La crisi economica generata dalla pandemia da Covid-19 colpirà duramente ovunque. Il Fondo monetario internazionale nell’ultimo aggiornamento del World economic outlook di giugno ha rivisto al ribasso le stime sul Pil globale, portandole al -4,9% per il 2020, con un rimbalzo del 5,4% l’anno prossimo. Per l’Italia il Fondo prevede una discesa quest’anno del 12,8% e una risalita del 6,3% nel 2021. Per Domenico Fanizza, Direttore esecutivo per Italia, Portogallo, Grecia, Malta, Albania e San Marino presso il Fmi, questa crisi rappresenta «un’opportunità per cambiare le cose e dobbiamo assolutamente coglierla».



In questo senso il titolo dell’incontro cui prende parte oggi al Meeting di Rimini “Sviluppo, sostenibilità e sussidiarietà: rendere possibile un futuro diverso” è certamente calzante. Come si fa a rendere possibile un futuro diverso?

La mia impressione è che, come dicevo poco fa, questa crisi, per quanto abbia già avuto degli effetti drammatici, offra delle opportunità incredibili di trasformazione profonda dell’economia internazionale che vanno colte. Non solo per rendere la crescita più robusta nel medio periodo, ma anche più sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale.



Come giudica la risposta finora fornita alla crisi?

In tutto il mondo c’è stata una contrazione dell’attività economica senza precedenti, alla quale i Paesi hanno già risposto adottando rapidamente politiche monetarie e fiscali finalizzate, giustamente, a fornire sussidi alle persone e alle imprese più in difficoltà, cercando di mantenere intatto il sistema di relazioni e connessioni alla base dell’economia di mercato. Questo è stato possibile perché, almeno nella stragrande maggioranza dei Paesi avanzati, e in alcuni emergenti, i vincoli di bilancio sono stati allentati grazie a politiche monetarie “non convenzionali” che hanno finanziato livelli di deficit e debito pubblico altissimi senza creare pressioni sull’inflazione. Questa situazione non può però durare a lungo. Dunque occorre utilizzare queste risorse per creare opportunità di crescita e trasformazione. Questo va fatto avendo in mente un piano su dove andare nel futuro.



Concretamente come si possono usare al meglio le risorse disponibili?

Occorre anzitutto favorire la trasformazione tecnologica dell’economia internazionale. In particolare ciò si concretizza nel principio protect the workers, not the jobs. Se pensiamo infatti di risolvere i problemi sociali frenando la necessaria trasformazione strutturale dell’economia non andremo da nessuna parte. In Italia, come nel resto del mondo. Bisogna quindi evitare di proteggere delle industrie particolari e aiutare invece i lavoratori a riqualificarsi e a essere protagonisti di nuove attività. Un altro passaggio importante è quello relativo alla produzione di energia rinnovabile.

Può spiegarci in che direzione ci si dovrebbe muovere su questo terreno?

Occorre rivedere radicalmente i sistemi di incentivi alla produzione di energia che ancora premiano quella ad alta emissione di CO2. Nel nostro Paese questo è un tema importantissimo, perché ci sono studi che dimostrano che su 44 miliardi di sussidi annuali complessivi, ben 20 sono “dannosi”, cioè si muovono nella direzione opposta a quella che sarebbe desiderabile. È necessario quindi un rapido riordino del sistema degli incentivi e l’introduzione di imposte sulla produzione di energia non rinnovabile. Inoltre, alcuni studi internazionali mostrano che nel nostro Paese l’emissione di CO2 non è tassata a sufficienza.

Prima ha ricordato l’importanza della politica monetaria per fronteggiare la crisi, ma c’è stata anche quella fiscale resa possibile, in Europa, dalla sospensione del Patto di stabilità e crescita. Mario Draghi al Meeting di Rimini ha detto che “è probabile che le nostre regole europee non vengano riattivate per molto tempo e certamente non lo saranno nella loro forma attuale”. Secondo lei, sarà necessario un ripensamento di queste regole?

Sarà necessario ridiscuterle, non si può pensare che non possano cambiare. Anzi, dovranno cambiare per riadattarsi a una situazione in cui i livelli di debito pubblico saranno più alti. Questo non deve però farci dimenticare una cosa.

Quale?

Che il problema del debito non sparirà. Al momento non appare rilevante perché i tassi di interesse sono contenuti e le Banche centrali stanno acquistando molti titoli delle nuove emissioni di debito pubblico. Non c’è niente di male in questo, ma non si può pensare che tale situazione duri per sempre. In qualche maniera se ne dovrà uscire. Per cui anche se le regole europee cambieranno, resterà il problema del debito da risolvere.

Come lo si potrà affrontare senza rimanerne schiacciati?

Solamente con una crescita economica vigorosa. Per questo è importante la trasformazione delle economie di cui parlavo prima. La disciplina di bilancio è fondamentale, ma non è sufficiente. Può avere successo solo se la crescita economica diviene appunto più vigorosa. Occorre quindi utilizzare le risorse a disposizione in questo momento per investimenti che facilitino la transizione strutturale dell’economia.

A proposito della necessità di una crescita economica vigorosa, le previsioni dello stesso Fondo monetario internazionale per l’Italia non sono incoraggianti. Cosa pesa di più sull’economia del nostro Paese?

