Il Governo che Mario Draghi ha avuto l’incarico di comporre si pone all’incrocio di due fasi cicliche ricorrenti dalla prima metà degli anni Novanta del Novecento in Italia e in Europa. Il primo ciclo è quello italico dell’“europeismo passivo”, ossia – riprendendo il Gramsci dei Quaderni che riflette sul Vincenzo Cuoco della rivoluzione napoletana – quell’adesione alla Ue che avvenne e ancora oggi avviene secondo quel tratto ricorrente della storia nazionale ch’era ed è l’“assenza di iniziativa popolare” e, conseguentemente, “il fatto che il ‘progresso’ si verifica sempre come reazione delle classi dominanti al sovversivismo sporadico e disorganico delle masse popolari con ‘restaurazioni’ che accolgono una qualche parte delle esigenze popolari, quindi ‘restaurazioni progressive’ o ‘rivoluzioni-restaurazioni’ o anche ‘rivoluzioni passive’” (Quaderni, p. 957).



È un ciclo che inizia con la Presidenza della Repubblica di Oscar Luigi Scalfaro e il Governo di Ciampi del 1993, che deve porre le basi per la costruzione dell’Ue e dell’euro. Iniziava Tangentopoli e quindi il percorso delle privatizzazioni senza liberalizzazioni che avrebbero portato – sempre con Ciampi e con Guido Carli – alla costruzione dell’Ue come sistema di Trattati e di moneta unica con l’euro e il governo dall’alto delle politiche economiche nazionali. Di fatto alla politica nazionale si iniziava a sottrarre lo stesso territorio di possibile costituzionalizzazione: il sistema dei partiti, come costruttori della vita politica nazionale.



Il Governo Ciampi fu l’ultimo governo della cosiddetta prima repubblica e rimase in carica dal 29 aprile 1993 all’11 maggio 1994. Primo governo della storia della Repubblica italiana a essere guidato da un non parlamentare e il primo dal 1947 a partecipazione (sia pure per poche ore) di esponenti post–comunisti. Il fattore K andava lentamente crollando con il crollo dell’Urss. La centralizzazione capitalistica del tempo, protesa alla finanziarizzazione e all’eliminazione dei sistemi a economia mista, lo imponeva. Il Governo era molto simile all’attuale di Mario Draghi, con una miscelazione attenta di tecnici ai quali vengono affidati i ministeri portanti della centralizzazione (Giustizia e Tesoro), a politici atlantisti ed europeisti già in carica i ministeri decisivi per la collocazione internazionale (Guerini alla difesa, con il declassamento degli Esteri, ora sostituiti di fatto dal riferimento all’Europa come spazio politico centrale e all’atlantismo tramite il ruolo storico del primo ministro).



Come nei susseguenti governi del ciclo iniziato con Ciampi agli esponenti postcomunisti furono affidati i governi della centralizzazione controllata dall’alto, oggi i ministri della Lega sono in prova e devono ottemperare alle esigenze sia delle borghesie nazionali che rappresentano, sia della regolazione dall’alto dei trattati europei “via pilota automatico”. È ben diverso, questo governo di Mario Draghi, dal governo “tecnico” di Mario Monti: le forze politiche partecipano, ma, come aveva previsto Aldo Moro dalla sua prigionia, il loro potere di legittimazione – così come iniziò con il primo governo Ciampi – va scomponendosi sotto i colpi della magistratura e, non dimentichiamolo, dell’offensiva della mafia a cui, al tempo di Ciampi, si rispose con coraggio e sacrificio di vite di eroici servitori dello Stato.

Il secondo ciclo in cui oggi siamo immersi è economico e ha bisogno di un intervento dall’alto, ma non con un governo di soli tecnici. Il sostegno esterno di cui la centralizzazione capitalistica europea ha bisogno – se ci si rivolge all’Italia – deve essere politico anche se della politica si nega la stessa sostanza costituzionale: esercitarsi nel territorio in cui è possibile costruire lo Stato. Oggi lo Stato esiste solo come finzione: dallo “Stato persona” siamo giunti allo “Stato finzione” costituzionale, perché anche la Costituzione deve tacere. Certo la rivoluzione passiva oggi si configura in modo diverso sia dal governo Ciampi, sia dal governo Monti: si configura nelle forme della centralizzazione capitalistica in Europa, Europa che deve riuscire a non disgregarsi per la pandemia.

Ed ecco la vera differenza: questo è un Governo di spesa e non di austerità, di possibilità di ricreare la crescita. Le spinte alla disgregazione sono acuite dalla caduta del saggio di profitto e dei salari provocato dai trenta e più anni di deflazione secolare imposti della Germania mercantilista a tutto il capitalismo europeo attraverso il controllo della tecnocrazia di Bruxelles, come ormai biblioteche di studi sociologici ed economici non mainstream dimostrano in abbondanza. Anzi, la dimostrazione che oggi la centralizzazione capitalistica – necessaria tecnologicamente – e la lotta tra i capitalismi nazionali per la sopravvivenza (come sempre accade per la legge dello sviluppo ineguale del capitalismo) sono come sempre, storicamente, due fenomeni contraddittori, è nella composizione dello stesso Governo: Governo “misto”, tecnico-politico che preannuncia un modo di riscrivere la lotta politica anche per gli anni a venire.

La Germania, come avevo preannunciato due anni or sono, sta lentamente abbandonando, proprio per questo, i paradigmi dell’ordoliberismo, accettando la mutualizzazione del debito e la sua trasformazione in investimento diretto per produrre crescita anche nel mercato interno, pena lo stesso disfacimento del capitalismo tedesco: di qui la conversione sulla via di Damasco di Schäuble e soci. Il disfacimento ha colpito da anni quello francese, di capitalismo, e due suoi importanti interpreti descrivono tale decadenza nei loro due ultimi lavori scientifici di grande interesse (Natacha Polony, Sommes-nous encore en democratie e Nicolas Baverez, L’alerte democratique, entrambi editi da L’Observatoir nel 2021).

