COP28, nucleare, rinnovabili, cambiamenti climatici. Ma anche crisi internazionali e guerre, nuovi equilibri geopolitici, dipendenza strategica, crisi e costi esorbitanti di gas e elettricità. C’è un po’ di tutto sul tavolo delle questioni energetiche, soprattutto in Italia. Intanto, a Roma si è tenuta settimana scorsa la giornata annuale dell’Associazione Italiana Nucleare. Stefano Monti, ingegnere, rientrato nel Bel Paese dopo oltre dodici anni passati all’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica di Vienna, ne è il presidente.



Presidente Monti, è soddisfatto della sua prima convention?

Molto soddisfatto e al di là delle aspettative più rosee. Perché si è parlato concretamente delle necessità del Paese e dell’industria nucleare e non solo, riguardo i temi di decarbonizzazione dell’intero settore energetico, sicurezza dell’approvvigionamento e prezzi dell’energia stabili ed accessibili. E poi, ascoltare Bernard Salha, Chief Technology Officer di EdF nonché presidente della Sustainable Nuclear Energy Platform europea, ringraziare calorosamente l’industria italiana per essere stata in grado di risolvere un rilevante inconveniente ad alcuni impianti nucleari in Francia nel 2022, e affermare che la supply chain europea ha bisogno dell’Italia per i nuovi programmi nucleari in Europa e nel mondo, è stato miele per le nostre orecchie e credo anche per i politici presenti all’evento.



Avete invitato i politici, le aziende dell’energia e i grandi consumatori, le industrie nucleari italiane. Ma il nucleare non è soprattutto ricerca? Vi siete dimenticati la parte più importante.

Sinceramente non credo di avere scheletri negli armadi da questo punto di vista, considerato che ho svolto e mi sono occupato di ricerca nucleare durante tutta la mia vita professionale sia in Italia sia all’estero. Ma qui non si sta parlando di ricerca curiosity driven tipo dark matter o bosone di Higgs, quanto piuttosto di quella a supporto dell’industria. Che, come succede in tutti gli altri Paesi, prima o poi deve sfociare nella produzione di energia a vantaggio dell’economia nazionale e dei cittadini che hanno pagato quella ricerca con le proprie tasse.



Ci sono buone prospettive in questa direzione?

Con i 135 milioni di euro assegnati dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica all’ENEA per la ricerca e sperimentazione in campo nucleare, annunciati dal ministro Pichetto Fratin proprio durante il nostro evento, il mondo della ricerca italiana, effettivamente molto penalizzato negli ultimi anni, potrebbe considerarsi appagato. Ma il vero tema che abbiamo voluto porre al centro del nostro evento è come questa ricerca, sperimentazione e relativi fondi coinvolgeranno e saranno a beneficio dell’industria nazionale, e su quali temi. Si spera non saranno i soliti della ricerca a lungo, se non lunghissimo termine.

Veniamo ai messaggi più importanti emersi nel dibattito. Quali sono le esigenze delle industrie energivore?

Da quando sono rientrato in Italia a inizio anno sono stato invitato ad a una serie di eventi sul nucleare, incluso quello assai rilevante del 20 luglio a Montecitorio, ma mai avevo avuto l’opportunità di ascoltare le necessità dell’industria energivora nazionale che, coinvolgendo milioni di lavoratori, dovrebbe essere tenuta in debito conto quando si determinano le basi per i futuri mix energetici. L’industria energivora della carta, del calcestruzzo, del vetro, della ceramica e, sappiamo bene, dell’acciaio, chiedono a gran voce prezzi dell’energia stabili e programmabili, perché rappresentano la voce di spesa maggiore del loro business. Nel contempo è pienamente consapevole della necessità di decarbonizzare non solo la produzione di energia elettrica ma anche di calore e, per alcune applicazioni, idrogeno. Tutte richieste alle quali l’energia nucleare è in grado di dare risposte concrete, essendo l’unica fonte primaria capace di fornire in maniera programmabile e senza emissioni di CO2, grandi quantità di tutti i maggiori vettori energetici: elettricità, calore e idrogeno.

E per quanto riguarda le utilities?

