Oltre a ricordare la necessità di rivedere le regole del Patto di stabilità e crescita, che resteranno sospese almeno fino alla fine del 2022, Mario Draghi, nel corso del question time alla Camera di mercoledì, ha spiegato che “l’Italia intende partecipare attivamente al dibattito europeo”, anche “per completare l’architettura istituzionale europea”.
Sul tema, come noto, si è appena aperta, con un anno di ritardo, la Conferenza sul futuro dell’Europa. Potrà portare a risultati apprezzabili? «Se per risultati apprezzabili – risponde Massimo D’Antoni, Professore di Scienza delle finanze all’Università di Siena – intende dichiarazioni condivisibili e “alte” sui valori e gli obiettivi comuni dell’Europa, non ho dubbi che ve ne saranno in abbondanza. Se invece intende efficaci nel trasformare l’Ue superando i limiti attuali, ho molti dubbi. Ma non sono nemmeno convinto che la trasformazione dell’Ue sia un obiettivo realmente perseguito, per lo meno al di fuori del circolo ristretto delle istituzioni di Bruxelles».
Perché?
Abbiamo attraversato in dodici anni due crisi profonde, la Grande Recessione del 2008 e ora la crisi del Covid. Anche se cambiamenti indubbiamente ci sono stati e sono state messe in campo diverse iniziative, mi sembra che si proceda secondo la logica del fare il minimo indispensabile quando è proprio inevitabile. Ci si muove comunque entro lo schema dato, che è sostanzialmente uno schema di competizione tra i Paesi membri in un contesto di reciproca diffidenza. Del resto, nessuno dei Paesi che conta è disposto a rinunciare alla propria sovranità. Questo almeno è chiarissimo nel caso di Francia e Germania. L’Italia fa eccezione, perché una parte della sua classe dirigente continua a pensare all’Ue principalmente in funzione delle difficoltà di politica interna; si compensa la propria debolezza politica con il “ce lo chiede l’Europa” o si pensa che l’Ue possa risolvere le nostre debolezze nazionali.
Si discute del superamento delle decisioni all’unanimità, che hanno finora garantito un certo potere di veto ai cosiddetti Paesi frugali. All’Italia converrebbe quindi andare verso il voto a maggioranza?
La differenza tra maggioranza e unanimità è che nel primo caso non vi sarebbe più un formale diritto di veto, per cui un Paese dell’Unione potrebbe essere messo in minoranza e potrebbe vedersi costretto ad accettare decisioni anche lesive dei propri interessi. Al di là del fatto che in molti casi i rapporti di forza contano più della forma dei meccanismi decisionali, una soluzione del genere sul piano formale dovrebbe valere allo stesso modo per tutti i Paesi membri, grandi e piccoli, ma mi sembra difficile che ad esempio la Germania possa accettare una soluzione del genere. Le vicende legate ai pronunciamenti della Corte di Karlsruhe mostrano che in Germania prendono molto sul serio il fatto che il Parlamento tedesco è sovrano su qualsiasi decisione che comporti l’assunzione di obblighi o oneri a carico dei propri cittadini.
Un altro dei temi sul tappeto è quello dell’istituzione del ministro delle Finanze unico europeo. Cosa ne pensa?
Beh, se ne parla da anni, ma nelle proposte che ho letto il ministro delle Finanze unico era una sorta di supercommissario con potere di veto sulle decisioni di bilancio dei Paesi membri che non rispettavano i vincoli fiscali. Non lo considererei un passo avanti.
In Germania si andrà al voto durante il periodo di lavori di questa Conferenza, la Francia avrà la Presidenza di turno dell’Ue proprio nella fase finale dei lavori. Quanto queste circostanze potranno incidere sul risultato finale?
Sarei sorpreso se i temi europei avessero un gran peso nelle elezioni politiche nazionali di questi Paesi. Ma questa concomitanza di tempi mi pare rafforzi la mia previsione sul fatto che vedremo grandi enunciazioni di principi e obiettivi desiderabili (clima, inclusione, ecc.), ma poca sostanza in termini di modifiche istituzionali di rilievo.
Da quando è a palazzo Chigi Draghi è intervenuto su questioni europee (vaccini e Sure) ed è stato indicato come “leader” europeo. Questo potrà aiutare a tener conto delle esigenze italiane nel futuro assetto dell’Ue che si vuol disegnare?
Draghi conosce bene la macchina europea ed è conosciuto dai partner e stimato come persona capace. Se poi questo possa cambiare la situazione… mi attengo alla mia convinzione che nei grandi processi i singoli non facciamo poi molta differenza.
Dipendesse da lei, quale ritiene sarebbe un risultato importante che la Conferenza sul futuro dell’Europa dovrebbe raggiungere?
Sono d’accordo con chi vede il problema principale dell’Ue nel suo deficit di democrazia, la sua distanza dai cittadini comuni. D’altra parte, non credo che un problema del genere sia risolvibile con l’ingegneria istituzionale, ad esempio aumentando il ruolo del Parlamento europeo o arrivando all’elezione diretta del Presidente (previa riduzione del numero di presidenti nell’Ue!).
Perché?
È un discorso lungo e complesso, ma la democrazia come la conosciamo è il risultato dei processi di costruzione degli Stati nazionali, con tutti i corollari del caso in fatto di politiche di welfare e di omogenizzazione culturale. Un processo lungo e a volta pagato a caro prezzo. Si può immaginare in astratto di riprodurre quello stesso processo a livello continentale, superando gli Stati nazionali in nome di una “nazionalità” europea, ma sinceramente lo vedo come un obiettivo molto lontano, ammesso che ci sia la volontà di perseguirlo.
Quindi nessun auspicio?
Personalmente, nella situazione in cui siamo, mi accontenterei di obiettivi limitati, che vadano però in una direzione precisa, più attenta alla dimensione sociale e meno alle esigenze della finanza o dei grandi interessi economici. Visto che l’ultima notizia è che di fronte all’ipotesi di sospensione dei brevetti sui vaccini sollevata dal presidente Biden l’Ue ha solo saputo mettersi di traverso, non nutro molto ottimismo. Ma chissà, si parla di consultazioni “dal basso”, forse su queste cose i cittadini europei sono più avanti dei loro governanti.
(Lorenzo Torrisi)
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