Cresce l’attesa per conoscere il nome del nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America. La campagna elettorale è stata dura e ha affrontato diversi temi, dal livello dei prezzi all’immigrazione, ma non sembra ci sia stata tra Donald Trump e Kamala Harris una sfida riguardante la politica energetica. Questo perché, come spiega Davide Tabarelli, Presidente di Nomisma Energia, «negli anni è sembrato emergere il fatto che, indipendentemente da chi c’è alla Casa Bianca, l’industria dell’energia segue un suo corso. C’è in questo senso un caso piuttosto emblematico».



Quale?

La produzione interna di idrocarburi tramite il fracking ha cominciato a prendere piede sotto la presidenza di Bush Jr., ma sembrava destinata a essere ridimensionata dopo la vittoria di Obama, visto il suo impegno a ridurre le emissioni di CO2. Invece, ha continuato a crescere e nel 2015 c’è stata addirittura una svolta cruciale come quella della fine dell’embargo all’esportazione di petrolio prodotto negli Stati Uniti che durava da 40 anni.



Kamala Harris cinque anni fa si era espressa contro il fracking…

Ma ha recentemente dichiarato di non aver intenzione di vietarlo. Sia lei che l’attuale Presidente Biden hanno dovuto rivedere le loro posizioni in merito, perché l’industria del fracking è così importante per gli Stati Uniti che tutta la politica è portata a doverla riconoscere come tale. Lo stesso si può dire per la produzione interna di idrocarburi e il nucleare. Di fatto si sta annacquando la propensione democratica verso le rinnovabili mostrata in passato. Un cambiamento di linea che non può essere sfuggito ai partiti di sinistra europei.



A proposito di Europa, a fine anno scadrà l’accordo per il transito in Ucraina di gas russo destinato ai Paesi Ue e sembra che Bruxelles abbia in corso colloqui con Mosca per non interrompere queste forniture. Un segnale che ancora l’indipendenza energetica dalla Russia non c’è?

Il Ttf resta vicino ai 40 euro al MWh, il doppio rispetto alla media pre-Covid. Questa è una buona ragione per continuare a non abbassare la guardia in Europa, soprattutto in un periodo che precede l’inverno. Pertanto ogni metro cubo di gas può essere importante perché contribuisce a non creare tensioni al rialzo sui prezzi. Questo vale non solo per il GNL via mare che giunge anche dagli Usa, ma anche per il gas che continua ad arrivare dalla Russia,

Nonostante le tensioni in Medio Oriente, il prezzo del petrolio resta lontano dai massimi raggiunti nella prima parte dell’anno. Come mai?

Merito di un’offerta che resta alta, grazie anche alla produzione statunitense e alla ripresa di quella in Sud America, e di una domanda cinese che potrebbe far registrare quest’anno un leggero calo rispetto al 2023. Questa situazione di mercato, insieme al fatto che al momento le tensioni tra Iran e Israele non hanno riguardato le infrastrutture energetiche e non hanno coinvolto altri Paesi produttori dell’area, fa sì che non ci siano spinte eccessive al rialzo dei prezzi. Occorre, però, come per il gas europeo, fare attenzione.

A cosa?

Al fatto che uno snodo chiave per le forniture energetiche è lo Stretto di Hormuz, su cui l’Iran ha una fortissima influenza. Per quanto il rischio di un blocco del transito delle petroliere e delle navi gasiere sia al momento remoto, non può essere escluso a priori.

(Lorenzo Torrisi)

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