Già prima dello scoppio della pandemia l’Italia scontava livelli di crescita inferiori rispetto agli altri principali Paesi a causa di nodi strutturali noti da tempo: carenza di investimenti, un sistema fiscale che necessita di essere riformato per essere più favorevole all’attività economica e più equo, la scarsa propensione all’innovazione tecnologica, la lentezza della giustizia, ecc., tutte cose che ostacolano l’attività economica privata, che può essere il solo motore durevole della crescita. Un altro fattore che incide negativamente è la carenza di investimenti in infrastrutture, dovuta principalmente al fatto che negli ultimi anni il debito pubblico assorbiva troppe risorse per il suo servizio, occorrevano perciò dei tagli alla spesa e si è scelto di operarli anche sugli investimenti. Questo processo va invertito e bisogna anche aver chiaro che non c’è solo un problema di risorse finanziarie, ma anche di capacità di spesa della Pubblica amministrazione e di procedure troppo farraginose, che non permettono l’attuazione di investimenti pur finanziati.

Prima della pandemia, l’Italia era l’unico dei grandi Paesi europei a non essere tornato ancora ai livelli pre-crisi 2008. Ora rischia un altro “decennio perduto” se non si interviene su questi fattori?

C’è questo rischio, ma sono di natura ottimista e fiducioso che l’Italia abbia capacità imprenditoriali notevoli e una forte resilienza. La performance economica del Paese, in termini di crescita, negli ultimi 15 anni è stata deludente, adesso abbiamo l’opportunità di cambiare le cose e dobbiamo assolutamente coglierla per liberare tutte le capacità imprenditoriali, che sono importantissime, del settore privato per una ricostruzione del Paese. Una ricostruzione economica, sociale e, mi lasci aggiungere, etica. Credo che questo sia fondamentale e ritengo che il Meeting di Rimini rappresenti un importante segnale di vitalità di quella che si chiama società civile, che dovrà necessariamente giocare un ruolo importante nella ricostruzione del Paese. Senza di essa non si va avanti. Sono convinto che le politiche economiche siano importantissime, ma la trasformazione è fatta dalle persone e dal settore privato. La politica deve eliminare gli ostacoli al settore privato, che può avere un compito importante anche sul piano dell’etica e della sussidiarietà.

Il Next Generation EU potrà aiutare l’Italia a rimuovere gli ostacoli che frenano la crescita della sua economia?

Spero proprio di sì. Rappresenta un’opportunità per accelerare la trasformazione del Paese di cui parlavo prima. La pandemia è stata uno shock che ha colpito tutti alla stessa maniera, uno shock quasi perfettamente sincronizzato che rende necessario ripensare alle catene del valore, che dovranno avere un carattere più regionale e resiliente, e che rende evidente che non si può usare come solo motore dello sviluppo economico la domanda estera, com’è avvenuto per molti anni, ma che occorre puntare anche su quella interna. L’altra trasformazione che ha subito un’accelerazione con la pandemia è quella relativa alla digitalizzazione, che ora bisognerà assecondare, per esempio con un’infrastruttura fondamentale come la banda larga.

Negli ultimi anni è iniziato un dibattito sulle politiche del Fondo monetario internazionale e la loro efficacia, soprattutto in Europa avendo presente quanto accaduto in Grecia. C’è stato un cambiamento in tali politiche del Fondo?

Lo stesso Fondo ha capito e ammesso che nel caso della Grecia sono stati fatti degli errori. Quello più importante è che sono state raccomandate politiche di forte aggiustamento fiscale in un momento di caduta dell’attività produttiva, pensando che avrebbero avuto un effetto positivo sulla fiducia degli investitori e quindi sulla crescita. Invece sono state politiche pro-cicliche che hanno reso più difficile uscire dalla crisi nello scorso decennio. Forse un aggiustamento fiscale più dolce, spalmato in maniera diversa nel tempo, sarebbe stato più adeguato. Mi lasci però sottolineare una cosa.

Prego.

È un’idea un po’ forte pensare che queste politiche siano state inefficaci, perché alla fine la Grecia è ritornata sui mercati finanziari e anche l’economia reale è ripartita in maniera importante. Prima dello scoppio della pandemia mi sono recato in Grecia e ho potuto vedere un’economia che dava chiari segni di vitalità. Se dieci anni fa le politiche monetarie e fiscali sono state aggiustate in senso restrittivo troppo presto all’indomani della crisi finanziaria, oggi la raccomandazione del Fondo monetario internazionale ai Paesi che possono finanziare i deficit con creazione monetaria è stata quella di farlo. C’è però da dire che non tutti i Paesi hanno questa possibilità, in particolare quelli sia emergenti che a basso livello di reddito, in quanto le loro prospettive inflazionistiche non gli consentono di stampare moneta.

In questo caso il Fondo monetario internazionale è intervenuto in loro soccorso?

Sì. Sono state adottate misure importanti fornendo aiuti finanziari di emergenza con procedure accelerate e condizionalità molto limitate a 75 Paesi. Tutto questo però deve richiamare l’attenzione su un’ineguaglianza che rischia di passare inosservata. I Paesi avanzati, infatti, possono spendere quanto vogliono per far fronte alla crisi e speriamo lo facciano bene, non guardando solo al presente, ma pensando al futuro. Tuttavia, ci sono tanti Paesi in cui questo non è possibile e che hanno visto il proprio debito aumentare in maniera importante, senza poter usare la politica monetaria per soddisfare i fabbisogni di bilancio pubblico a causa di fragilità macroeconomiche pre-esistenti. Il debito diventerà un grande tema di discussione su cui bisognerà confrontarsi, assicurandosi che non diventi un freno alla crescita di quelle nazioni, per esempio africane, nelle quali sono stati compiuti notevoli passi in avanti nella riduzione della povertà. Sarebbe drammatico se la crisi frenasse o addirittura invertisse questo trend.

(Lorenzo Torrisi)