Nel Bollettino economico diffuso giovedì, la Banca centrale europea ha fatto esplicito riferimento alla situazione politica italiana, evidenziando come stia incidendo sullo spread, differenziale peraltro contenuto dalla stessa Eurotower com’è apparso chiaro dai dati diffusi in settimana: nell’ambito del reinvestimento dei titoli di stato acquistati tramite il programma Pepp, tra il 22 giugno e il 22 luglio l’Italia ha visto un saldo positivo tra Btp acquistati e Btp in scadenza o scaduti pari a 9,8 miliardi di euro. Il nostro è risultato il Paese maggiormente beneficiato davanti a Spagna (5,9 miliardi), Grecia (1,1 miliardi) e Portogallo (0,5 miliardi), mentre per Francia e Germania il saldo è stato negativo, rispettivamente, per 1,2 e 14,3 miliardi di euro. Abbiamo fatto il punto con Domenico Lombardieconomista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, secondo cui il riferimento al nostro Paese nel Bollettino economico “è piuttosto preciso e netto, perché mentre degli altri Paesi si parla in termini abbastanza generici, non allarmistici, nel caso dell’Italia viene ricordato che c’è una crisi politica in atto e che lo spread è tornato a salire”.



C’è qualcos’altro d’interessante nel Bollettino economico che val la pena di segnalare?

La Bce continua a reiterare il messaggio che l’inflazione tenderà a ridursi e che è un fenomeno di breve periodo. Dubito però che i prezzi energetici possano scendere rapidamente. Infatti, ci troviamo in un contesto molto diverso rispetto a quello di altri periodi di crisi energetica, come, per esempio, gli anni ’70. 



Perché?

Perché abbiamo non solo un razionamento delle materie prime energetiche, ma anche una contemporanea transizione ecologica, la quale non incentiva le aziende oil & gas a effettuare investimenti che potrebbero ampliare l’offerta. Quindi, l’aumento dei prezzi dell’energia è destinato probabilmente a persistere più di quanto molti si aspettano. Inoltre, c’è un’altra dimensione che mi pare non enfatizzata in modo adeguato nel Bollettino economico.

Quale?

È in corso una ristrutturazione delle catene del valore, con un ricollocamento geograficamente mirato sia ad accorciarle, sia a sostituire fornitori e Paesi poco affidabili dal punto di vista geopolitico con altri più allineati alle esigenze di sicurezza nazionale degli Stati Uniti e dell’intero Occidente. Questa ristrutturazione, nella quale l’affidabilità è più importante della competitività di prezzo, che era invece l’obiettivo principale della globalizzazione che abbiamo conosciuto finora, si tradurrà inevitabilmente in un rialzo dei prezzi nel prossimo futuro.



Il fatto che ci sia quindi un’inflazione più persistente può portare alla tentazione di contrastarla solo con la politica monetaria, con gli effetti recessivi di cui abbiamo parlato in una precedente intervista

Sì, la Bce opera sulla base del suo mandato che è estremamente chiaro riguardo l’inflazione: nel momento in cui coglie dei segnali inflazionistici è obbligata a intervenire inasprendo la politica monetaria. Sta quindi ai Paesi membri cercare di attuare politiche fiscali ed economiche che possano coadiuvare la Bce, senza però che siano recessive. 

Come?

Cercando di espandere i programmi di investimento già in essere, magari con investimenti addizionali, incoraggiando l’offerta per contenere le spinte inflazionistiche per quanto sia possibile. È un aspetto che non mi sembra di rinvenire nel dibattito che osservo. L’imminente relazione semestrale sul Pnrr ci aiuterà a fare luce in merito.

In questi giorni si è parlato del programma di reinvestimento dei titoli di stato acquistati tramite il Pepp che ha favorito ancora una volta l’Italia. Ci può aiutare a capire come funziona questo programma?

La Bce reinveste il montante dei titoli che ha acquistato tramite il Pepp (terminato a fine marzo), che via via vanno in scadenza, acquistando altri titoli in modo molto flessibile sotto due punti di vista. Il primo è temporale, per cui non necessariamente gli acquisti avvengono nello stesso giorno della scadenza dei titoli detenuti, ma possono avvenire poco prima o anche dopo, in base alle condizioni di mercato. Il secondo è geografico, nel senso che il reinvestimento può avvenire su titoli diversi da quelli del Paese per il quale vanno in scadenza. È possibile quindi fare una riallocazione tra Paesi in funzione di valutazioni proprie della Bce. Queste politiche di reinvestimento saranno applicate fino alle fine del 2024. È importante specificare che non sappiamo se nelle prossime settimane ci saranno acquisti netti più favorevoli ad altri Paesi o se comunque questo intervento che ha contribuito ad abbassare lo spread dell’Italia verrà almeno in parte riequilibrato.

Quanto è efficace questo programma, visto che è considerato la prima linea di intervento contro la frammentazione?

Abbiamo in mano solamente i dati del primo mese, quindi è difficile esprimere una valutazione che non sia preliminare a questo stadio. Per valutare l’efficacia di questo programma, anche come deterrente nei confronti di manovre speculative, bisognerà tenere d’occhio i dati dei prossimi mesi e confrontarli con l’andamento degli spread. Occorrerà capire soprattutto cosa succederà dopo il 25 settembre. Si tratta, infatti, di un intervento che la Bce decide in modo autonomo.

È quindi un intervento discrezionale, come del resto il Tpi, il nuovo scudo anti-spread appena approvato dalla bce.

È ancora più discrezionale del Tpi, perché per quest’ultimo la Bce ha identificato una serie di condizioni da soddisfare perché un Paese ne possa beneficiare, mentre in questo caso non sono state esplicitate delle condizioni. C’è pertanto totale autonomia operativa da parte della Bce, ma la sua azione può avere un impatto determinante per quanto riguarda le condizioni di accesso al mercato di un Paese ad alto indebitamento come l’Italia.

Dunque sarà davvero importante capire come verrà utilizzato dopo il 25 settembre.

Il prossimo Governo, di qualunque colore sia, dovrà mantenere una relazione di sintonia con le istituzioni europee: la capacità di dialogo e di ingaggio, anche dialettico, ma pur sempre cooperativo resterà fondamentale. Qualora, infatti, la Bce raffreddasse la sua postura nei confronti del mercato secondario dei titoli di stato italiani ci sarebbe anche un’immediata conseguenza in termini di rating dal momento che nella nuova metodologia adottata dalle società di rating si scontano anche le mosse della banca centrale.

Vuol dire che le istituzioni europee hanno quindi sempre più potere nei confronti del Governo italiano, qualunque esso sia.

Assolutamente e le dirò di più: per l’anno prossimo il Governo Draghi ha previsto un rapporto deficit/Pil al 3,9%, ma sarà sicuramente più alto dal momento che le stime sulla crescita del 2023 appaiono iper ottimistiche (2,3% quando quelle più recenti di Ue, Fmi e Upb sono inferiori all’1%). I mercati tenderanno a valutare negativamente qualsiasi scostamento rispetto a un parametro che già è di per sé inattendibile. Questo crea naturalmente un problema rilevante di credibilità dell’Italia dinanzi alle istituzioni europee e ai mercati. 

Il Governo Draghi può ancora rimettere mano a questa stima nella Nadef. Ma questo vorrebbe dire già condizionare in parte l’utilizzo delle risorse a disposizione per la Legge di bilancio…

Esattamente. Significa che il nuovo Governo non avrà neanche il tempo necessario per impostare una politica di bilancio, dei redditi, economica, che non si confronti con questa eredità pesantissima.

(Lorenzo Torrisi)

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