Dopo il vertice pre-natalizio del centrodestra tenutosi ieri a Villa Grande, Silvio Berlusconi ha spiegato che ogni decisione circa la sua candidatura al Quirinale è rimandata a dopo Natale. Il suo nome resta comunque sul tavolo per la successione a Mattarella, ma non è questa l’unica ragione, come ci spiega Guido Gentili, che ha spinto Lega e Forza Italia a chiedere a Draghi di restare alla guida del Governo subito dopo le sue dichiarazioni nella conferenza stampa di fine anno di mercoledì.
«Nonostante le domande dirette sul suo futuro, il Premier – spiega l’ex direttore del Sole 24 Ore – è riuscito a fare l’equilibrista sia dal punto di vista politico che lessicale. Detto questo, secondo me è emersa comunque una sua preferenza per il Quirinale. Lo conferma anche il fatto che, al di là di quella che può essere la giusta soddisfazione per i risultati ottenuti, ha enfatizzato molto gli obiettivi raggiunti e ha sottolineato che “il Governo ha creato queste condizioni indipendentemente da chi ci sarà”. Ovviamente ha anche evidenziato che a scegliere il capo dello Stato sarà il Parlamento, quindi tutto dipende dai partiti».
E i partiti si sono ancora una volta affrettati a dire che preferiscono che Draghi rimanga a palazzo Chigi…
Sì. Certamente, essendoci Berlusconi in campo per la successione a Mattarella, Forza Italia e la Lega, che finora si è dimostrata leale nel sostenere l’ex Premier, non possono che insistere sulla necessità che Draghi resti a palazzo Chigi, ma credo che anche gli altri partiti, con la sola eccezione forse di Fratelli d’Italia, temano uno scossone violento che potrebbe portare poi alle elezioni anticipate, che sarebbero un vero terno al lotto per tutti. Per questo la reazione alle parole del presidente del Consiglio è stata quanto meno prudente, per non dire fredda. Al di là di questo io penso che effettivamente il lavoro dell’esecutivo non possa considerarsi concluso, ci aspettano mesi difficili.
Da che punto di vista?
Anzitutto per quel che concerne il Covid e la variante omicron, ma c’è anche l’inflazione con cui dovremo fare i conti, oltre che con i rincari delle materie prime energetiche e il loro riflettersi sul costo delle bollette, su cui il Premier stesso ha detto bisognerà intervenire ancora. In un contesto così complicato l’opera di Draghi servirebbe più che mai, in modo da cercare di rafforzare nel 2022 i risultati economici raggiunti e fronteggiare i rischi cui andiamo incontro.
In effetti nessuno dei partiti vorrà prendere direttamente in mano una situazione del genere. Dovrebbero quanto meno trovare un’altra figura come Draghi su cui convergere…
Un tecnico non parlamentare come Draghi non c’è. Si partirebbe quindi già con un “downgrading” dal punto di vista della personalità tecnica perché non ce n’è una migliore. E trovare un politico che tenga insieme una maggioranza di unità nazionale mi sembra molto complicato.
Se Draghi resterà a palazzo Chigi, il Governo andrà avanti così com’è o ci vorrà una sorta di “tagliando”?
Effettivamente questo è un tema che, nel caso Draghi restasse a palazzo Chigi, in qualche modo si porrà. Lo stesso Premier, nella conferenza stampa di fine anno, ha ammesso che nell’ultima fase di messa a punto della Legge di bilancio – arrivata parecchio tardi in Parlamento e che sostanzialmente verrà approvata senza alcun tipo di esame o discussione alla Camera – c’è stata molta tensione, ci sono voluti diversi incontri per trovare una sintesi. Ha parlato di affanno, il quale è già il segno di una difficoltà oggettiva nel mettere d’accordo tutti nella maggioranza. Lui c’è comunque riuscito, ma a un prezzo molto alto.
Quale?
Come abbiamo sentito dalle sue stesse parole, sulla questione del superbonus al 110% la posizione del Governo era un’altra rispetto a quella risultante dal maxi-emendamento, ma ha poi dovuto ritirare tutti i freni che erano stati messi per evitare possibili frodi. Per tornare alla domanda precedente, le difficoltà emerse inevitabilmente torneranno a galla e quindi bisognerà porsi il problema di cambiare qualcosa.
