È scontro continuo tra i due partiti di maggioranza. Sulla Tav Di Maio intende sfidare la Lega in Parlamento e dice ai suoi che Salvini non ha i numeri per approvarla, ma basta il Pd a fargli notare che le speranze di M5s sono destinate a infrangersi contro i numeri del centrodestra. A tenere più sulle spine il governo è però il decreto sicurezza bis, dove la maggioranza in Senato potrebbe essere di soli 2-3 voti. Secondo alcune ricostruzioni, un incidente sarebbe addirittura ben visto da Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e uomo chiave del Carroccio, da tempo fautore di un ritorno alle urne il prima possibile. Se il decreto-simbolo di Salvini venisse bocciato, la Lega potrebbe accettare un governo di minoranza con il solo compito di fare la manovra 2020 e portare il paese al voto nel febbraio prossimo. Fantapolitica? Forse. “Un’ipotesi acrobatica, molto rischiosa” la definisce Guido Gentili, editorialista del Sole 24 Ore. Se Salvini ha ritenuto di non staccare la spina al governo è perché intende rimanere a Palazzo Chigi a da lì vedere approvata la prossima manovra, dice Gentili. Anche a costo di rinunciare alla flat tax. Meglio un accordo con Di Maio, lasciando fare (in Europa) a Tria e Conte.



Come stanno le cose tra Salvini e Di Maio?

Quando due mesi fa, dopo il voto europeo, cominciò una sorta di verifica sottotraccia e Giorgetti arrivò a dire che Conte non era più figura di garanzia perché rappresentava solo M5s, a quel punto il governo era in sostanziale stallo. Chi poteva staccare la spina non lo ha fatto. In compenso sono venuti sempre più allo scoperto i contrasti Lega-5 Stelle.



È stato allora che Salvini ha spostato l’accento dalla sicurezza all’economia. Flat tax e manovra anticipata.

Appunto: facendo balenare l’idea che senza il rispetto delle sue condizioni si sarebbe andati al voto. Si ragionava perfino sulla data: scioglimento entro il 19 luglio, la famosa “finestra” per votare a fine settembre.

Niente di tutto questo.

Salvini ha ritenuto di andare avanti. Proprio nelle ore in cui scoppiava il Russiagate, i 5 Stelle votavano compatti alla Camera il decreto sicurezza bis.

Lo stesso voto che questa settimana rischierebbe di mandare a casa il governo: la maggioranza al Senato è traballante. Lei cosa dice?



È verosimile che succederà ciò che abbiamo visto alla Camera, dove Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno votato il decreto sicurezza bis ma non la fiducia al governo. Il rischio oggettivo che il governo venga battuto c’è, anche perché si vota su un provvedimento simbolo della Lega.

Un’occasione ghiotta nel Movimento 5 Stelle per far inciampare Salvini. Il prezzo però sarebbe altissimo…

Sì perché M5s non ha alcuna convenienza strategica ad andare al voto né oggi né domani. Ce l’aveva Salvini, che però ha cambiato idea e sembra volersi tenere questo governo. Meglio restare a Palazzo Chigi.

L’ipotesi attribuita a Giorgetti di aprire la crisi e votare a febbraio-marzo con un governo di minoranza?

Mi pare francamente un’ipotesi acrobatica, molto rischiosa. Meglio usare la pausa estiva per far decantare la situazione in vista di settembre, quando si discuterà sul serio della legge di bilancio.

Ne abbiamo già avuto un assaggio: Salvini contro Tria. “Nel governo o io o lui”.

La posizione di Tria è chiara: le riforme fiscali non si fanno in deficit. Di più: nei giorni scorsi in commissione alla Camera ha detto che non basta un po’ di deficit per risollevare l’economia. Dichiarazioni che ovviamente hanno scatenato l’ira della Lega.

Sarà guerra?

Non è detto. Su questo punto Tria farà asse con Conte e terrà la stessa linea che abbiamo già visto in occasione dell’ultima manovra e della trattativa che ha evitato la procedura di infrazione. Obiettivo, arrivare a una legge di bilancio in accordo con le richieste europee.

Ma Salvini la pensa diversamente.

La flat tax non ci sarà, al suo posto vedremo un’altra cosa. C’è attualmente una sorta di competizione, sia pure con diverse sfaccettature, tra Lega ed M5s nel dire “abbassiamo le tasse”: le misure accoglieranno in qualche modo questa istanza, lo stesso Salvini ha detto che se non sarà flat tax, potrebbe essere un mix con la riduzione del cuneo fiscale voluto da Di Maio.

Dunque il capo della Lega sarebbe disposto ad alzare la voce per poi accontentarsi di una mediazione?

A meno che non decida di rompere, per ora sui conti è stato così. Dopo i primi annunci clamorosi, nel dicembre scorso siamo rapidamente arrivati al 2,04% di deficit. Stesso film con la procedura di infrazione, evitata non solo al prezzo di una correzione dei conti nel 2019, ma anche di un impegno molto forte e vincolante per il 2020. I risultati sono stati quelli portati a casa, a torto o a ragione, da Tria e Conte.

Ma se la manovra non sarà espansiva, come sarà?

Nel corso dell’ultima assemblea dell’Abi abbiamo assistito ad un duetto Tria-Visco sul filo dei decimali: Tria ha stimato una crescita dello 0,2% nel 2019 e dello 0,8% nel 2020, Visco è stato leggermente più pessimista, spingendosi fino allo 0,7%. Il punto è che all’appello continua a mancare la crescita.

Qual è la strada?

Ragioniamo pure sul come, se la crescita si faccia facendo o non facendo più deficit. In ogni caso andrebbero mobilitate risorse di un ordine di grandezza diverso, molto più cospicuo.

D’accordo, ma impiegandole in che modo?

Salvini e Di Maio chiedono entrambi una scossa fiscale. Si scelga una strada, flat tax vera o riduzione del cuneo fiscale, e la si percorra con coraggio fino in fondo, senza disperdere qualche miliardo tra questa o quella voce di bilancio per accontentare tutti. Questo presuppone scelte difficili, perché le due bandiere di politica economica del governo sono state finora il reddito di cittadinanza e quota 100. Non altre. Grandi spazi non ce ne sono.

Aumentare l’Iva?

Di questi tempi, un anno fa, Tria aveva detto di essere a favore di un’imposta spostata sui consumi e non sulle persone, dunque contemplava l’ipotesi di un aumento parziale per avere più risorse. Peccato che ci sia un impegno parlamentare a disinnescare 23 miliardi di clausole di salvaguardia.

Quindi?

Non vedo spazi per manovre choc fiscali, ma solo per piccoli aggiustamenti. Torniamo alla crescita smarrita. Dovrebbe ripartire la trattativa con l’Europa per cercare la famosa Golden rule che escluda gli investimenti dal calcolo del deficit. Sarebbe giusto, ma un accordo non c’è mai stato e non credo che ci sarà.

M5s è in grave crisi. Finora la Lega è sembrata impermeabile: non solo al caso Siri, perfino al Russiagate. Il partito di Salvini ha o non ha un punto debole?

Direi il tema economico-fiscale, legato a quello dell’autonomia. Qui la pressione interna è forte, perché i governatori di Veneto e Lombardia  rappresentano un elettorato agguerrito. Se su fisco e autonomia Salvini fosse costretto ad ammainare le bandiere a mezz’asta, alla lunga ci sarebbe anche per lui un’erosione di consenso.

(Federico Ferraù)