Difficile adesso è fare un governo. Il successo di Macron si limita alle desistenze che hanno fermato il Rassemblement National, ma il bilancio politico è fallimentare, spiega al Sussidiario Francesco De Remigis, giornalista, per anni corrispondente a Parigi.

I vincitori, infatti, sono una somma di partiti che da domenica sera sono di nuovo avversari. Dunque si parte da zero, o meglio, da un programma di governo che guardi a sinistra, e a farlo per primo sarà il premier riconfermato Gabriel Attal. Se non ce la farà, una soluzione c’è, spiega De Remigis, e sta in una personalità verde in forte ascesa.



Riepiloghiamo, per comodità, il verdetto degli elettori francesi. Rassemblement National 36,18% (143 seggi), Nouveau Front Populaire 25,18% (184 seggi), Ensemble! (macroniani) 21,24% (166 seggi), Le Républicains 8,09% (65 seggi), Divers Gauche 1,29% (10 seggi); 5 seggi ad altre forze. Totale seggi 577, maggioranza 289.



Cominciamo dal responso delle urne. Come si spiega il successo del Nuovo Fronte Popolare?

Il fattore che ha influito di più sono stati gli accordi di desistenza contro i lepenisti. Hanno funzionato, facendo perdere al RN più di un milione di voti tra primo e secondo turno.

Dunque il NFP ha saputo attrarre anche un elettorato non suo.

Esatto. E questo lo deve – è il secondo fattore – ad un messaggio politico che i partiti del NFP sono riusciti a far passare, ossia che in quell’area non c’è solo Mélenchon; altri uomini e donne sono in grado di guidare la Francia, sempre con un programma fortemente orientato a sinistra.



Mélenchon dopo la vittoria è stato il primo a esporsi, con un discorso molto duro: vogliamo il governo, o Macron se ne vada. Perché?

In realtà ha mostrato la sua debolezza. Mélenchon si è cucito addosso il ruolo di tribuno della gauche estrema, con uscite molto forti e aggressive. La verità è che buona parte de La France Insoumise (LFI) ha assecondato la leadership mediatica di Mélenchon, ma senza identificarsi con lui e costruendo un’immagine più spendibile.

Un esempio?

Ieri mattina, a domanda diretta se fosse Mélenchon il loro candidato a guidare il governo, tutti i leader minori del NFP hanno risposto che il candidato va cercato tra loro, nel Fronte. Il messaggio è chiaro: non sarà Mélenchon. Il caso di François Ruffin poi è clamoroso.

Il deputato uscente di Amiens di LFI? 

A quattro giorni dal voto ha dichiarato che una volta eletto avrebbe lasciato il partito e cercato un’altra collocazione, perché LFI “è un partito settario” e “la Francia merita di meglio”.

Questo significa che domenica sera Mélenchon…

Ha rivendicato una vittoria che non ha costruito lui, ma i suoi, sul territorio, grazie agli accordi di desistenza con i macroniani. Da sinistra, prima del voto, è arrivato un messaggio netto: Mélenchon sarebbe stato messo fuori gioco un minuto dopo la vittoria.

“La marea cresce, la nostra vittoria è solo rimandata”, ha detto Marine Le Pen. Sarà così?

Sono dell’avviso che Le Pen resti la candidata favorita per l’Eliseo 2027. Ma nemmeno l’esito di queste legislative può essere considerato secondario, perché il RN ha dimostrato di avere i voti, e di averne tanti. Il punto vero è come allargare il consenso attuale. Intanto, Bardella ha modificato il programma in modo tale da intercettare un elettorato più ampio all’interno del centrodestra, là dove c’erano triangolazioni con i neogollisti ancora in campo (i Républicains che hanno sconfessato Ciotti e il patto con il RN, nda). Al momento, se la vittoria è sfuggita di mano, lo si deve al sistema elettorale.

Ma il problema rimane. O no?

Nei Repubblicani c’è una base molto forte di militanti favorevole alla creazione di un centrodestra francese che, pur a trazione lepenista, sappia attirare gli elettori mancanti sulla base di un programma comune, da ripensare. In modo da vincere le presidenziali nonostante il doppio turno.

Non credi che l’imperativo di battere la “marea nera” con la “union sacrée” di cento e sinistre avrà ancora la meglio?

È in atto un processo di evoluzione dei lepenisti che è avvenuto e continua in due modi. Da una parte attraverso il partito, con l’operazione di dédiabolisation da parte di Marine Le Pen. Questo processo è di fatto quasi compiuto, lo dicono i numeri delle europee e delle legislative. Dall’altra parte c’è una maggiore apertura negli elettori. Non solo nella Francia rurale, ma anche nelle città. È lo spirito del consenso a cambiare. In questa tornata, per la prima volta, gli elettori che avevano deciso di vorare per un candidato del RN lo dicevano apertamente, davanti alle telecamere, nei bar e nelle brasseries.