È in questo contesto che l’Italia deve trasformare la sua incapacità di decisione politica in un’adesione convinta alla mutualizzazione del debito e quindi al Next Generation Eu. Matteo Renzi, in quell’incrocio di pressioni internazionali tipici della crisi organica di cui già dicemmo su queste colonne, ha dato il via all’apertura della fase odierna della rivoluzione passiva europeistica di cui il capitalismo italiano per salvarsi ha disperatamente bisogno e di cui la Germania, d’altro canto, in primo luogo, ha assoluta necessità per rifornire le catene produttive finali e intermedie delle sue industrie e della sua intersezione plurima con il capitalismo mondiale a partire dalla Cina e dagli stessi Usa.

Ed è in questo europeismo passivo che si dovrà giocare la carta di Mario Draghi. Essa è individuata come la più idonea per tentare – come si fece con la Bce – di far fuoriuscire dal dilagare della deflazione secolare un’Europa che con la sua politica economica deflattiva pone in pericolo anche le strutture nervose del capitalismo nordamericano, che minaccia – anche per questo – di trovare molto più faticoso e difficile lottare contro l’avversario cinese. Cina che è invece divenuta il punto archetipale della potenza tedesca, sì priva di un esercito, ma protesa al dominio mondiale per via economica. Ecco il prodigio magico dell’incarico del Presidente Mattarella a Draghi, che si fonda su una formula che il mio vecchio amore per gli elitisti italiani (Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto, Filippo Burzio e Renato Michels), mi ha fatto subito riconoscere come cifra profonda dell’incarico.

Leggiamo il dettato dell’incarico: “(un appello) …a tutte le forze politiche presenti in parlamento perché conferiscano la fiducia a un Governo di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica”. Orbene: il concetto di formula politica è genuinamente moschiano e identifica, cito a memoria, “la dottrina che dà la base morale al potere delle classi dirigenti”. Quindi un Governo indifferente alla lotta politica e alla dimensione politica (!) che deve pur fondarsi sulla stessa… politica. Purché la politica taccia come ideologia e diventi neo-cameralismo, ossia amministrazione ordinata dell’esistente. Il che è oggi la più grande delle riforme: per crederci leggete il piano governativo Conte 2 redatto per ricevere i fondi europei e vi sentirete mancare il respiro.

Ci si deve allora chiedere su che basi possa così fondarsi non solo un Governo, ma addirittura uno Stato. Io me lo chiedo perché ricordo le lezioni di Giorgio Berti, di Leopoldo Elia e non da ultimo di Giovanni Marongiu, i quali richiamavano tutti al fatto che se lo stato di diritto altro non è che lo stato della Costituzione (e qui ecco il dramma dell’Europa che non ha né uno Stato, né una Costituzione eppur vola, come il calabrone che non può volare), ebbene la base della Costituzione altro non può che essere la politica e quello che Costantino Mortati chiamava “la Costituzione materiale”, ossia i partiti politici… pensate un po’!

Come può reggersi allora un simile Governo? Ma si reggerà al di fuori della Costituzione: sul potere esterno donato al Governo dalla stessa centralizzazione capitalistica europea, che non a caso ha il suo punto archetipale oggi nella cosiddetta “transizione energetica” per l’unificazione delle grandi onde di Kondratiev innovative che può concentrare il capitale ed espandere la base produttiva, elevando il tasso di profitto. Il Recovery plan italiano ci si dice che possa disporre di 209 miliardi di euro da spendere in maniera regolata da precise regole contabili. Il governo Conte 2 nulla aveva fatto di presentabile. Un vero disastro. Pensiamo inoltre che – e qui arriviamo alla centralità della transizioni energetica – alla transizione verde dovrebbe essere destinato il 37% dei finanziamenti complessivi. L’ipotesi, quindi, di accorpare il ministero dello Sviluppo economico con un nuovo superministero a tale transizione dedicato non è che la logica conseguenza della centralizzazione che deve inverarsi anche in una nazione ormai profondamente indebolita nelle sue strutture statuali.

Energia, ambiente, innovazione e crescita economica non possono non essere interconnessi – sul piano delle politiche pubblico-private – pena il fallimento del processo di centralizzazione. Ma proprio sul punto cruciale della centralizzazione capitalistica esploderanno le contraddizioni del governo Draghi. La politica, come ci insegnava Ulrich Beck, se la cacci dal Parlamento e dai partiti ritorna con altri mezzi. In questo Governo i partiti incroceranno le lame con i tecnici? Comporranno, invece, un percorso unitario? Ma ancora più cruciale è pensare come potranno convivere le ideologie della crescita infelice dei 5 Stelle con la coniugazione della transizione energetica ed ecologica con gli imperativi dello sviluppo economico propri del partito a cui si è permessa l’entrata in un Governo per sua stessa consustanzialità sì europeista ma non ordoliberista dispiegato, ossia con le politiche propugnate dalla Lega.

Tutto è in movimento. Il ciclo non può fermarsi. Ciò a cui assisteremo sarà un capitolo interessantissimo dell’europeizzazione passiva dell’Italia che continua e che continuerà sino a quando l’Europa non si darà quella Costituzione che è sempre più urgente. Le consolidate capacità di mediazione e di compensazione dei pesi e delle rilevanze politico-economiche che Mario Draghi è chiamato a esercitare saranno una dimostrazione della capacità dell’Italia di sopravvivere piuttosto che di risollevarsi. Per questo ci vuole ancora tempo e il ritorno della lotta politica e di una Costituzione europea.

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