Nell’attesa che venga definita la composizione della nuova Commissione europea, non c’è dubbio che il risultato delle elezioni del 6-9 giugno rappresenti, come ci conferma il Presidente di Nomisma Energia Davide Tabarelli, anche una messa in discussione delle politiche green portate avanti dall’Ue negli ultimi cinque anni. Intanto al G7 di Borgo Egnazia è stato ribadito l’impegno ad abbandonare le fonti fossili, ma è stato anche evidenziato che gli investimenti pubblici nel settore del gas possono essere una risposta temporanea per ridurre la dipendenza energetica dalla Russia.
Cosa pensa del documento finale del G7 e del ribadito impegno ad abbandonare le fonti fossili: è un impegno credibile?
Sono dell’idea che non dobbiamo buttare via il bambino con l’acqua sporca. Ritengo che recentemente si sia esagerato nell’indicare alcuni obiettivi, ma in qualche modo ci si è già resi conto che sono impossibili da raggiungere o troppo ambiziosi. La direzione, però, è quella, anche perché concetti come transizione o efficientamento energetico noi economisti li promuoviamo da sempre.
Cosa intende dire?
L’economia insegna che bisogna utilizzare in modo ottimale le risorse, cercando di preservare quello che è il patrimonio principale di tutti: la natura. Il problema è che con la forte influenza della politica, normale nel dibattito delle nostre democrazie, c’è stata una polarizzazione del tema transizione, che è diventato la bandiera di alcuni partiti. Si è creato addirittura il rischio di una deindustrializzazione come conseguenza della transizione. Penso che siamo nelle condizioni di poter gradualmente ridurre la dipendenza dalle fonti fossili e che quindi sia giusto che nel documento finale del G7 si ribadisca che una retromarcia totale sarebbe un male per tutti: si dovrà continuare nella direzione indicata, ma con un po’ più di realismo.
In questo senso il risultato delle europee va letto come una bocciatura delle politiche green dell’Ue?
Sì, si tratta di una bocciatura di obiettivi irrealistici. Di fatto queste elezioni hanno portato una ventata di realismo. Bisognerà, quindi, senz’altro utilizzare le fonti rinnovabili per essere più indipendenti, ma sarebbe stupido continuare a rinunciare alla produzione interna di gas per andare ad approvvigionarsi da Qatar e Stati Uniti. Così come sarebbe stupido continuare a mettere in campo miliardi in incentivi alle rinnovabili che poi finiscono per sussidiare l’industria cinese. Ugualmente assurdo è vietare la vendita di auto a motore endotermico dal 2035. Secondo me, nella Commissione e nel Parlamento uscenti c’era stato un forte spostamento a sinistra, dove le idee concrete sono poche e c’è invece tanto ecologismo che finisce per definizione per essere ideologico e visionario; tutti siamo d’accordo che sarebbe bello vivere in un mondo dove l’energia viene fornita da sole fonti rinnovabili, ma quel mondo oggi non esiste.
Ha ragione, quindi, il Presidente dell’Arera Stefano Besseghini, secondo cui non bisogna sospendere gli investimenti nel gas in Europa?
Sì, ha ragione. Basta comportarsi come un buon padre di famiglia e prendere i bilanci energetici, guardare quanto consumiamo, quanto importiamo, dove possiamo risparmiare. Il fatto che dopo una crisi energetica come quella che abbiamo attraversato in Italia sia stato raggiunto il livello minimo di produzione nazionale di gas, fonte primaria del nostro bilancio energetico, è responsabilità di tutti: di chi c’era prima, di chi è ora al Governo, che pure aveva promesso una ripresa della produzione nazionale, e anche degli esperti che evidentemente non riescono a spiegarsi bene.
Venerdì scorso, Mario Draghi ha richiamato alla necessità di creare un mercato unico dell’energia in Europa. Cosa ne pensa?
Che un banchiere, per quanto bravo come Draghi, si occupi di politica industriale fa parte delle cose strane di questa Europa. Se poi parliamo di mercato unico dell’elettricità, l’ex Presidente della Bce dovrebbe sapere che la prima direttiva in materia risale al 1996 e arrivò dopo una decina d’anni di dibattito. Certamente il mercato unico è un obiettivo importante, ma Draghi, come pure Letta nel suo rapporto presentato a metà aprile a Bruxelles, ribadiscono alcuni concetti fondamentali che ripetiamo da 30 anni. Purtroppo, c’è una ritrosia ad andare a sporcarsi le mani.
In che senso?
Nel senso che bisogna aumentare la produzione di gas, tema di cui Draghi non parla. Cita solo le rinnovabili, quando dopo decenni di incentivi l’aumento di impianti eolici e fotovoltaici riesce a far risparmiare in tutta l’Ue l’equivalente di un consumo annuo di gas pari a 8 miliardi di metri cubi: troppo poco. Avessimo la possibilità di fare altro idroelettrico sarebbe bellissimo. È troppo facile liberarsi di questi problemi parlando solo di visioni sulle fonti rinnovabili. In questo c’è grande responsabilità politica, perché Draghi oggi si sta muovendo come un politico.
Un’ultima domanda. Secondo Bloomberg, l’Ue ha avviato trattative per poter continuare a utilizzare le infrastrutture di Mosca in territorio ucraino per trasportare gas, non si sa se russo o azero. Significa che comunque non siamo vicini all’indipendenza dalla Russia?
Oggi i prezzi del gas sono superiori a 30 euro per MWh. Si può essere contenti di non essere più a 300 come due anni fa, ma siamo a quasi quattro volte il livello degli Stati Uniti e quasi al doppio dei prezzi a lungo termine che c’erano in Europa prima della crisi energetica. Il prezzo attuale europeo dipende dal fatto che non ci sono più le forniture russe come prima e non aiuta la discesa dell’inflazione. Tutto questo mentre le economie di Stati Uniti e Asia continuano a crescere anche grazie all’energia a basso costo prodotta con carbone e gas.
(Lorenzo Torrisi)
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