“Il discorso di Draghi è stato fatto per preparare la gente ad un lockdown duro” dice Antonio Pilati, ex commissario dell’Agcom, esperto di comunicazione e saggista. Ieri il presidente del Consiglio ha rivolto un messaggio alla conferenza “Verso una strategia nazionale sulla parità di genere”, ma la parte significativa è quella introduttiva, rivolta all’emergenza sanitaria.



“La pandemia non è ancora sconfitta” ha dichiarato Draghi “ma si intravede, con l’accelerazione del piano dei vaccini, una via d’uscita non lontana”. Il capo del Governo però ha anche detto che “ci troviamo tutti di fronte, in questi giorni, a un nuovo peggioramento dell’emergenza sanitaria. Ognuno deve fare la propria parte nel contenere la diffusione del virus. Ma soprattutto il governo deve fare la sua”. Ha ringraziato tutti: i cittadini “per la loro disciplina, la loro infinita pazienza”, studenti, famiglie, insegnanti, operatori sanitari, forze dell’ordine, forze armate, protezione civile. E poi: “Ogni vita conta. Non perdere un attimo, non lasciare nulla di intentato, compiere scelte meditate, ma rapide. Non voglio promettere nulla che non sia veramente realizzabile”.



Perché questo messaggio?

Siccome pensa di chiudere del tutto o quasi, Draghi ha racchiuso l’annuncio della stretta in una prospettiva di gratitudine e di speranza. È un classico: devi dire una cosa spiacevole, e lo fai, ma insieme indichi una via di uscita.

Ieri si è riunita una cabina di regia dalla quale è trapelato poco. Sembra che allo studio ci sia una super zona rossa.

Il discorso di Draghi è stato fatto per preparare la gente ad un lockdown duro. Se le nuove misure saranno meno restrittive del previsto, il capo del Governo avrà ringraziato e rincuorato gli italiani. Se sarà lockdown totale, in qualche modo ha preannunciato che la situazione lo richiede.



Se lo aspettava?

Quando i governi non riescono a fare le cose necessarie per combattere la pandemia, dai tracciamenti al rafforzamento del sistema sanitario, l’unica arma che gli resta è chiudere la gente in casa.

Da cosa dipende la decisione di chiudere, se così sarà?

Poiché Conte non ha fatto nulla per un anno e mezzo, Draghi eredita una situazione di completo sbandamento. Non si ricostruisce un sistema sanitario e una risposta efficace in 15 giorni, e nemmeno in un mese.

Come si sta muovendo Palazzo Chigi?

Con qualche fatica, mi pare. Draghi si è reso conto che c’è tutto da fare e viene da pensare che quando ha accettato di formare il governo non disponesse di tutti gli elementi della situazione.

È per questo che si è affidato all’esercito?

Sì. In questo quadro di grande difficoltà, molti governi – non solo quello italiano – hanno deciso di accentrare e verticalizzare. Anche la Francia ha messo in campo come noi i militari.

Una stretta ulteriore sortirà l’effetto sperato?

Vedremo. Per adesso, mi sembra che stiamo ancora inseguendo la situazione. Sia per ragioni oggettive, cioè il disastro ricevuto in eredità, sia perché la nuova squadra di governo contiene tanti elementi del passato. Alcuni si possono sostituire, come Arcuri. Altri, come Speranza, no.

Non ritiene che fare un lockdown pesante abbia senso se nel frattempo si vaccina a tamburo battente?

Le chiusure vanno fatte in anticipo, non quando le terapie si riempiono. Avremmo dovuto fare chiusure mirate un mese fa per evitare l’ondata che sta arrivando.

Un mese fa c’era la crisi di governo.

E infatti adesso siamo all’inseguimento. Fare chiusure draconiane senza vaccinare e senza fare tracciamenti vuol dire essere costretti a riaprire per dare ossigeno. Poi si ricomincia.

Però la macchina vaccinale dovrebbe essere in procinto di partire.

Dobbiamo sperarlo. Qui c’è una dinamica interessante da considerare. All’inizio l’ideologia ufficiale prevedeva di affidarci all’Unione Europea, che avrebbe avuto più potere negoziale sul mercato dei vaccini. Si è rivelato un errore. Questo ha portato i vari paesi a ripiegarsi su logiche nazionali. Il punto vero è che ci sono vincoli geopolitici.

Quali, ad esempio?

Per noi sarebbe fondamentale prendere il vaccino Sputnik, però, se un governo come quello attuale vuole condurre – come mi sembra giusto – una politica che faccia sponda sull’America per contare di più in Europa, Sputnik non si può usare.

Perché?

Sia per ragioni economiche, perché una decisione del genere, per i quantitativi che implica, va ad incidere sul business delle aziende Usa, sia per evidenti ragioni geopolitiche.

Ieri si è saputo che l’azienda farmaceutica italo-svizzera Adienne Pharma&Biotech lo produrrà in due stabilimenti italiani. Si parla di 10 milioni di dosi da luglio 2021.

Però è una decisione privata: si tratta semplicemente del fatto che un’azienda ha ritenuto che l’Italia è un buon posto dove produrre. Produrlo sul proprio territorio non vuol dire disporne. Serve un accordo. E secondo me c’è un problema serio con gli americani.

Quanto serio?

Ricordiamoci che gli Stati Uniti hanno fatto sanzioni indirizzate a chi gestisce il centro di ricerca che ha prodotto Sputnik, facente capo al ministero russo della Difesa.

(Federico Ferraù)