Primo obiettivo: non fare errori sulla pandemia. Draghi sa che se l’economia si ferma sono guai. E tuttavia un nuovo lockdown generalizzato sarebbe accettabile, perché arriverebbero subito ristori veri. A dirlo è Mario Sechi, direttore dell’Agi. Draghi metterà l’acceleratore, perché sa già cosa fare e lo farà davanti al parlamento. L’incognita maggiore è nel sistema politico, dove tutto sta succedendo molto in fretta. La Lega ne trarrà beneficio, mentre Pd ed M5s potrebbero entrare ancora più in crisi, dando luogo, per sottrazione, ad un governo neo-conservatore.
Qual è la prima vera prova che attende il governo?
Il contrasto alla pandemia. I dati dell’Oms dicono che il contagio è in rallentamento è questo è positivo, ma le varianti sono ancora un’incognita. Legato a questo c’è il tema dell’efficacia dei vaccini, che per adesso sembrano funzionare. Qui si gioca la partita.
Che cosa serve per vincerla?
Una strategia basata sull’attenzione, sul monitoraggio e sul tracciamento, che non abbiamo mai fatto seriamente. E poi una politica i isolamento delle zone di contagio con lockdown mirati. Se il governo Draghi fa bene tutto questo, andrà avanti.
Non sarà facile, il governo è appena partito.
Draghi sa bene, e lo ha detto nel suo discorso, che alla base di tutto c’è il piano di vaccinazione. Anzi, io penso che abbia già preso iniziative. Quali, esattamente, non possiamo saperlo.
Un’ipotesi?
La strada potrebbe essere quella di intensificare la produzione dei vaccini in tutta Europa, Italia compresa, attraverso la concessione di licenze ad altri siti produttivi di vaccini esistenti. Il presupposto della ricostruzione, che è la missione del governo Draghi, è che il paese sia sano.
Rischi di instabilità?
Io non ne vedo, perché Draghi su questo si muoverà molto rapidamente. C’è l’accordo di tutti.
Si può escludere a priori un nuovo lockdown generalizzato?
In teoria no. Ma ciò che Draghi non farà è un nuovo lockdown senza una strategia altrettanto forte: ristori veri e tracciamento. Come ha fatto e sta facendo la Germania. Draghi conosce il bilancio dello Stato e sa che se l’economia si ferma sono guai. Però non basta che l’economia non si fermi: per proteggerla occorre vaccinare più persone possibili.
Franco, Cingolani, Colao, Giorgetti sono i ministri del Recovery. C’è un governo nel governo?
No, Draghi lo ha escluso quando ha detto come gestirà il Recovery Plan. La governance del programma sarà incardinata nel Mef, che interagirà con gli altri ministeri competenti. Il parlamento ne sarà informato. Questo chiude la partita.
In che senso?
Draghi sceglie la strada opposta a quella di Conte, che voleva una cabina di regia interna a Palazzo Chigi con un comitato di trecento consulenti. L’errore che lo ha fatto cadere.
È un governo che ha come unico obiettivo quello di portare l’Italia nel Recovery?
Se vogliamo chiamare così un programma epocale da 200 mld, sì. È un super programma, i cui due pilastri sono la vaccinazione e la ricostruzione. Impegnerà non solo questo governo ma anche quelli successivi.
Questo che prospettive dà al governo Draghi?
Secondo me chiude la legislatura.
Con proroga di Mattarella fino al 2023?
Potrebbe essere.
È un’ipotesi realistica?
Dipende da Mattarella, dai partiti e da come vanno le cose. Qualcuno pensa di votare tra un anno, ma potrebbe non essere la cosa che conviene di più al paese. Draghi potrebbe durare fino al ’23, al termine della proroga di Mattarella, e trovarsi a un bivio. O fare il nuovo De Gasperi, con un concorso di forze politiche a sostegno, e continuare con un altro governo…
Oppure?
Oppure, al termine di un passaggio ben ragionato della politica italiana, andare al Quirinale.
La Bce è il vero pilastro dell’Unione Europea e con la sua presidenza Draghi ha guadagnato un’autorevolezza indiscussa. Al prossimo summit europeo sarà soltanto il premier italiano?
Sono convinto che Draghi resti diverse cose insieme, perché nessuno può ignorare quello che ha fatto. Solo la Merkel ha il suo grado di esperienza e il suo carisma tra i leader europei.
Tutti i partiti sono in una fase di trasformazione. Ma chi conta di più al governo?
