La preoccupazione principale delle cancellerie europee di questi tempi è diventata trovare l’alternativa a Ursula von der Leyen come prossimo presidente della Commissione Ue. L’attuale presidente della Commissione sta tentando invano di restare a galla per il bis, ma l’impresa è disperata. I rintocchi delle campane a martello si rincorrono da un’eurocapitale all’altra, dove si moltiplicano le consultazioni per capire chi sia la persona giusta per il prossimo quinquennio. Il nome che sta girando con maggiore insistenza, forse per bruciarlo e fare posto a qualche carta ancora coperta ma forse no, è quello di Mario Draghi.
All’ex governatore della Bce pochi potrebbero opporre un rifiuto deciso. Ma nemmeno Draghi ha oggi in mano le soluzioni in grado di tirare fuori l’Ue dalla crisi in cui è sprofondata. Non c’è “Rapporto sulla competitività” che tenga. Finché i Paesi membri non si decideranno a una profonda riforma delle istituzioni comunitarie, non usciranno dalla palude. La tenaglia che sta stritolando la von der Leyen – trattati europei inadeguati, assenza di politica estera, corsa al riarmo e accelerazione verso un’economia bellica, insistenza cieca sulle politiche green, abbandonate di fatto dagli Stati Uniti – prenderà in mezzo anche Draghi.
Il suo è pure il nome di Giorgia Meloni, come ha scritto ieri Repubblica. Una corsa ai ripari che è il sigillo dell’errore compiuto dalla presidente del Consiglio quando ha deciso di legarsi troppo in fretta alle sorti di von der Leyen per legittimarsi in Europa. Ma quando, dal congresso Ppe di Bucarest in poi, è apparso chiaro che la candidatura di von der Leyen si andava indebolendo, la Meloni si è accorta di dover ripiegare e in fretta. E ora, per non essere trascinata nella crisi dell’attuale presidente, è costretta a convergere su Draghi, l’uomo del “Whatever it takes”, dopo essere stata l’unica a fargli opposizione durante il suo anno e mezzo di governo nella scorsa legislatura.
È un ripiego? Non del tutto. Draghi è italiano, potrebbe cavare dal cilindro un nuovo “Quantitative easing” per finanziare i debiti dell’ansimante economia europea ed è colui che di fatto sdoganò proprio la Meloni, riconoscendone il ruolo di leader di un’opposizione “presentabile” e legittimandone la crescita elettorale. In più la presidente del Consiglio potrebbe contare su un uomo di fiducia di Draghi, cioè il ministro Giancarlo Giorgetti. Il suo è un ruolo chiave: non è di Fratelli d’Italia, è stimato da Draghi ed è apprezzato in Europa come affidabile “garante” dei conti italiani. Lo scontro a distanza dell’altro giorno con il commissario Ue Paolo Gentiloni sulle scadenze del Pnrr e la possibile proroga degli impegni presi – un tema sul quale Chigi dovrà negoziare non con la Commissione uscente, ma con quella prossima ventura – potrebbe pure indicare che Giorgetti sta tirando fuori quegli artigli che finora ha tenuto ben nascosti.
Quello che le ricostruzioni più diffuse evitano di sottolineare è che Giorgetti è sì amico di Draghi, ma col suo partito appartiene allo schieramento di ID che contesta le scelte di questa Commissione e l’indirizzo dell’attuale politica europea. Solo due settimane fa, a Roma sul palco della Convention di Identità e Democrazia con la Le Pen, Giorgetti ha attaccato duramente l’Europa e la sua governance. Una contraddizione ancora irrisolta, che non scioglie i nodi della Meloni, costretta a rifugiarsi sotto l’ombrello di Draghi per non perdere peso in Europa. Dalla von der Leyen a Supermario: l’obiettivo della premier è di far diventare il suo partito il nuovo garante degli assetti europei in Italia. “Whatever it takes”, a qualunque costo, come disse proprio Draghi.
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