Le aziende elettriche, ossia i futuri operatori di impianto nonché responsabili della loro sicurezza, sono ovviamente il fulcro di tutto il dibattito: risulterebbe addirittura sterile e puramente accademico, se non ci fosse qualche azienda energetica interessata prima o poi a comprare un impianto nucleare e a operarlo in Italia, nel rispetto dei più alti requisiti di sicurezza e salvaguardia. Come noto, ENEL non è mai uscita completamente dal settore nucleare e ci ha rammentato l’esperienza del gruppo all’estero nella conduzione (in Spagna) e nella costruzione (in Slovacchia) di centrali nucleari. Per quanto riguarda il caso slovacco, vale la pena sottolineare, anche per un futuro impegno in Italia, che ENEL ha svolto un ruolo di architetto industriale capace di elevare gli standard di sicurezza di un impianto originariamente di seconda generazione a quelli di un impianto moderno di terza generazione, inclusa la lezione imparata dall’industria nucleare internazionale con l’incidente di Fukushima.

Ecco, appunto Il nucleare si sta evolvendo: ci stiamo preparando a nuove soluzioni?

ENEL non opera solo sul nucleare attuale: recentemente ha creato l’unità Nuclear Innovation, per presidiare e sviluppare i temi legati al nuovo nucleare (Small & Advanced Modular Reactor, oltre alla fusione), sia da un punto di vista tecnologico, sia di scenario: un know-how che l’azienda mette a disposizione della Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile (PNNS). Per quanto riguarda l’intervento di Edison, vorrei sottolineare che questa utility al momento è l’unica ad avere presentato un vero scenario di deployment nucleare in Italia immaginando l’utilizzo di reattori avanzati di tipo SMR dopo il 2030: scenario che evidenzia le significative ricadute benefiche per il Paese anche di una limitata generazione elettronucleare (10%) al 2050. Mi è sembrato rilevante che abbiano rimarcato nel panel produttori-energivori il fatto che questi SMR sono particolarmente adatti a soddisfare i bisogni dei settori energy-intensive, non solo in termini di grandi quantità di elettricità carbon-free, ma anche di calore ed idrogeno.

La supply chain italiana dunque esiste?

La supply chain italiana è viva e vegeta. Non lo diciamo solo noi, lo dicono i maggiori operatori nucleari europei e nel mondo. Tanto per fare qualche esempio, non c’è solo il caso di EdF sopra menzionato: anche le americane Westinghouse e NuScale, o l’inglese Rolls Royce ci vengono a cercare per integrare le loro supply chains e per effettuare test e certificazioni di componenti e sistemi per impianti nucleari avanzati. È questo un tema sul quale l’AIN è particolarmente attiva, tant’è che la settimana scorsa in occasione della World Nuclear Exhibition a Parigi abbiamo firmato un Memorandum of Cooperation con GIFEN (ovvero l’Associazione francese dell’industriale nucleare), assieme ad EdF ed Ansaldo Nucleare.

È l’unico accordo raggiunto?

No, analogamente abbiamo firmato un accordo simile con la nostra corrispondente ROMATOM in Romania e abbiamo iniziato colloqui con associazioni equivalenti in Finlandia, Polonia e Corea del Sud. Continueremo su questa strada nella convinzione che fra i compiti di AIN ci sia quello di favorire la partecipazione dei propri soci alle opportunità di business nucleare nel mondo, in Europa e, in prospettiva e quando le condizioni lo permetteranno, anche in Italia.

Infine i politici. Senza di loro e senza l’opinione pubblica, il nucleare non si fa. Per alcuni rimane un sogno, per altri è solo un incubo: si rischia di perdere voti, a parlare dell’atomo?

Intanto mi faccia chiarire che AIN ha invitato all’evento tutte le forze politiche dell’arco costituzionale, incluse quelle che, nonostante le battaglie per la decarbonizzazione del pianeta, sono notoriamente critiche nei confronti dell’utilizzo dell’energia nucleare. Questo per noi di AIN è molto importante, perché nel nostro statuto e soprattutto nel nostro DNA c’è l’impegno a dialogare con tutti, anche con chi non la pensa come noi. Inutile nascondersi e il convegno lo ha confermato: esistono visioni diverse nei vari partiti politici sulle azioni concrete da mettere in campo fin da subito in Italia, vero tema del convegno. C’è chi sostiene che ci si debba concentrare sul rafforzamento della ricerca e della sperimentazione più a lungo termine, per decisioni da prendere in un futuro non ben precisato, e chi invece, anche dai banchi dell’opposizione, ritiene necessario imboccare senza esitazione la strada per un utilizzo dell’energia nucleare nel più breve tempo possibile, facendo ricorso ai reattori nucleari avanzati già disponibili sul mercato.