Ciò nonostante, il sistema elettorale è ancora in grado di far funzionare la diga.

Sì, doppio turno e patti di desistenza hanno convogliato su un unico candidato i voti di molti elettori, sia della sinistra, sia dei macroniani, che hanno votato obtorto collo per l’uno o per l’altro candidato ben sapendo che non c’era un programma comune. Mentre il programma di RN era piuttosto chiaro e ammorbidito dall’operazione Bardella, che ha strizzato l’occhio a un certo liberalismo più sintonizzato su canali neogollisti che su quelli del vecchio lepenismo e della stessa Le Pen.

E Macron? Il bilancio della sua scommessa politica, cominciata con lo scioglimento dell’Assemblea la sera delle europee, è positivo o negativo?

Sul piano personale il bilancio è positivo, perché è riuscito a dimostrare che la Francia non è ancora convinta di abbracciare la destra identitaria di Le Pen. Sul piano politico, invece, è fallimentare. Lo si vede bene dal fatto che nell’ultima settimana di campagna elettorale i suoi lo hanno convinto a sparire.

A sparire?

Sì, tra primo e secondo turno Macron non si è visto. I francesi non sopportano più il suo approccio pedagogico, da professore che dice agli alunni francesi come devono votare per essere promossi. Lo dice la stessa condotta di Attal. Una delle personalità più amate dai francesi, che ha dato prova di indipendenza politica.

Ma Attal non è una emanazione di Macron?

Attal ha girato tutti i mercati della Francia dicendo che si votava non per Macron, ma per lui e l’operato del suo governo. Questo non era mai accaduto. Attal è il primo macroniano che si è assunto la responsabilità e il rischio di difendere un progetto politico che è stato sì del presidente, ma ha già cambiato faccia. Attal ha chiesto i voti sul governo e i francesi lo hanno riconfermato.

Adesso da dove si comincia per sbrogliare il nodo della governabilità?

Proprio da lui, da Attal. Il fatto di essere ancora premier in carica in questa fase e di non aver perso le elezioni, ma di essere comunque sopravvissuto con una buona compagine parlamentare, gli dà il diritto, oltre che la capacità istituzionale, per cercare di tracciare una rotta possibile.

Cosa farà? 

Partirà da sinistra, parlando con la parte più moderata del NFP, i socialisti ma anche una parte dei verdi, per arrivare ai neogollisti non lepenisti, con l’obiettivo di capire se con quei numeri si può ipotizzare un programma comune, anche della durata di un anno, per costruire una maggioranza attorno a un programma con lui premier. Non sarà facile: a sinistra sono i più restii in questa fase, per una questione tattico-strategica.

Vorranno fare un tentativo.

Sì, tenteranno di fare un’operazione in concorrenza con quella di Attal. Tolta LFI, socialisti, comunisti e verdi hanno un buon numero di parlamentari, ma non sufficiente per governare. Studieranno una proposta, comprensiva dei neogollisti, e la sottoporranno al presidente.

Hanno una figura da proporre?

Ce l’hanno eccome, è la verde Marine Tondelier. A mio avviso, la più valida candidata nel NFP. È stata soprannominata il “casco blu” di quell’area, brava nel fare pacificazione tra le varie anime, questo già in campagna elettorale. Poi può vantare una brillantissima prestazione televisiva nel duello a distanza che c’è stato su BFMTv prima delle elezioni, sostanzialmente l’unico, tra Bardella, Attal e lei. Potrebbe rivelarsi una sorpresa nell’aggregare.

E se queste ipotesi politiche non dovessero andare a buon fine per questioni numeriche o di litigi interni?

A quel punto Macron potrebbe proporre una sua opzione: un governo tecnico, all’italiana. Difficile, secondo me.

Perché?

Perché i politici sono tutti molto agguerriti e intendono fare un tentativo politico. Dopo un voto del genere, Macron non può spedire a Matignon qualcuno che non sia stato eletto deputato!

I fondamentali economici della Francia sono critici, la situazione è grave. A confrontarsi sono partiti di sinistra che chiederanno più denari da spendere. 

Vero. Tutti chiederanno di più, perché chi arretra, in questo momento, è politicamente finito. Sarà difficile trovare un accordo, non dobbiamo dimenticare che da domenica sera NFP, macroniani e Repubblicani non lepenisti sono tornati avversari. Non c’è alcun sentimento di fare una grande coalizione.

Come se ne esce?

Naturalmente si dovrà andare in qualche modo in quella soluzione, ma bisognerà scrivere un programma e dei punti chiari. Che al momento non ci sono.

(Federico Ferraù)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI