I risultati delle ultime elezioni legislative svoltesi in Francia il 7 luglio sono noti. Una coalizione tra due fronti, quello tra le forze rappresentanti del governo uscente e quello nel quale si sono riunite le diverse anime dell’opposizione di sinistra a quello stesso governo, ha vinto le elezioni mettendo alle corde il Rassemblement National. Quest’ultimo, in costante e indiscutibile ascesa, pur risultando ampiamente il partito di maggioranza relativa al primo turno, è stato sconfitto al secondo dalla coalizione di tutti gli altri, provvisoriamente uniti per l’occasione.
Ha un senso? Certamente sì, a condizione di sottoscrivere la rappresentazione della realtà elaborata dai vincitori: quella di una vittoria della democrazia contro il populismo, della ragione contro la reazione, del multiculturalismo contro un regionalismo sordo che ignora l’Europa, i valori dell’ambiente e quelli dell’inclusione.
Porta da qualche parte? Certamente no, nella misura in cui poi bisognerà pur governare un Paese dove il welfare è arrivato al massimo delle sue possibilità ed è adesso ai limiti, la coesione interna è di fatto inesistente ed il conflitto, come hanno rivelato le manifestazioni permanenti dei gilets jaunes e la violenza delle banlieues in fiamme della scorsa estate, è da qualche anno più che conclamato.
Come tutti i fatti politici anche un tale impasse non nasce a caso, ma è il risultato di un percorso imboccato già da diversi anni il cui punto di partenza è costituito, secondo l’analisi fatta da Pierre Manent, nell’aver lasciato deperire il principio dell’alternanza. Come è noto, un tale principio prevede due partiti o due coalizioni, nettamente distinte l’una dall’altra, ciascuna delle quali inquadra al proprio interno una serie di obiettivi condivisi e di linee programmatiche per perseguirli. Tali coalizioni, che si contendono di volta in volta il potere dentro la città, si sottopongono alla valutazione dei cittadini che, a scadenze regolari, sono chiamati a esprimere il loro giudizio.
Un tale principio dell’alternanza sembra essersi da qualche anno disciolto in una coabitazione tra l’ala conservatrice e quella progressista di un unico partito europeo. Un simile esito, voluto in modo particolarmente esplicito da Emmanuel Macron che ha preteso così di sintetizzare tutte le opinioni, può essere salutato con entusiasmo. Tuttavia quella che, di fatto, è la fine del principio democratico dell’alternanza, dove non ci sono più due forze tra loro distinte, ma al massimo una differenza di accenti dentro lo stesso progetto, può esistere solo a condizione di governare un contesto sociale (economico e politico al tempo stesso) fortemente pacificato, privo di conflitti sostanziali e di tensioni endemiche.
Ora non solo le tensioni ci sono e sono più che manifeste, ma per di più, un’alleanza che ha per fine solamente l’estromissione dalla città dell’opposizione, facendo di quest’ultima il partito degli esclusi e degli impresentabili, riduce la dinamica del gioco democratico.
Si viene infatti a creare una situazione paradossale dove ad una maggioranza multiverso, unita solo per escludere l’avversario ma assolutamente irriducibile ad una sintesi unitaria al proprio interno, corrisponde un’opposizione ricacciata all’esterno della città, votata a raccogliere gli esclusi ed avviata ad un successo automatico nei prossimi anni, indipendentemente dalle proposte che le riesca di elaborare. Per quest’ultima infatti le ragioni di ricomporre le sensibilità diverse presenti al proprio interno, operando quindi quella sintesi critica delle istanze sociali necessaria ad ogni partito, vengono meno quando è la stessa coalizione di maggioranza, con la sua stessa opera di demonizzazione, ad assicurarle lo spazio di una crescita costante.
In pratica una Francia dove l’élite dirigente ha vinto dipingendo l’avversario come impresentabile (cioè fuori dal gioco democratico), non solo si trova dinanzi a scelte difficili come quella della riforma del regime pensionistico o la gestione dei flussi immigratori con una maggioranza variopinta, unita solo nello sbarazzarsi dell’ingombrante Rassemblement National. Ma si trova anche ad avere liquidato il principio dell’alternanza tra forze nettamente definibili e sufficientemente distinte l’una dall’altra, privando così la democrazia del suo principio sostanziale: quello di costituire un’area di confronto civile e di ricomposizione delle parti in presenza, alla quale tutti sono chiamati a scegliere, avendo ciascuno dinanzi a sé riferimenti tanto chiari quanto nettamente distinti l’uno dall’altro.
Finisce così il confronto tra maggioranza e opposizione per degenerare in una contrapposizione tra eredi legittimi del regime democratico e quanti ne sono esclusi. “È la messa in evidenza di una separazione ontologica o religiosa tra gli eletti e gli impresentabili”. A partire da una tale separazione, la politica, intesa come gestione di tutto ciò che ci è comune e dibattito costante intorno alle modalità per raggiungere i migliori risultati, è finita. Dalla battaglia civica – come asserisce Manent – si è passati all’esorcismo, nel quale il vinto è escluso ed umiliato, mentre il vincitore è seduto sulla poltrona di un’alleanza illusoria, nella quale i contraenti non condividono nulla se non l’esclusione dell’impresentabile, cacciato fuori dalle mura.
Di fatto, così facendo, la Francia di Emmanuel Macron è caduta nella trappola dell’ingovernabilità, in quanto gli “alleati della domenica” faranno molta fatica a governare insieme il lunedì, proprio a causa delle loro identità assolutamente opposte l’una all’altra, specialmente in presenza di una tabella delle emergenze che non lascia margini di manovra. Ma questa Francia è caduta anche nella trappola dell’esclusione, liberandosi delle possibilità dell’alternanza per preferirvi una meccanica dell’espulsione, evitando di comprendere le ragioni dell’altro per preferire la via, comoda ma anche suicidaria, della demonizzazione di quest’ultimo.
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