Chissà se Giorgia Meloni aveva immaginato un futuro tanto complicato quando meno di un mese fa era stata l’unico leader europeo invitato al giuramento di Donald Trump. Contava di essere l’interlocutore privilegiato della nuova amministrazione americana, un ponte fra le due sponde dell’Atlantico.
Purtroppo, la premier italiana aveva sottovalutato il totale disinteresse che il presidente USA sta dimostrando per la vecchia Europa. Un disinteresse emerso su una quantità di fronti, dai dazi commerciali all’Ucraina. Per Meloni tutto questo costituisce un problema politico prima di tutto sul piano interno.
Lo dimostra l’inatteso farsi viva di Marina Berlusconi, che auspica che Trump non sia il rottamatore dell’Occidente. Il perfetto contraltare della Lega, con Salvini che approva le scelte trumpiane e sminuisce di molto l’allarme suscitato dallo spettro dei dazi americani, puntando sul fatto che essi saranno bilaterali e selettivi. Nel mezzo c’è Meloni: per la presidente del Consiglio si avvicina il momento in cui dovrà decidere da che parte stare. Lei, il suo governo, il Paese.
Perché dopo la conferenza di Monaco sull’Ucraina tutto ha preso un’accelerazione imprevista. L’inviato della Casa Bianca, Keith Kellogg, ha stretto l’Europa in un angolo, annunciando che non siederà al tavolo delle trattative sulla pace in Ucraina. Solo russi e americani, nemmeno Kiev. Un’umiliazione inaccettabile, cui è necessario reagire, specie di fronte al dato incontrovertibile che gli europei insieme hanno sborsato decisamente più degli statunitensi nel sostegno alla causa di Zelensky.
Certo, l’Europa non è affatto un capolavoro di compattezza. Se i rappresentanti di sette Paesi europei saranno stasera all’Eliseo da Macron è probabilmente perché ci sono stati Paesi che hanno reso impossibile alla presidenza di turno polacca e al presidente del Consiglio europeo Costa la convocazione di un formale vertice europeo d’emergenza. In cima alla lista dei sospettati l’ungherese Orbán e lo slovacco Fico.
Meloni non aveva scelta. Troppo rischioso schierarsi con Trump in questa fase. Più prudente rimanere nel gruppo e europeo e studiare l’evoluzione della situazione. Che la fase sia delicata è dimostrato dal fatto che la premier ha rarefatto le occasioni d’incontro con i giornalisti. Meglio evitare domande scomode, per il momento. C’è troppo in ballo, per sbagliare le mosse.
In primo luogo bisogna decidere come rispondere a Trump, trovare il modo di non farsi tagliare fuori dalla partita per l’Ucraina. Perché Trump non ha alcuna intenzione di schierare militari americani, lo ha detto chiaro, toccherà agli europei (nelle sue intenzioni almeno) metterci i soldati, ma senza alcun dividendo politico, forse nemmeno nella ricostruzione di una Paese devastato da tre anni di conflitto. Sul tavolo all’Eliseo ci sarà probabilmente la creazione di un inviato speciale dell’Unione per l’Ucraina, come già esiste per il dialogo fra Serbia e Kosovo. Sarebbe già un passo avanti, perché consentirebbe alla UE di parlare con una voce sola, anche se potrebbe non bastare.
Gli europei, del resto, hanno poche scelte: o dimostrare compattezza, oppure essere stritolati. Potrebbe accadere anche sui dazi, dove l’intenzione della Casa Bianca sembra essere quella di procedere con accordi bilaterali. Dai dazi molti hanno da perdere, ma soprattutto la Germania, che ha il maggior surplus commerciale. Palazzo Chigi ha dalla sua solo quel “Meloni mi piace molto”, pronunciato da Trump all’indomani dell’insediamento, e per ora deve farselo bastare.
Soprattutto perché schierarsi oggi risolutamente dalla parte di Trump significherebbe per Meloni scommettere sullo sfaldamento dell’Unione Europea. Uno scenario troppo distante per poter essere preso in considerazione. Meloni non se lo può permettere, e di conseguenza in questa fase è un po’ più sola, perché l’attacco del Cremlino a Mattarella costringerà il capo dello Stato a essere più cauto. È probabilmente l’effetto che la bordata della portavoce di Lavrov voleva ottenere. E Mattarella è non solo il maggiore sostenitore in Italia delle ragioni dell’unità europea, ma è anche un leader e che sin dal primo giorno ha condannato senza appello l’invasione russa, indicandola come minaccia per l’Europa e per le democrazie occidentali. Meloni di certo dovrà tenerne conto.
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