Indubbiamente lo smottamento di M5s fa assumere alla Lega un peso specifico maggiore in un governo che per sua natura e leadership appare più conservatore. In più Giorgetti e Garavaglia hanno due ministeri chiave. Il Mise ha il compito di mettere di nuovo in piedi l’industria e la manifattura italiana. Non parliamo solo di Ilva, Whirlpool, Alitalia, ci sono molti altri dossier che messi insieme sono una massa imponente, altrettanto importante, ma di cui non si parla. Mentre il turismo è un propulsore della nostra economia ed è il settore più colpito. Se tutto va bene, la Lega ne trarrà grande beneficio.
Che dire della crisi dei 5 Stelle?
La scissione li indebolisce, ma per la prima volta hanno l’occasione di fare chiarezza al loro interno. Sono un partito progressista? Usiamo pure questa formula, sapendo che però non basta.
Riusciranno ad essere il partito verde voluto da Grillo?
Per fare i Verdi tedeschi serve una buona dose di pragmatismo non ideologico. L’industria diventa il tuo principale alleato. Non puoi essere il partito dei no, devi cominciare a dire sì. Per capirci, i treni fanno risparmiare tanta CO2.
Potrebbe essere una trasformazione che supera il Pd in modernizzazione?
Se il Pd resta quello attuale, sì. Al Pd serve una correzione di rotta. Fino all’altro ieri nel Pd si discuteva del “perimetro” del governo, un dibattito senza senso perché Mattarella ha fatto appello a tutte le forze parlamentari. Il dibattito sul perimetro sottintendeva un pregiudizio ideologico.
Quel pregiudizio c’è ancora?
Non ci sono dubbi. È il pregiudizio che impedisce al Pd di essere un partito moderno. Nella politica contemporanea devi parlare con i tuoi avversari e talvolta allearti con loro. Il governo Draghi ha forzato questo processo e le ali più radicalizzate si stanno auto-escludendo dalla sua formula.
Qual è la correzione di rotta che serve al Pd?
Il disegno di Bettini è naufragato sui diktat ideologici: o Conte o morte, mai più con Renzi, la carta Draghi non c’è… Si è realizzato tutto quello che Bettini e Zingaretti avevano escluso. Il Pd non ha ancora elaborato una piattaforma di idee che lo collochi pienamente nella contemporaneità.
Compito del segretario.
Di tutto il gruppo dirigente. Si può anche fare un congresso, il tema vero è che non basta cambiare l’hardware, bisogna riscrivere il software. Sarebbe interessante vedere il Pd dialogare con la Lega su alcuni punti fondamentali.
Ad esempio?
Il rilancio del Nord, che rappresenta i due terzi dell’export italiano. Se parlasse con la Lega, il Pd ne trarrebbe vantaggio. Pian piano smetterebbe di essere solo il partito dei ceti ministeriali.
Chi si prenderà il Sud?
Bella domanda. Il Sud è ancora un oggetto misterioso. È stato giallo-5 Stelle, ma quali benefici ne ha ricavato? Il reddito di cittadinanza non dà prospettive future, dovrebbe servire a trovare lavoro, ma il lavoro lo creano le imprese. No, non mi aspetto un Mezzogiorno grillino. Il Sud potrebbe invece guardare a un partito moderato.
Un partito piddin-contiano?
No, quella è la formula di un ceto poco dinamico, mentre il Sud ha bisogno di imprese e di un partito che rappresenti insieme le istanze di chi produce e di chi cerca lavoro rischiando. Potrebbe farlo la Lega, non è detto che accada ma la sua svolta la pone in quella direzione.
La svolta dell’adesione a Draghi?
La Lega può diventare un partito conservatore che sta vicino alla destra ma collocato più al centro, pragmatico, europeo ma senza l’-ismo degli europeisti, che impedisce di distinguere cosa funziona in Europa e cosa no.
Dunque il panorama politico italiano cambierà molto rapidamente.
Due partiti stanno cambiando in modo accelerato, altri meno. L’anello debole del sistema è che cosa faranno M5s e Pd.
Non c’è più Trump, c’è Biden. E con lui il partito democratico più grande del mondo.
È legittimo avere aspettative su Biden, ma Biden ha in testa una cosa molto chiara: l’interesse degli Stati Uniti, non quello del Pd. Se ti appoggi a Biden e poi Biden si sposta, cadi.
(Federico Ferraù)
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