Le difficoltà sembrano esserci state non solo sulla Legge di bilancio. Per esempio, a febbraio si parlava di un atteggiamento diverso da quello del Governo Conte-2 sui provvedimenti che sarebbero stati presi per fronteggiare l’aumento dei contagi, con maggior chiarezza, trasparenza e senza il rincorrersi di rumors e anticipazioni prima delle decisioni effettive. In quest’ultima settimana, però, prima della cabina di regia, si è sentito di tutto e di più, c’è stata una sorta di involuzione.
Sì, in queste ultime settimane l’affanno non è stato solo sulla Legge di bilancio, ma anche sui provvedimenti di contrasto al Covid. La strategia di fondo è rimasta chiara, con l’ancoraggio ai vaccini e la necessità della terza dose, ma sulla validità del green pass, la sua durata, l’uso della mascherina all’aperto, ecc. siamo tornati a quel tira e molla con rumors e anticipazioni che ovviamente dal punto di vista della trasparenza e della funzionalità dei provvedimenti non sono certo efficaci. Fortunatamente non siamo tornati ai livelli parossistici che abbiamo conosciuto con il Governo Conte-2.
Se Draghi si trova “costretto” a restare a palazzo Chigi, cosa succede per l’elezione del capo dello Stato? Il centrodestra potrebbe andare avanti con Berlusconi, Pd, M5s e Leu stanno cercando un’intesa su un nome, ma è chiaro che nessuno di questi due candidati avrebbe quell’ampia maggioranza che lo stesso Letta ritiene necessaria. Si dovrà passare a un piano B…
Teoricamente, ma lo dico quasi come provocazione, prima di arrivare al piano B ci sarebbe anche un piano A-1. Tenendo conto della situazione in cui ci troviamo e di quanto ci siamo detti, potrebbe essere una sorpresa il fatto che i leader di tutti i partiti, Meloni compresa, si mettano d’accordo per votare al primo scrutino Mattarella. In questo modo non si correrebbe il rischio di vedere la maggioranza spaccata sul nuovo presidente della Repubblica, i partiti si leverebbero parecchie castagne dal fuoco, in particolare le elezioni anticipate, e resterebbe il tandem Draghi-Mattarella, che lo stesso Premier ha in qualche modo valorizzato nella conferenza stampa di fine anno. Certo, Mattarella potrebbe anche rifiutare, ma di fronte a un voto del genere sarebbe difficile tirarsi indietro. Inoltre, potrebbe lasciare prima della fine del secondo settennato.
Se ciò non avvenisse torneremmo al piano B. Quale nome potrebbe mettere d’accordo tutti? Quello di una donna renderebbe le cose più semplici?
Sì, nel senso che sarebbe già di per sé una svolta dal punto di vista storico (il primo capo dello Stato donna) e raccoglierebbe più consensi sia nell’opinione pubblica che in Parlamento. I nomi sono sempre i soliti, ma credo sia difficile che si possa trovare un convergenza su uno che faccia riferimento a uno schieramento politico. Quindi, il primo nome che viene in mente è quello di Cartabia.
Per arrivare a un accordo, la palla ce l’ha in mano il centrodestra o il centrosinistra?
Sulla carta il centrodestra parte avvantaggiato, se non altro numericamente.
Potrebbe quindi ritirare il nome di Berlusconi e presentarne un altro che dovrebbe essere accettato dall’altra parte?
Sì, in questo caso si ripeterebbe lo schema che era stato previsto, e non è stato poi concretizzato, nel 2015, con il famoso accordo tra Berlusconi e Renzi su Amato. Non vedo però le stesse condizioni di allora per uno schema del genere, che è un po’ logoro.
Il nome di Amato va quindi scartato?
Amato ha tutte le caratteristiche per poter essere eletto, considerando oltretutto che diventerà Presidente della Corte Costituzionale. Ha un passato sì di capo di governo, ma anche di esponente del Psi e si porta quindi dietro un pezzo di politica, un pezzo di storia della sinistra. Mi sembra pertanto un po’ difficile che possa avere chance reali oggi rispetto, per esempio, al 2015.
(Lorenzo Torrisi)
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