Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, diversamente da quanto programmato, ieri non ha partecipato al World Economic Forum, dove era atteso nel primo pomeriggio per pronunciare il suo “special address” alla comunità degli investitori e dei leader politici presenti a Davos. Come confermato da fonti di Palazzo Chigi, l’assenza di Conte era legata a “urgenti impegni di governo” che lo hanno costretto a trattenersi a Roma. Ma per Stefano Folli, editorialista di Repubblica, in questi giorni in cui “stanno succedendo un po’ di cose curiose nella maggioranza, a partire dalle dimissioni di Di Maio, presentate prima e non dopo le elezioni regionali di domenica”, più che a Davos bisogna guardare in casa M5s e soprattutto aspettare l’esito, domenica sera, del voto in Emilia-Romagna, crocevia decisivo per le sorti del governo. “Sarà un grande scossone – avverte Folli –, le cui ricadute avranno bisogno di qualcuno che prenda delle iniziative politiche. Gli elementi di destabilizzazione sono, da una parte, i Cinquestelle con la loro molto probabile disgregazione e, dall’altra, Matteo Renzi, che potrebbe mettere da parte il volto del guastatore ma che alla fine lavora per la stabilità, decidendo di andare al voto, vista la situazione che si creerebbe e contando su questa legge elettorale, che per lui è sempre meglio del Germanicum”.
Intanto, sempre a Davos, il ministro Gualtieri ha detto che Di Maio non rischia la poltrona degli Esteri. Ma il fatto che abbia dovuto dichiararlo sta forse a significare che non è esattamente così?
Senza dubbio. La situazione del governo è molto complessa e delicata. E sicuramente la grande crisi dei Cinquestelle non può non riverberarsi sul governo. Le forme, però, le potremo vedere nelle prossime ore.
Che cosa potremmo vedere?
Se il centrosinistra dovesse perdere l’Emilia-Romagna, con un conseguente crollo e un’ulteriore frantumazione del M5s, si possono immaginare conseguenze politiche molto ravvicinate. Se invece dovesse vincere il centrosinistra, i tempi sarebbero un po’ più lunghi, ma il governo Conte si ritroverebbe comunque in un equilibrio molto fragile e precario.
Non a caso lei ieri ha pubblicato un editoriale significativo dal titolo “Il destino passa da Bologna”. E in questi ultimi giorni di campagna elettorale molti notano un crescente nervosismo in Bonaccini. Un brutto segnale per il Pd che rischia davvero di perdere l’Emilia, la sua roccaforte tradizionale?
Il tentativo di Bonaccini è stato quello di mantenere la campagna elettorale su un livello locale, parlando di problemi locali; il tentativo del centrodestra è stato quello di far diventare il voto in Emilia-Romagna una partita nazionale. Mi sembra che abbia avuto maggiore successo questa seconda ipotesi, cioè che la campagna sia stata portata su un livello nazionale, cioè votare in Emilia-Romagna è votare pro o contro gli equilibri nazionali. Il fatto che il movimento delle Sardine abbia conquistato tanto spazio mediatico, forse – e sottolineo forse – è servito a rivitalizzare il centrosinistra, ma è stato il contributo da sinistra alla nazionalizzazione della campagna. E anche i Cinquestelle hanno contribuito a trasformare il voto in Emilia in un voto nazionale. Forse è per questo che Bonaccini non è tanto contento.
Accennava prima che le dimissioni di Di Maio potrebbero accelerare lo smottamento dei Cinquestelle. Ci saranno scissioni anche prima degli Stati generali di marzo? E fino ad allora il governo farà i conti con un M5s ingovernabile e inaffidabile?
Se l’Emilia, che è il passaggio cruciale, dovesse finire al centrodestra, i contraccolpi saranno notevoli e investiranno in primis proprio i Cinquestelle. Assisteremo a una serie di conseguenze. Se invece si riuscirà a salvare il salvabile, magari con il M5s che tracolla, anzi sicuramente andrà male, ma con il centrosinistra che mantiene il governatore, allora le conseguenze, che probabilmente ci saranno a medio-termine, potrebbero essere più contenute.
In che senso?
Il percorso che i Cinquestelle immaginano verso la stabilità, per trovare un nuovo assetto dirigenziale agli Stati generali, potrebbe avere qualche mese in più di respiro. Anche se ormai credo che sia un movimento in crisi profondissima e irreversibile.
In questo scenario potrebbe finalmente venire a galla il nuovo partito di Conte, magari aggregando fuorusciti della parte governativa del M5s, il partito verde di Fioramonti, qualche esponente delle Sardine e magari Politica Insieme, il partito d’ispirazione cristiana di Zamagni?
Potrebbe succedere, anche se oggi Conte continua a essere incerto su questa scelta, perché uscire troppo presto con questa iniziativa avrebbe effetti destabilizzanti. Ma è una carta che tiene nascosta nella manica.
In caso di perdita dell’Emilia e con un M5s in subbuglio, che ruolo potrebbe giocare Renzi? Con due alleati sotto schiaffo, non gli converrebbe molto continuare a fare il guastatore del Conte 2, o no?
Renzi è in una situazione un po’ paradossale. Ha contribuito a tenere a battesimo questo governo, però si ritrova oggi che la sua operazione non è andata troppo a buon fine: Italia Viva è nata con l’ambizione di crescere, di aggregare, ma continua a essere inchiodata attorno al 4-4,5%.
Adesso però si parla di un allargamento a Calenda e a +Europa…
È vero, ma tutto sommato si tratta di aperture che sono molto lontane dall’obiettivo di far nascere e crescere questo terzo polo alla Tony Blair.
Quindi?
Renzi deve rifare i suoi conti politici. Se rimane dentro la cornice di centrosinistra, come finora, facendo il guastatore ma senza mai arrivare alla spallata, può darsi che entro due anni la situazione possa sfuggirgli di mano e avrà ancora minori motivi di esistere con il suo partito. Se invece dovesse decidere di accelerare i tempi e produrre una crisi di governo per cercare di avere un altro esecutivo in cui può contare di più o tentare la sorte in elezioni anticipate, pensando di poter raccogliere più consensi rispetto a quelli che potrebbe ritrovarsi fra due anni, a quel punto Renzi diventerebbe l’elemento chiave per capire se questo equilibrio può reggere ancora oppure salta.
Il Cdm ieri sera si è occupato del primo giro di nomine, ma la vera partita si giocherà a marzo. Come vede questo risiko? Sarà un’ulteriore occasione di divisioni e ripicche nella maggioranza giallo-rossa?
Se la maggioranza ha deciso di compiere ancora un tratto di strada insieme, è ovvio che le nomine devono essere il riflesso di questo accordo. Ma in caso di vittoria della destra in Emilia, con conseguente grande senso di precarietà e di sbandamento, la partita delle nomine potrebbe trasformarsi in un campo di battaglia. La divisione del potere, quando c’è un quadro politico solido, diventa sì motivo di scontro ma anche di volontà comune di arrivare a un risultato che appaghi un po’ tutti. Se la cornice invece è fragile, allora diventa un ulteriore fattore di spaccatura.
(Marco Biscella)