Il Decreto agosto è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale e nelle prossime settimane affronterà l’iter parlamentare di conversione in legge. La speranza è che le misure possano contribuire a una ripartenza dell’economia, anche se il mondo imprenditoriale non sembra del tutto convinto della bontà degli interventi, del valore complessivo di 25 miliardi di euro, principalmente concentrati nella proroga di cassa integrazione e blocco dei licenziamenti. «Se guardiamo al Pil del primo semestre, a parte la Germania che ha avuto una flessione anno su anno del 6,9%, l’Italia è riuscita a fare meglio di altri Paesi europei: -11,4% contro il -11,7% del Regno Unito, il -12,4% della Francia e il -13,1% della Spagna», ci dice Marco Fortis, Direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano.



Possiamo dunque essere ottimisti sulla situazione dell’economia?

Nonostante un lockdown più severo rispetto a quello di altri Paesi, la nostra economia sembra aver tenuto meglio di altre. Forse vuol dire che negli ultimi anni, vuoi per un po’ di riforme, vuoi per gli ammodernamenti delle imprese, aveva fatto dei passi avanti e non è entrata nella pandemia in condizioni critiche. È chiaro però che non possiamo sperare che questa situazione si protragga e bisogna quindi agire in maniera importante. Le misure del Decreto agosto, alcune apprezzabili, sono prevalentemente interventi-tampone. Anche quelli fatti con l’intenzione di ravvivare la domanda, i consumi, saranno interventi di sollievo, ma non di spinta.



Non possiamo quindi sperare che la risalita del Pil avvenga per una ripresa forte dei consumi.

No, anche perché i consumatori hanno in questo frangente un atteggiamento prudente. Si sa che gli ammortizzatori sociali finiranno e c’è chi teme che possa esserci un forte incremento della perdita di posti di lavoro. A luglio è anche scattato il nuovo taglio del cuneo fiscale che ha quindi ampliato la platea e l’importo del bonus da 80 euro in busta paga introdotto dal Governo Renzi, ma anche questa misura non è sufficiente a far ripartire i consumi, pur dando sollievo al ceto medio dei lavoratori dipendenti interessati. A mio avviso la dinamica dei consumi rimarrà ferma per un anno e mezzo o due. Molti consumi non si riescono tra l’altro a fare per norme che li limitano o vietano.



Potranno essere utili misure che, come Industria 4.0, incentivano gli investimenti delle imprese?

Purtroppo non sono molte le aziende che sono in condizioni, pur di fronte a un incentivo, di investire. Tante, infatti, hanno sovracapacità produttiva al momento e non ha senso che investano. Mi sembra che non ci sia la chiara percezione che l’economia è impiombata. E occorre introdurre elementi decisivi sul lato della domanda interna, anche perché quella estera, nonostante le nostre buone performance pre-Covid, è ferma e i dati e le previsioni relativi al commercio mondiale non sono certo rosei. Ci sono altri numeri che dobbiamo guardare attentamente.

Quali?

I dati Ocse relativi al periodo 2015-2019 dicono che il tasso medio annuo di crescita della produttività manifatturiera in Italia è il più alto nell’Eurozona: insieme a quello dell’Austria è stato infatti pari al +1,8%, facendo meglio di Olanda (+1,7%), Francia (+1,2%), Belgio (+0,6%), Germania (+0,5%) e Spagna (+0,1%). Gli altri Paesi ha avuto tassi addirittura negativi. Il nostro problema non è quindi la produttività del lavoro manifatturiero o la mancanza di competitività nel commercio con l’estero, ma il fatto che non c’è domanda estera, né interna.

Come ne usciamo allora?

L’unica vera soluzione, come sostengo da tempo, è quella di moltiplicare i cantieri, altrimenti non avremo nessuno strumento per poter veramente incidere sulla situazione economica. Coi 209 miliardi del Recovery fund dobbiamo puntare su interventi strutturali nel Paese, perché la produttività nel settore dei servizi, esclusi quelli immobiliari, sempre nel periodo 2015-2019 ha fatto registrare un tasso medio annuo pari al -0,4%. I servizi privati e pubblici devono migliorare le loro performance, anche con investimenti in reti e infrastrutture, che possono oltretutto creare molti posti di lavoro.

L’importante è partire da quelli già pronti e non immaginarne di nuovi come sta accadendo nel caso del tunnel sotto lo Stretto di Messina…

Certo. Lanciarsi in progetti immaginifici può essere utile per darsi una strategia anche a lunghissimo termine, ma alla fine si corre il rischio di spostare i termini del problema. Occorre non perdere altro tempo e far partire i cantieri pronti che devono essere sbloccati. Bisogna anche dare priorità all’alta velocità per alcune regioni del Sud, contribuendo così a favorire la ripresa del turismo. Lo stesso vale per i porti italiani, che sono un avamposto nel Mediterraneo, ma che necessitano di interventi di ristrutturazione anche per rendere possibile l’attracco di grandi navi. Non è più il momento di tenere imbrigliata e l’economia e le decisioni politiche importanti sulle infrastrutture.

In questo senso sarà importante anche le scelte che faranno i partiti della maggioranza. Pensa che il Movimento 5 Stelle, che sta vivendo un periodo di cambiamenti importanti, possa abbandonare alcune posizioni contrarie alla realizzazione di grandi opere nel nostro Paese?

Non se il Movimento sarà in grado veramente di evolversi in questa direzione, ma è certamente auspicabile. Fondamentalmente quelle che erano le caratteristiche dell’ideologia 5 stelle si sono dovute col tempo scontrare anche con la realtà dei fatti. Non basta dire di essere diverso dagli altri per essere utile al Paese. Il politico dovrebbe essere onesto ed efficiente, al di là del partito di appartenenza. Se si comincia ad andare oltre i vecchi veti secondo cui appena si vuole realizzare un ponte o una galleria c’è automaticamente corruzione, senza accorgersi che queste infrastrutture consentono a treni e camion di passare più velocemente, allora si fa un passo avanti tutti insieme.

(Lorenzo Torrisi)