Giovedì Ursula von der Leyen si presenterà al nuovo Parlamento europeo per ottenere il via libera alla riconferma alla presidenza della Commissione europea. Importanti potranno essere i voti favorevoli dei Verdi, per ottenere i quali servirà anche l’impegno a portare avanti il programma di transizione energetica avviato nella precedente legislatura. Intanto in Italia le principali associazioni ambientaliste e alcuni rappresentanti della società civile, del mondo dell’università e della ricerca hanno promosso un appello (denominato “100% rinnovabili network”) contro l’apertura al nucleare contenuta nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) che il Governo ha inviato a inizio mese a Bruxelles. Secondo Davide Tabarelli, Presidente di Nomisma Energia, «sarà difficilissimo, se non impossibile, riuscire ad aprire una centrale nucleare in Italia. Infatti, in un Paese così diviso come il nostro è complicato fare sistema, condizione necessaria per raggiungere un obiettivo del genere, che pure sarebbe auspicabile».



Per quale ragione?

Se vogliamo contemporaneamente perseguire la decarbonizzazione e aumentare la disponibilità di energia elettrica, dobbiamo farlo anche attraverso il nucleare, che all’assenza di emissioni di CO2 aggiunge il vantaggio della programmabilità. Va dato, quindi, atto al Governo di aver avuto il coraggio politico di inserire questa apertura al nucleare nel Pniec.



Più in generale come giudica il Pniec: è buon documento?

No. Contiene obiettivi che rischiano di restare solo sulla carta, per esempio per quel che riguarda la riduzione delle emissioni e l’aumento di produzione da rinnovabili. Il Pniec sembra anche porre molta enfasi sull’efficienza energetica e il calo dei consumi. Nel suo complesso è coerente con gli impegni presi dalla politica italiana all’interno dell’Ue, nel rispetto dell’Accordo di Parigi, ma si tratta principalmente di sogni irrealizzabili. E al di là di questo penso che ci sia un’importante lacuna.



A che cosa si riferisce?

Nel Pniec manca un semplice, ma indispensabile bilancio energetico. Questo è un errore gravissimo, è come predisporre un piano militare senza sapere quanti uomini e mezzi si hanno oppure giocare una partita di calcio senza conoscere il numero di giocatori a disposizione per la propria squadra. Non aver previsto un bilancio energetico la dice lunga sulla preferenza per i grandi proclami in modo da nascondere una realtà fatta di dipendenza dall’importazione di energia dall’estero e di prezzi dell’elettricità alti.

Questi sono in effetti dati che emergono anche dall’ultimo Rapporto Arera relativo al 2023: non solo per il gas, ma anche per l’energia elettrica si registra un calo sia dei consumi che della produzione nazionale. Solo che in questo secondo caso ci sono anche prezzi medi in aumento…

Il problema è che si è tutti concentrati sulla produzione da rinnovabili, con l’ossessione di ridurre quella tramite centrali a carbone e a gas, dimenticando quanto poco incidano le emissioni di CO2 di tutta l’Europa rispetto a quelle globali (circa il 7%). Si spiega così il calo della produzione nazionale, ma soprattutto il fatto che continuiamo a importare elettricità: più di 55 TWh nel 2023 sui complessivi 306 consumati. Nessuna grande economia mondiale ha una così importante dipendenza dall’estero per l’energia elettrica.

Ma intanto si stanno riducendo i consumi.

Il vero dramma è che l’anno scorso quelli industriali sono diminuiti più della media, il che significa che l’attività economia rallenta, che si prosegue sulla via della decrescita infelice. L’unico aspetto positivo di questa diminuzione è che, grazie anche alle piogge degli ultimi mesi che consentono di avere una buona produzione da idroelettrico, non rischiamo di aver un grosso sbilanciamento tra domanda e offerta di elettricità.

A proposito di consumi industriali, il Governo ha deciso di legare le agevolazioni per le imprese energivore a “condizionalità green”. E per quel che riguarda i 20 TWh a prezzi calmierati previsti nel Decreto “energy release” si ipotizza di vincolarne la disponibilità all’impegno delle aziende a realizzare nuova capacità di generazione di energia verde. Cosa ne pensa?

Si tratta di una delle onde lunghe del Green deal: per avere qualche beneficio, alle imprese energivore è richiesto uno sforzo che nel resto del mondo nessuno si sognerebbe di imporgli. È certamente un bene essere virtuosi, ma bisogna stare attenti a non pretendere troppo per non comprimere la capacità di fare impresa. A meno che l’obiettivo non sia quello di importare carta, vetro, cemento, acciaio, ceramica, tutti prodotti che richiedono importanti quantità di energia. Senza dimenticare che anche il settore agricolo ne consuma parecchia.

A proposito di Green deal, sembra che cambierà poco nella legislatura europea appena iniziata, visto che Ursula von der Leyen sta cercando di ottenere il sostegno dei Verdi al Parlamento europeo.

Credo che non ci saranno grandi cambiamenti, ma spero che ci possa essere più realismo rispetto al passato. Se riusciamo ad aumentare la produzione da rinnovabili e a essere più indipendenti dall’estero è un bene, ma non dobbiamo dimenticare che in Italia l’elettricità si paga il triplo che in Cina, Paese da cui importiamo la maggior parte dei pannelli solari che installiamo. Segno che purtroppo gli incentivi forniti in tutti questi anni, pagati dalla collettività, non sono serviti a far crescere un’industria produttiva locale, ma hanno aiutato il gigante asiatico, che può contare anche sul quasi monopolio delle terre rare, oltre che su una buona base tecnologica.

(Lorenzo Torrisi)

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