È possibile un punto di incontro tra queste diverse posizioni? Ma perché è necessario ricorrere al nucleare?

Su una cosa tutti i partecipanti al panel politico-istituzionale hanno concordato: per via delle note limitazioni universalmente riconosciute delle rinnovabili non programmabili, esse non riusciranno da sole a garantire la decarbonizzazione dell’intero settore energetico. E in ogni caso, come recentemente mostrato da uno studio condotto da Edison col supporto di Nomisma Energia, il solo tentativo di farlo costerebbe al Paese centinaia di miliardi in più rispetto ad un mix col nucleare. Dunque, siccome prima o poi il nucleare in Italia andrà reintrodotto, tutti concordano sulla necessità di mettere mano alle infrastrutture materiali e immateriali di base, un tema sottolineato più volte da AIN in particolare nel proprio position paper. Occorre aggiornare la legislazione e i regolamenti italiani nel rispetto degli standard europei ed internazionali, occorre rafforzare l’Autorità di Sicurezza, occorre – ed è considerato di primaria importanza – avviare una comunicazione scientificamente corretta e trasparente nei confronti del pubblico ed ingaggiare tutti gli stakeholder. Quindi personalmente sono ottimista sulle azioni concrete che Governo e Parlamento metteranno in atto nei prossimi mesi.

E fuori da casa nostra? Come siamo visti noi italiani sul nucleare? Una nazione che ha abbandonato la produzione nucleare 33 anni fa può limitarsi a parlarne?

Guardi, su questo sarò lapidario anche perché mi sono già espresso in maniera chiara in precedenza: l’industria nucleare europea ha bisogno dell’Italia e l’industria nucleare italiana è pronta e già in moto. Ha solo bisogno, come in tutti i Paesi compresi quelli più liberisti come Stati Uniti e Gran Bretagna, di un convinto supporto pubblico, per poter essere più competitiva sul mercato internazionale. Un supporto che ancora manca e che si spera verrà concesso dal Governo e dal Parlamento nei prossimi mesi.

Fuori tema: che ne pensa del film nucleare di Oliver Stone Nuclear Now appena uscito in Italia? Non ha sbagliato Paese per venire di persona a presentare il suo film?

No, al contrario, ha scelto il Paese giusto, un Paese che nonostante voglia decarbonizzare tutto e si stia ancora leccando le ferite per non avere provveduto in tempo alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico e alla necessità di garantire costi energetici stabili e accessibili a tutte le famiglie italiane, ha ancora una notevole dose di scetticismo sull’opzione nucleare. Che dire: un grande regista non poteva che fare un grande film, dicendo “pane al pane e vino al vino” su tante delle false informazioni e delle storie inventate ad arte sui pericoli del nucleare, propinate con intense campagne di comunicazione all’opinione pubblica da un certo ambientalismo, ed ancor più da chi aveva tutti gli interessi a continuare a bruciare in aeternum gas, petrolio e perfino carbone. Ambienti che, occorre riconoscerlo, alla fine sono risultati per il momento vincenti, se è vero come è vero che purtroppo il mondo ancora funziona all’80% a combustibili fossili. C’è anche chi sostiene – pure a COP28 – che la transizione verso la completa decarbonizzazione sarà molto più lunga di quanto si creda e si speri, perché ancora per molti decenni (ahimè) si utilizzeranno soprattutto fonti fossili.

Alla fine qual è il messaggio del film di Stone?

Il film mette anche bene in evidenza i limiti delle rinnovabili non programmabili: costi di sistema nascosti, alta occupazione del territorio, massiccio utilizzo di minerali critici e componenti tutti concentrati in Cina e dintorni, necessità di back-up per supplire alla intermittenza normalmente fornita da impianti a combustibili fossili e così via. Invito tutti gli italiani a guardarlo; io l’ho visto alla presenza del regista Oliver Stone giusto la sera prima del nostro evento e mi ha dato una bella dose di ottimismo sul fatto che prima o poi la verità su energia e ambiente verrà a galla completamente. Tutti si renderanno conto dei gravi errori del passato che noi, ormai completamente canuti, vorremmo risparmiare alle future generazioni.

(Max Ferrario)

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