Cominceranno domani pomeriggio le votazioni per il presidente della Repubblica e più che per politologi è un esercizio per bookmaker. Se al Quirinale va Mario Draghi, la questione centrale diventa il nuovo Governo, la sua composizione, il suo leader, il suo programma. Il difficile scenario che si è aperto con il nuovo anno richiede infatti una serie di decisioni complesse, alcune anche dolorose, un netto cambio di marcia rispetto agli ultimi mesi in cui si è affievolita la spinta propulsiva della primavera scorsa. Da questo punto di vista l’idea di un patto di fine legislatura che porti senza scosse alle elezioni nella primavera 2023 è senza dubbio razionale e ha come pendant la proposta avanzata da Matteo Salvini di un Governo che comprenda i segretari di partito. Sarebbe un modo per responsabilizzare tutti e coinvolgerli nelle decisioni da compiere. È ovvio che non si tratta di innescare il pilota automatico; molte cose, infatti, dovrebbero cambiare.
Sicurezza e tasse saranno con molta probabilità le due linee guida della campagna leghista per le elezioni politiche. Il Pd da parte sua dovrebbe scegliere se fare il partito laburista (con l’occupazione, la riduzione delle diseguaglianze e la ripresa come suoi punti di riferimento) o il partito d’opinione puntando sul tema dei diritti, delle identità, delle minoranze. In ogni caso, la prossima fase politica vedrà in campo una competizione più netta tra le diverse anime della “grande coalizione”. Tutti saranno tentati di stare un po’ al Governo e un po’ all’opposizione.
Se Draghi rimane a palazzo Chigi dovrà comunque rimettere il suo mandato nelle mani del prossimo presidente della Repubblica e ricevere eventualmente un nuovo incarico. Il rischio è di essere logorato da guerriglie parlamentari che lo costringeranno a giocare di rimessa. Segnali chiari in questo senso si sono già visti: una legge finanziaria troppo modesta, un susseguirsi di rinvii e cambiamenti in corso d’opera, una difficoltà di operare che dai ministeri sale fino al centro. Il provvedimento varato venerdì scorso non è che l’ultimo esempio di questa fatica.
Omicron è ormai dappertutto, nel frattempo è scoppiata una crisi energetica per molti versi inattesa, almeno in queste proporzioni, l’inflazione ha rialzato la testa, la ripresa sta perdendo colpi tanto che la Banca d’Italia ha abbassato le previsioni di crescita del Pil al 3,8%. Può darsi che le tensioni dal lato dell’offerta rientrino, a cominciare da quelle sul mercato del gas, con l’arrivo dell’estate, tuttavia questa prima parte dell’anno avrà bruciato molte occasioni creando un clima di incertezza che invita a rimettere i materassi alle finestre.
Il Governo non sta reagendo a sufficienza. Le misure a sostegno delle famiglie e delle imprese sono modeste, superano nell’insieme i 5 miliardi di euro (3,8 già stanziati dalla Legge di bilancio più 1,7 miliardi decisi venerdì per le aziende) e non accontentano nessuno. Si potrebbero escludere dalle bollette gli oneri impropri, sarebbe un’operazione di trasparenza, ma sposterebbe il costo direttamente sul bilancio dello Stato. Il Governo non ha molti margini di manovra a meno di non ricorrere a un nuovo scostamento del disavanzo che va ad aumentare il debito. Un’eventualità da evitare per non aprire un contenzioso con Bruxelles dimostrando che le finanze pubbliche ballano, proprio ora che l’Italia deve ricevere la nuova tranche di aiuti dall’Unione Europea.
In ogni caso è chiaro che se la crisi prosegue con questa virulenza, nessuno scostamento sarà sufficiente a ridurre la bolletta energetica. La via maestra è aumentare la produzione nazionale di gas, solo questo potrebbe far da calmiere. Ci vorrà tempo, le difficoltà immediate restano, ma è l’unico modo per gestire i fattori strutturali della crisi. C’è spazio? Tecnicamente sì, politicamente al momento no. Per questo occorre compiere scelte nette.
In Italia ci sono abbondanti riserve, ma dal picco di 21 miliardi di metri cubi all’anno nel 1994, si è scesi a 3 miliardi di metri cubi, mentre i consumi hanno superato i 70 miliardi di metri cubi. L’opposizione a ogni tipo di perforazione, ricerca e sviluppo è stata micidiale, il fronte del No ha perso il referendum del 2016 per mancanza di quorum, ma di fatto ha congelato il sistema. Difficile trovare amministrazioni locali in grado di assumersi la responsabilità di aprire nuovi pozzi, anche in mare, ma è difficile trovare anche partiti politici abbastanza coraggiosi da scegliere l’interesse generale. Il vulnus principale in questo caso è a sinistra e lo stesso Pd è diviso. Basti pensare al ruolo attivo giocato dal presidente della regione Puglia Michele Emiliano nella campagna No Triv. Il ministro della Transizione energetica Roberto Cingolani ha proposto di aumentare la produzione italiana di gas, Cingolani però è un tecnico e ormai è abituato a recitare la parte del San Sebastiano, trafitto da frecce che vengono da tutte le parti, da destra e ancor più da sinistra. Eppure l’energia sarà un banco di prova fondamentale per il nuovo Governo sia esso un Draghi bis o un altro esecutivo.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI