I Governi di Francia e Germania hanno deciso di varare nuove forme di sussidi energetici alle loro industrie. Parigi, infatti, ha annunciato un accordo con Edf (controllata dallo Stato) per garantire un prezzo stabile dell’elettricità prodotta con il nucleare e vantaggiosi contratti di fornitura a lungo termine per le imprese. Berlino, invece, ridurrà fino al 2030 le imposte sulle bollette elettriche, garantendo anche tariffe agevolate per il comparto manifatturiero, stanziando più di 10 miliardi di euro l’anno. Secondo Aurelio Regina, delegato per l’Energia di Confindustria, “per le imprese italiane sarà un colpo durissimo, rischiano di andare fuori mercato e perdere quote negli scambi internazionali. Oggi il maggior costo dell’energia pagato dalle imprese italiane rispetto alle tedesche è di circa il 30%, da gennaio 2024 sarà il doppio”. Da qui la richiesta di un intervento da parte del Governo. Abbiamo chiesto un commento a Davide Tabarelli, Presidente di Nomisma Energia.
Cosa pensa di quanto osservato da Regina?
Già in passato francesi e tedeschi hanno adottato misure in difesa della propria industria. Questa volta, però, l’azione è ancora più pronunciata, perché avviene in un contesto che viene descritto come post-crisi energetica. È giusto, quindi, che Confindustria segnali questo problema. È difficile, però, individuare delle soluzioni per risolverlo. La Francia, infatti, può contare sul nucleare e i costi di produzione bassi. La Germania, invece, ha rinunciato all’atomo, ma ha il carbone che l’aiuta e un bilancio che le consente un’enorme spesa pubblica senza creare squilibri, cosa che in Italia non è nemmeno pensabile.
Ci sono delle soluzioni per l’Italia che non implichino l’aumento della spesa pubblica?
Gli interventi dello Stato a supporto delle imprese hanno ovviamente effetti più immediati, ma è inutile nascondere che la produzione nazionale di gas continua a diminuire. Già l’anno scorso era stato approvato il cosiddetto gas release, che avrebbe dovuto rendere disponibile una quota di produzione aggiuntiva di gas nazionale a prezzi competitivi per le imprese a rischio delocalizzazione, ma non se n’è fatto nulla. Esiste poi l’energy release nel Dl energia che il Governo deve ancora approvare.
Cosa prevede questa misura?
Il rilascio all’industria di energia da parte del Gestore dei servizi energetici in cambio investimenti in rinnovabili. Ci sono poi interventi con effetti a medio termine, quali la realizzazione di infrastrutture, come i rigassificatori, ma si tratta di opere che, come nel caso della perforazione e dell’estrazione di idrocarburi, vengono fortemente osteggiate in Italia.
Prima ha ricordato che la Germania può contare sulle centrali a carbone. In Italia, invece, se n’è ridotto l’utilizzo e si torna a parlare del loro spegnimento…
Se c’è una cosa che dobbiamo evitare, per la sicurezza energetica oltre che per i costi dell’elettricità, è lo spegnimento delle centrali a carbone, che sono sicuramente più pulite di quelle che sono state avviate quest’anno in Cina. Tra l’altro se le chiudessimo non andremmo a ridurre in una maniera in qualche modo tangibile la CO2, che si misura a livello globale. Purtroppo in Italia, come in Europa, ci stiamo dimenticando di una cosa importante.
Quale?
Il Ttf staziona intorno ai 45 euro/MWh, un livello quattro volte superiore al prezzo del gas degli Stati Uniti, e fino alla primavera del 2021 era rimasto sotto i 20 euro/MWh. L’abbondanza di energia aiuta gli Usa, in Europa, invece, abbiamo intenzione di risolvere da soli il problema del cambiamento climatico condannandoci a una decrescita infelice che ci impedirà anche di conquistare una leadership tecnologica nella riduzione della CO2. Per quanto si insista sulle rinnovabili, oggi servono ancora fonti fossili e il gas è la più pulita.
A proposito di fonti fossili, il prezzo del petrolio nelle ultime settimane ha intrapreso un trend discendente. Cosa ne pensa?
È una discesa piuttosto strana, probabilmente dovuta al rallentamento della Cina, alla quasi recessione dell’Europa, alla maggior produzione degli Usa e alla prospettiva che cresca anche quella venezuelana. Inoltre, in Medio Oriente, non c’è stata una reazione come quella di 50 anni fa, dopo la guerra dello Yom Kippur, da parte dei Paesi produttori. Il calo del prezzo del petrolio è ovviamente positivo per l’Italia e può contribuire a rallentare ulteriormente l’inflazione. Speriamo che serva anche a frenare il rialzo dei tassi di interesse così da far ripartire il Pil: sarebbe l’unico modo per ricavare uno spazio fiscale per varare sussidi energetici all’industria.
(Lorenzo Torrisi)
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