sua visita di Stato a Parigi appena conclusa.
Anche durante la pandemia Mattarella non ha cessato di tenere aperti canali di dialogo del massimo rilievo con l’Eliseo, come con il presidente tedesco Franz Walter Steinmeier. È anche intorno a questi rapporti privilegiati che è venuta maturando la svolta dell’Europa, con Francia e Germania che hanno compreso la necessità di quella svolta meno rigorista e più solidale che porta il nome di Recovery fund.
Con Draghi la sintonia non poteva essere più piena: grazie anche all’autorevolezza dei suoi due massimi rappresentanti il nostro Paese è tornato a muoversi da protagonista nei due ambiti tradizionali della nostra politica estera, europeo e atlantico. E l’arrivo di Biden alla Casa Bianca ha pure aiutato.
Alla vigilia del semestre bianco, a pochi mesi dalla fine del suo mandato, il viaggio a Parigi ha rappresentato per Mattarella una sorta di passaggio di testimone, almeno per quanto riguarda la politica estera. Il discorso alla Sorbona e i colloqui con i vertici istituzionali francesi consegnano una serie di linee di direzione estremamente ambiziose, che toccherà a Draghi portare avanti.
In cima a tutto c’è l’Europa, che ha saputo reagire in modo adeguato alla pandemia (con l’acquisto in comune dei vaccini) e alla crisi economica che ne è seguita (con il Next Generation Eu). Per Mattarella è il momento di osare di più, di rinnovare le istituzioni nel senso di maggiore sovranità europea, non meno, con buona pace dei sovranisti, nostrani e non. La strada, superare il principio dell’unanimità, che consente anche a un solo Paese di bloccare decisioni largamente condivise. Forse pensava a Orbán quando alla Sorbona scandiva che “Le solenni decisioni assunte da ciascun popolo al momento dell’adesione al progetto non possono essere contraddette se non a prezzo della drastica decisione dell’abbandono”. Parole forse più gradite ai sovranisti alla Salvini quelle riservate al comportamento pilatesco dell’Unione in tema di migrazioni: per Mattarella costituisce un vulnus che continui a mancare una polemica comune, assolutamente indispensabile.
L’Europa di Mattarella coincide con quella di Draghi, più integrazione, più solidarietà, meno rigore cieco, con un bilancio e una politica fiscale comuni. Resta da capire se l’attuale premier possa portare avanti queste idee con maggiore efficacia restando a Palazzo Chigi o traslocando a inizio febbraio 2022 al Quirinale.
E la risposta viene più dal quadro internazionale che da quello nazionale. Draghi può incidere di più continuando a garantire l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza dalla sua postazione di governo nell’interesse non solo dell’Italia, ma dell’intera Europa. Nel momento in cui in autunno la Merkel uscirà di scena, e Macron si avvicinerà alla battaglia per la rielezione, il premier italiano rischia di ritrovarsi a essere il principale punto di riferimento continentale. Restando a palazzo Chigi potrebbe garantire una difficile transizione sino a metà 2023, ponendo le basi per la più autorevole delle candidature a succedere a Ursula von der Leyen l’anno successivo. Ma se la logica e le pressioni internazionali vanno in questa direzione, resta da capire chi possa succedere a Mattarella al Quirinale.
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