Mario Draghi domani a Parigi incontra Ursula von der Leyen per affrontare una questione cruciale per l’Unione europea e ancor più per l’Italia: come ridurre la dipendenza dal gas russo ed evitare una devastante crisi energetica.
La Commissione europea dovrebbe varare quel che viene chiamato Energy compact, un pacchetto di misure per diversificare il più rapidamente possibile le fonti di energia, aumentare gli stoccaggi e rendere i Paesi dell’Ue meno vulnerabili. L’Italia e la Germania stanno peggio degli altri, ma l’Italia è ancor più esposta poiché le sue fonti nazionali (gas, petrolio, carbone, sole, vento e acqua) sono inferiori a quelle di un Paese che comunque può ricorrere al carbone e riaccendere le centrali nucleari sia pur sfidando i propri impegni e quelli europei.
L’Italia può comprare dall’estero più nucleare per le centrali elettriche anche se Francia, Svizzera e Slovenia non sembra abbiano gran surplus, può utilizzare carbone come sta già facendo, anche se ben che vada potrà coprire tra il 10% e il 15% del fabbisogno, può mettere in funzione altri rigasificatori, ma ci vorrà tempo, può spingere su sole e vento, e ci vorrà forse ancora di più. Dunque Draghi e il ministro Roberto Cingolani sanno bene che in autunno potremo trovarci di fronte a una vera emergenza non solo perché i prezzi saranno alti, ma perché potrebbe mancare la materia prima. Sarà importantissimo, dunque, ottenere dall’Ue un’ampia e robusta ciambella di salvataggio. L’Energy compact di per sé è un principio importante, ma deve essere anche efficace. L’inflazione e la scarsità dal lato dell’offerta rimettono in discussione anche le cifre del Pnrr e anche di questo Draghi dovrà discutere, un aggiustamento è inevitabile, bisogna vedere come e quanto.
L’aiuto europeo è indispensabile anche sul piano monetario e finanziario. La Bce non può aumentare i tassi d’interesse proprio adesso e deve rinviare anche la riduzione graduale degli acquisti di titoli pubblici. Il ritorno alla “normalità” non ha senso in una situazione tutt’altro che normale, mentre ci avviamo di fatto verso una vera e propria economia di guerra. La Commissione europea ha già posposto il ripristino del Patto di stabilità, anche se a questo punto sarebbe indispensabile affrontare di petto la questione e varare un cambiamento dei parametri perché tutti sanno che non hanno più molto senso in questa fase. Si pensi all’energia: sarebbe il caso di escludere le spese per far fronte a una situazione fuor del comune come la guerra in Ucraina. Le regole servono, sia chiaro, tuttavia se sono astratte e cervellotiche saranno sempre violate. È naturale che oggi tutti i Governi continueranno a indebitarsi, ma fino a che punto?
La spinta a spendere e spandere può essere irrefrenabile, ogni categoria sta già chiedendo sostegni e i bar aumentano la tazzina di caffè in previsione dei rincari futuri. Insomma, si sono messi in moto i meccanismi perversi che portano alla stagflazione. E qui veniamo alla dimensione domestica della nuova crisi. Sulla riforma del catasto il Governo se l’è cavata per un voto, ma non è finita perché martedì verrà esaminato dalla commissione finanze della Camera un emendamento che mira ad affissare la riforma, presentato da Alvise Maniero ex pentastellato fuoriuscito. Non c’è Bce, né Ue che tengano se non tiene la maggioranza di governo la quale traballa come se davvero fossimo tornati alla solita routine.
Draghi si è impegnato ad aumentare le spese militari: saranno d’accordo i pacifisti, gli amici di Putin, i nemici della Nato quelli che sono in Parlamento a destra e a sinistra o in piazza come ieri a Roma? Dal 2019 il bilancio della difesa è cresciuto da 22,2 a 25,8 miliardi di euro, dovrebbe salire a 38 miliardi, non tutto e subito, ma quest’anno dovrà esserci un primo incremento. Il Documento di economia e finanza che potrebbe essere anticipato, darà qualche cifra precisa. Così come sugli aiuti per affrontare il caro bollette sia per le imprese che lamentano un aggravio di 55 miliardi di euro, sia per le famiglie. Bisognerà mettere in bilancio anche l’assistenza ai profughi ucraini, sono stati stanziati 99 milioni quest’anno e 45 nel 2023, ma sembrano cifre al ribasso.
Il Governo non vuole sfondare i limiti votati dal Parlamento e può fare ricorso al “tesoretto” generato dalla ripresa dello scorso anno superiore al previsto (il Pil è cresciuto del 6,6%), però sono appena 7 miliardi in più e in ogni caso questo primo trimestre non sta andando bene (si calcola una crescita piatta, o al massimo dello 0,1%). Dunque è escluso che ci siano molti margini di manovra, mentre monta la pressione per allargare i cordoni della borsa. L’opposizione di destra è pronta a cavalcarla, la Lega seguirà per timore di essere bypassata, Forza Italia oscilla e alla fine s’adegua (sul catasto Antonio Tajani è rimasto spiazzato). C’è poi il M5S dove si leva la bandiera anti-militarista, c’è la sinistra che chiede un’Europa mediatrice senza elmetto (parola di Pier Luigi Bersani), ci sono gli ambientalisti che già protestano per i fumi carboniferi che escono a Torrevaldaliga. Insomma, una lista di mal di pancia senza fine.
E il Pnrr? E le riforme? Sotto il drammatico incalzare degli eventi ce le siamo quasi dimenticate. Su fisco, giustizia, appalti, concorrenza restano distanze molto ampie tra i partiti della maggioranza. Si preparano altre trappole? Il buon senso suggerisce che non è il momento, tuttavia si potrebbe dire, adattando il celebre detto di Alessandro Manzoni, che il buon senso esiste, ma sta nascosto per paura di un effimero consenso.
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