Si moltiplicano strani articoli che sembrano scritti con l’intento di dimostrare che Draghi è necessario ovunque, dall’Europa a Palazzo Chigi, ma non al Quirinale. Dopo Stefano Folli su Repubblica, è toccato a Mannheimer e S. Pasquino sul Riformista. Il Colle sarebbe un ripiego, viste le sfide che lo attendono in plancia di governo con il Recovery Fund. Insomma, un “promoveatur ut amoveatur”, scrivono i due. Meglio sarebbe se restasse dov’è. Abbiamo chiesto a Calogero Mannino, cinque volte ministro Dc, che senso può avere oggi questo dibattito. “È singolare questa convergenza di apparenti opposti” dice al Sussidiario.



Perché, Mannino?

Dimostra che la preoccupazione dominante è quella di tenere Draghi fermo. Non già e soltanto perché si ritiene che sia indispensabile al governo del paese in questa fase, che, vorrei sottolinearlo, non finisce con questa legislatura.

E allora per quale motivo?

Si mettono le mani avanti perché ciascuno pensa al proprio avvenire. Letta è apparso subito più preoccupato della linea politica del Pd che non di sostenere concretamente  il governo oggi e di avere in mente Draghi come soluzione per il Quirinale. Mentre l’agitazione di Salvini dimostra che la Lega soffre l’aumento di consenso della Meloni, che andrebbe affrontata con il consolidamento della funzione di Governo della Lega.



Non crede che un “coprifuoco” fino al 31 luglio sia un’esagerazione, e che molti “piccoli”, come si usa chiamarli, siano economicamente allo stremo? 

Anche la necessità che lo determina è esagerata. Una pandemia che fa vittime e non soltanto anziani.

La linea politica del Pd, lei dice. Qual è?

Semplicemente, Letta ha riadattato alle circostanze e cioè al recupero del centro la proposta di Bettini di un asse con i 5 Stelle attribuendo a Conte la funzione di collante della sinistra.

Lei ci aveva detto che Draghi rappresenta una sorta di ritorno sui generis al ’92, al momento in cui i fili si sono spezzati. Conferma?



Sì. Con l’azione di Draghi, l’Italia ha riconquistato un minimo di spessore nella politica europea e internazionale, e l’improvvisazione in direzioni diverse viene arrestata con determinazione. Poi Draghi sta dimostrando una capacità elevata di governo dei problemi. Anche politici.

Che cosa intende?

Si è concesso di stoppare l’offensiva che viene fatta nei confronti di Speranza, al punto da offrirgli un riparo assoluto, e non è cosa facile.

Cosa pensa di questa vicenda?

È un’offensiva ben motivata. Ma non solo Speranza, tutto il governo Conte dovrebbe essere chiamato a rispondere della pandemia. Opportunamente al momento giusto, non adesso.

Torniamo a Draghi.

Sta sviluppando un’azione politica che lo colloca sul piano delle leadership europee, proprio mentre esce di scena la Merkel in Germania. E sta dimostrando di possedere gli elementi essenziali del disegno europeo-atlantico. Per conseguenza all’interno del Paese deve rimuovere punti di incrostazione di posizioni politiche ed interessi che contrastano questa linea.

In concreto?

Sta tentando di circoscrivere il disegno dalemiano di occupazione del potere che si stava realizzando attraverso Gualtieri, le nomine e la stampa e questo con una linea politica eterodossa rispetto al canone atlantico.

Quale stampa?

Il Corriere della Sera può considerarsi l’Unità di oggi. Il direttore è un ex redattore dell’Unità, le voci più importanti sono Veltroni e D’Alema, con le sue interviste periodiche.

Che ideologia è quella dalemiana?

Nessuna ideologia, come è stato per il partito post-comunista; solo un disegno di potere. Sul quale Draghi si sta come librando in sospeso, tanto da sembrare un acrobata sulla corda stesa tra due punti opposti e distanti. E in effetti è in parte così, perché non ha alle spalle un partito né partiti alleati. La sua è la solitudine dei numeri primi.

Un funambolo?

Sì. Attraversa la piazza molto in alto, camminando sulla corda. Ma la corda è questo paese, con la pandemia che non è finita, le imprese che chiudono e una finanza pubblica che sarà esplosiva se non ammortizzata da una ripresa dello sviluppo. Si scontra con troppi capricci, ed a volte poco senso della responsabilità, mentre ce ne vuole tanto.

Che cosa intende dire?

Qui si capisce perché la Gran Bretagna abbia vinto la guerra: per la disciplina e il metodo che noi non abbiamo. In più, la pandemia, come abbiamo detto più volte, ha svelato e aggravato i nostri problemi strutturali. 

Non crede che lo pseudo-dibattito sul destino di Draghi abbia, banalmente, a che fare col fatto che l’ex presidente della Bce potrebbe andare al Colle con i voti del centrodestra?

Ferrara definisce Salvini un “Infiltrato interno alla maggioranza”, ma dimentica di essere lui stesso, Ferrara, un infiltrato nella sinistra di oggi dopo la lunga milizia berlusconiana… Questo governo è fatto da intrusi tutti necessari. Partiti che sostengono il governo ma non si riconoscono in un progetto comune. Accettano Draghi perché deve salvare il paese nel quale ciascuno di loro riprenderà la propria parte. E questo vale anche per la Meloni.

In che senso?

Lucra consensi facendo un’opposizione marginale in una situazione drammatica, mentre l’esigenza della solidarietà nazionale dovrebbe chiedere altro impegno.

Non mi ha risposto. Sappiamo bene che l’Italia si comanda dal Colle; è per questo che vedrebbero volentieri Draghi da un’altra parte?

Non sono in condizione di interpretare Draghi. Ma sembra evidente che non si lascia turbare da questi problemi. Ha accettato il rischio di una situazione drammatica e senza prospettive, quella del momento della crisi del Governo Conte. E si è messo sulla corda dell’acrobata.

Però i calcoli e i posizionamenti sono cominciati da tempo.

Mi sembrano tutte mosse che non considerano i limiti della situazione. È inutile che Letta e D’Alema si illudano di determinare il nome del presidente della Repubblica. Letta lavora per Prodi, ottimo candidato, ma D’Alema sarà d’accordo? In passato mi pare di no.

Ci sono anche ambienti che da tempo sponsorizzano la Cartabia. Chi sono?

Quelli che pensano di utilizzare le difficoltà di composizione e le divaricazioni tra le forze in campo per trovare la soluzione del compromesso finale. 

Quirinale compreso?

L’ex presidente della Consulta è una candidatura che credo dal Quirinale sia molto apprezzata, come lo è oggettivamente.

Tra Casaleggio e M5s si è consumata una rottura che pare definitiva. Casaleggio farà un suo partito?

Può riuscire nel suo progetto, quello di un partito anti-sistema e populista, nel solco della coerenza alla natura ed alla piccola storia di M5s, ma soltanto se ha con sé Di Battista. È l’unico che può esercitare una visibilità politica corrispondente alla natura dei 5 Stelle, specie dopo il blackout di Grillo, e quindi recuperare larga parte del  consenso fin qui ottenuto.

E gli altri pentastellati?

Si aggregheranno intorno a Conte, che mostra di essere politicamente un punto interrogativo. Draghi è la solitudine dei numeri primi, Conte l’irrilevanza dei numeri primi. Del resto era stato scelto solo in modo strumentale, per coprire un vuoto.

Ma chi sono i suoi sostenitori?

Gli stessi che sostengono la sinistra e si rendono conto che la sinistra ex comunista da sola non ce la fa. 

Siamo da capo. Se volessimo chiamarli per nome?

L’articolata “area Bettini”, con la concentrazione di tante forze che non stanno in vetrina. E non sono poche.

(Federico Ferraù)

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